mercoledì 12 ottobre 2016

TERROR FIRMER



(Id. 1999)
Regia   
 
Potremmo considerarlo l'"Effetto Notte" di Lloyd Kaufman, geniale patron della mitica casa di produzione ultra trash Troma Entertainment  se non fosse che accostando "Terror Firmer" a François Truffaut potremmo scatenare una rivoluzione da parte di quei critici puzza al naso che amano solo il cinema narcotico.  Questo più che un film sembra però un'enorme, volgare baracconata dove qualsiasi cosa viene estremizzata ai massimi livelli. Durante le riprese di un capitolo della saga di The Toxic Avenger il regista (che qui assume il nome di Larry Benjamin, si presenta cieco e piscia come un idrante) vede gradualmente decimarsi la sua troupe di punk e freak, puttane e lardosi da un misterioso serial killer vestito come una dark lady dalla voce squillante che si aggira per gli studios compiendo massacri oltre le righe: strappa a mani nude il feto a un'attrice, infila nelle scale mobili il produttore ciccione, butta in padella il cervello ad un cocainomane, ecc. ecc. il tutto con un estremismo che rasenta l'humor ma che di fatto, da una parte non impressiona e dall'altra non fa ridere. 

Il numeroso cast che compone questa ambiziosa prova del buon Kaufman trasforma tutta la pellicola in puro Camp movie con riferimenti a Steven Spielberg (l'assassino lo adora) ed al cinema in generale. Insomma più che un film vero e proprio Terror Firmer sembra una riflessione tutta personale sul modo di fare cinema della Troma, il suo manifesto di ribellione nei confronti di Hollywood e degli spettacoli preconfezionati. 



Non nego che un film del genere possa lasciare disgustati almeno l'80% degli spettatori convenzionali, non nego che anche gli amanti dell'horror e dello splatter (qui distribuito a largo consumo) possano trovare (Si! Persino loro!) la pellicola ributtante tuttavia il cinema di Kaufman è uno dei più vivi di questi ultimi vent'anni ed il suo contributo alla causa che perseguono i fan del genere non è da sottovalutare. Certo scene come quella del ciccione che assaggia a cucchiaiate la merda fuoriuscita da un cadavere fanno venire voglia di alzarsi e andare in bagno a vomitare sul Mereghetti!

Un affettuoso quanto maleodorante ricordo del grande (in tutti i sensi)
 R.I.P.



martedì 4 ottobre 2016

ZOMBIE SELF-DEFENSE FORCE

(Zonbi jieitai, 2006)
Regia
Cast  , ,


Volete farvi del male? Volete farvi mollare dalla fidanzata, espellere da scuola, farvi picchiare dai bulletti del quartiere? Allora guardate, condividete e consigliate questa immonda ciofeca realizzata dal pur prolifico Naoyuki Tomomatsu, conosciuto anche per la saga delle sexy zombesse di Lust of the Dead. Tomomatsu è un fervente ammiratore di George A. Romero che non esita a definire genio nel delirante intro dove una bandiera giapponese sventola in mezzo a ideogrammi che sproloquiano contro gli Stati Uniti. Dopo questa bell'introduzione si parte con un'astronavina fumigante che sembra uscita da un vecchio cartone animato. Il velivolo ondeggia su un brutto sfondo del monte Fuji fino a concludere disastrosamente il suo viaggio. Fin troppo evidente che l'astronave porterà al risveglio dei morti viventi e qui assistiamo al solito canovaccio di un gruppo di vari sfigati che si deve sorbire l'invasione. 

C'è una squadra di militari, una coppia di gangster, un set fotografico per una smorfiosa cantante e un albergatore che subisce il ricatto di una sua ex, tutti asserragliati nel motel dove gli zombi iniziano lentamente ad avanzare. La messa in scena amatoriale è compensata dall'eccesso tipico della recitazione nipponica con trucchi splatter che alternano penosi make-up a spruzzi di sangue digitale appiccicati in malo modo alla pellicola. Tra zombi bigodinati, soldati morti che fanno il saluto militare, altri che spruzzano lacca per capelli e altri ancora che si muovono ancheggiando come paraplegici, il delirio trash raggiunge livelli di noia insostenibile in cui tutto sembra visto e stravisto e la prevedibilità sembra essere la bibbia totale per questo sgangherato film di zombi.
Non contento di ammorbarci per un'ora e mezza scarsa con scenette deficienti, feti zombificati che saltano a destra e sinistra e schifezze varie, Tomomatsu ci butta dentro anche una soldatessa robot che nel finale si scatena in un duello a colpi di katana con il fantasma di un soldato della prima guerra mondiale. Spunta anche un bruttissimo alieno che sembra uscito da un videogioco anni ottanta che per fortuna viene subito affettato. Gli effetti visivi fanno rimpiangere le vecchie produzioni dell'Asylum  ed anche la profusione di lattice lacerato dimostra una sciattezza estrema nel voler mettere in piedi un film di zombi che per quanto "cheap" si poteva fare sicuramente meglio.
 

martedì 27 settembre 2016

THE GORE GORE GIRLS



(Id. 1972)
 
Quando un artista diventa tale che il suo stile risulti riconoscibile tutto il resto passa in secondo piano, anche la poca competenza nell'uso dei mezzi cinematografici.Questo il caso di Herschell Gordon Lewis, unanimamente considerato il padre del cinema gore, qui nel suo cosidetto canto del cigno, nonchè ultimo titolo diretto prima del suo ritiro dalle scene nel 1972, ritiro durato trent'anni, ovvero fino al 2002 in cui diresse il seguito del suo titolo più celebre "Blood Feast 2: All U Can Eat ".

The Gore Gore Girls, rappresenta la summa di un autore che ha sempre privilegiato l'aspetto economico rispetto a quello artistico di un film, paradossalmente fu proprio questo suo atteggiamento a trasformarlo in qualcosa di simile ad un artista, sostituendo però il pennello con le interiora comprate al macellaio. L'intento di questo suo ultimo thriller è però tutt'altro che autoreferenziale, anzi, sembra quasi che in The Gore Gore Girls, Lewis tenda a prendersi in giro, l'impatto iniziale è alquanto violento con l'assassino che fracassa la testa di una donna contro lo specchio, poi però l'entrata in scena del protagonista, l'aristocratico investigatore Abraham Gentry mette tutto sul piano dell'assurdità in quanto viene pagato 25.000 dollari dal quotidiano "The Globe" per risolvere il caso del killer delle spogliarelliste.

Insieme alla reporter Nancy, l'investigatore inizia a girare per lo strip club dove è stata uccisa la prima vittima. Lewis dirige il prototipo dello slasher e, per l'occasione sfodera la sua fantasia gore più perversa nei confronti delle povere ragazze, che quasi sempre si presentano a seno nudo. Ecco quindi che una si becca una martellata sul cranio mentre fa il palloncino con la chewing gum che si riempie di sangue (sequenza memorabile giustamente passata alla storia del cinema di genere), un'altra a cui taglia i capezzoli da dove fuoriesce una sorta di caffelatte con cui l'assassino fa allegramente un brindisi, un'altra che viene sculacciata con un batticarne fino a trasformarle le chiappe in poltiglia, insomma un campionario di efferatezze dove l'artista Lewis si compiace divertito di pastrugnare nella carne e schiacciare occhi bovini con le dita costruendo vere e proprie sculture gore.Peccato che il padrino del gore sia più attento alla macelleria che alle inquadrature e che alcune sequenze diventino talmente statiche da rasentare la noia, in ogni caso il divertimemto è garantito se non altro dalle buffe interpretazioni di Frank Kress e Amy Farrell, coppia improbabile ma simpatica, e da tutta una serie di bizzarri personaggi che condiscono la trama tra cui un reduce del vietnam che si diverte a sfondare a pugni zucchine e pomodori, una cameriera irascibile e l'insolita irruzione di un gruppo di femministe che trasformano lo spogliarello in una rissa stile western. A questo punto attendiamo frementi l'ultima opera del maestro, quel "The Uh-oh Show " che si preannuncia come una vera e propria valanga di interiora e sangue.

Ci mancherai tanto Hershell, ma la tua opera di sangue resterà con noi, per sempre! R.I.P.

mercoledì 21 settembre 2016

SANTO EN LA VENGANZA DE LA MOMIA

(Id. 1971)
Regia  
Cast  , ,  


Appare inevitabile, trattando cinema di genere, dover prima o poi parlare del Santo, lottatore imbattuto in Messico alla fine degli anni '60, meglio conosciuto come "El enmascarado de Plata", l'uomo dalla maschera d'argento, una sorta di passamontagna con cui Rodolfo Guzman Huerta ha celato la sua identità durante tutta la sua carriera come wrestrel e attore in qualcosa come 53 film che spaziavano nei generi più disparati. 

Kung fu, Spionaggio, avventura e soprattutto Horror erano le trame delle pellicole in cui si cimentava colui che per anni è diventato una sorta di eroe nazionale messicano, nascosto perennemente dietro una maschera che manteneva anche nella vita privata fino a diventare parte della sua conformazione facciale, modificandone irrimediabilmente i tratti del viso. Santo, arrivato da noi con il nome di Argos, ha combattuto contro tutti i mostri classici, da Frankenstein a Dracula, ai Marziani e nello specifico la Mummia. Ovviamente la Mummia in questione è una mummia maya, della etnia Opacha, di nome Nanoc, una sorta di sacerdote innamorato di una vittima sacrificale che decide di profanare la tradizione sanguinaria dei sacrifici umani, rapendo la ragazza e per questo condannato alla sepoltura eterna. 

La spedizione organizzata dal professor Romero (César del Campo), uno svanito scienziatello davvero spassoso, consta del Santo come guardia del corpo. Questo non impedisce a Nanoc di risorgere dalla tomba e trucidare i profanatori. Solo Santo alla fine riuscirà a sconfiggere il mostro e a scoprire chi c'è dietro alla maschera di morto che ciondola per tutta la pellicola del grande René Cardona (il cui figlio ha proseguito la tradizione registica con film altrettanto weird anche se più sanguinosi). Sia all'inzio che alla fine Santo combatte sul ring e per circa mezz'ora assistiamo alle sue prodezze nella Lucha Libra col pubblico eccitato a testimoniare un mito dell'epoca diventato una vera e propria icona per il Messico e per noi accaniti divoratori di pellicole assurde come quella di cui vi ho appena parlato.

mercoledì 14 settembre 2016

THE DEAD NEXT DOOR

(Id. 1989)
Regia   
Cast , ,  


La macchina del cinema ha un motore strano che muove i suoi cilindri seguendo schemi imprevedibili, con un percorso ciclico che ruota negli anni portando a galla nuove forme di linguaggio e nuovi autori in grado di tradurle per il grande schermo. Negli anni ottanta uno di questi motori si chiamava Sam Raimi che, grazie al suo folgorante esordio con "Evil Dead" aveva tracciato le basi per il nuovo horror indipendente. Non solo in qualità di musa ispiratrice, il buon Sam, in certi casi, apriva l'allora magro portafoglio per produrre operine low budget come questo. Nonostante il suo nome nel film si legava allo pseudonimo "The Master Cylinder" in qualità di produttore esecutivo, la sua presenza era tutt'altro che celata. Innanzitutto il protagonista si chiama Raimi e ad un certo punto un gruppo di persone si sta godendo alcune scene di "Evil Dead".

Per il resto il film di J.R. Bookwalker risulta piuttosto sciattino, sia per quel che riguarda la trama sia per la realizzazione piuttosto amatoriale. Siamo nel solito mondo pervaso da un virus misterioso che ha generato orde di zombie cannibali e il governo per respingere l'orrore mette in piedi una zombie squad di sbirri i quali, oltre a fermare i morti viventi, deve tenere a bada i manifestanti per il libero diritto degli zombi a camminare sulla terra (citazione romeriana che appare su uno dei cartelli). Ma la missione più importante è recuperare un siero in grado di curare il virus, la squadra incaricata deve però vedersela con i seguaci del reverendo Jones (che si ispira al santone della Guyana, quello che aveva suicidato i suoi accoliti) che operano sacrifici umani e nutrono schiere di zombi nascoste nei seminterrati della loro comune. Sin dalle prime immagini ci troviamo di fronte ad una messa in scena poverissima dove la fotografia è praticamente sconosciuta così come la recitazione appare goffa sia per quanto riguarda i vivi che per i morti.

In certi punti ricorda un po "Bad Taste" ma senza il genio di Peter Jackson, non bastano quattro gatti straccioni che arrancano sulle cancellate della Casa Bianca per rendere efficace un'invasione di zombie, soprattutto se non si ha cura di nascondere il normale traffico cittadino o se si cerca di inquadrare una rete di polli facendola passare per una gabbia per morti viventi. Lo splatter, c'è da dire, è copioso anche se molto posticcio, anche il forzato omaggio ai tanti nomi di punta horror dell'epoca (oltre a Raimi ci sono anche Carpenter e Savini) risulta alquanto datato, almeno quanto le pettinature stile "Wham" di alcune comparse. L'audio ci propone fino all'ossessione il brusio di zombi pitchato in basso fino a diventare un grottesco pollaio di suoni senza senso, salvo poi nel finale farli parlare per davvero (ma tanto oltre a dire che hanno fame, cosa cazzo devono dire 'sti poveracci?). Nonostante questi difetti il film risulta comunque godibile per veri appassionati di chicche datate, con trucchi di make-up che passano dalla semplice incipriatura di sfigati vestiti con camicie strappate a pupazzi stile Muppet show che agitano le braccine roteando gli occhioni a palla. L'idea degli zombi con le museruole è comunque innovativa per l'epoca anche se George A. Romero aveva già da quattro anni inventato il collare per i cannibali vaganti e Bubba aveva già detto le sue prime paroline.