lunedì 30 marzo 2015

ROBOTROPOLIS

(Id. 2011)
Regia
Cast , ,


E' dai tempi de "L'uomo meccanico" di Andrè Deed (il mitico Cretinetti) del 1921 e nel successivo e ben più conosciuto "Metropolis" di Fritz Lang che i robot hanno, nel bene o nel male, invaso l'immaginario fantascientifico cinematografico. Un sogno meccanico di realizzare una copia dell'essere umano in versione meccanica in grado di elargire servigi alla nostra razza, sogno che spesso, nella settima arte si tramuta in un incubo come dimostrano opere come "Il mondo dei Robot" o "Terminator", due tra i titoli da cui più attinge questo "Robotropolis" dove  un futuro non troppo prossimo vede dei giganteschi automi bianchicci gestire i servizi sociali della cittadina di New Town in qualità di moderni schiavi automatizzati che occupano ruoli più o meno bassi della scala sociale, ovvero braccianti, domestici e poliziotti. 

Peccato che un errorino di uno dei tecnici specializzati trasformi queste macchine in strumenti di morte, il tutto partendo da un incidente occorso durante una partita di calcio in cui una discussione tra un giovane calciatore ed il robot che, molto simpaticamente, è stato messo in squadra, si trasforma in tragedia quando l'essere meccanico spara improvvisamente uccidendo il ragazzo. Il tutto ripreso da una troupe televisiva che da lì in poi dovrà affrontare la crisi di New Town. I robottoni uccidono, massacrano chi gli capita a tiro e fanno esplodere centrali petrolifere. Li vediamo maciullare, trasformarsi in segugi a quattro zampe a caccia dei superstiti che, ovviamente, organizzeranno la solita resistenza. 

Prodotto e realizzato a Singapore, il film appartiene di diritto alla scuola Asylum dove gli effetti speciali, comprese le poche scene splatter, vengono realizzati interamente al computer con l'inconfondibile stile "Atari" che contraddistingue da sempre la nota casa di produzione holliwoodiana. La differenza, qui, semmai è la mancanza di qualche icona del cinema di serie B riciclata per fame allo scopo di dare richiamo all'opera. Al suo posto troviamo l'australiana Zoe Naylor, reduce del ben più dignitoso "The Reef" che dimostra quanto pessima può essere la recitazione quando alle spalle non c'è il regista giusto e, in questo caso l'esordiente Cristopher Hatton non ce la fa proprio. 

 Gli andrà un filo meglio con il successivo "Battle of the Damned" dove, oltre ai robottoni rachitici, ci sbatte dentro anche gli zombi e riesce a recuperare dalla naftalina nientemeno che "Dolphi "io ti spiezzo in due" Lundgren. Dopotutto "Robotropolis" risulta anche discretamente scorrevole, se si supera l'imbarazzante recitazione, i servizi giornalistici realizzati con template casalinghi e i robottoni che sembrano usciti da una versione povera di Robocop. Il finale che vede di spalle i due protagonisti mentre si avvicinano le macchine, lascia un senso di incompletezza e affrettata superficialità che fa intendere la volontà dell'autore di fare il figo senza avere necessariamente le basi per farlo.
 


lunedì 23 marzo 2015

HORROR IN BOWERY STREET

(Street Trash, 1987)
Regia
Cast , ,


Peccato che Jim Muro abbia scelto di abbandonare la regia dopo la realizzazione di questo capolavoro delirante. Non sono ben chiari ad oggi i motivi di questa scelta (ma pare ci fossero di mezzo intrallazzi mafiosi nei finanziamenti), fatto sta che, dopo questa piccola perla del cattivo gusto, Muro ha definitivamente abbandonato la regia per celarsi dietro una più rassicurante figura di operatore steadycam per blockbuster come X-Men: The Last Stand , True Lies e Titanic, accantonando per sempre l’ambiente delle produzioni indipendenti.Attualmente Street Trash rimane quindi l’unica testimonianza del talento di Muro a livello registico, un film che, assieme al contemporaneo Bad Taste e a Basket Case, ci svela, negli anni ’80, un tesoro nascosto di produzioni indie veramente notevoli che nuotano nello splatter e nel genio puro di autori in erba ma con un grande futuro davanti.

Street Trash ci porta nella sporcizia e nel sudiciume del Queens, in mezzo a barboni alcolizzati che lavano i vetri saltando sul cofano delle auto, si infilano polli rubati nei pantaloni e fanno filippiche razziali se li beccano, vivono in mezzo alle auto in demolizione e giocano a palla con peni tranciati di netto. Il delirio e la bassezza non risparmiano niente e nessuno, c’è un osceno ciccione che non esita a farsi un cadavere, un reduce del Vietnam psicopatico che uccide con un coltello ricavato da un osso umano ed un campionario di individui ai margini della civiltà, reietti e rinnegati che regrediscono all’istinto più bestiale. In tutto questo il filo conduttore della storia è un sedicente liquore denominato Viper che scioglie letteralmente i suoi consumatori. 

Ed è proprio nelle scene di squagliamento dei malcapitati avventori di questo strano liquidi che Muro trova il massimo godimento nel mostrarci vere e proprie opere d’arte, i corpi diventano colorati, si afflosciano nei cessi somigliando a grotteschi blob, un tripudio di marcescente liquame giallo e rosso, pance che si gonfiano per poi esplodere, seni che si bucano e sprizzano sangue. Sul finire poi il tutto si chiude con un esplosione di splatter veramente notevole ed un divertentissimo dialogo finale tra il pacato giovine che fa il portiere in un albergo di lusso ed un boss mafioso che vuole farlo fuori. Non so perché Muro abbia smesso di girare ma di sicuro ci ha regalato un’opera forte, anarchica ed irresistibile, che nonostante gli anni si mantiene fresca e intatta in tutta la sua forsennata demenzialità.

martedì 17 marzo 2015

THE GIANT BEHEMOTH



 (Id. 1959)

Parente povero dei grandi monster movie americani, il film di Eugène Lourié appartiene ad una serie di titoli dedicati ai dinosauri a cui appartengono classici come "Il risveglio del dinosauro" e "Gorgo", entrambi diretti dal regista franco-russo. Purtroppo, a differenza dei sopracitati la qualità di questo è molto modesta, sopratutto a causa di una trama priva di colpi di scena che si limita, quasi a livello documentaristico, a narrare in modo superficiale e piatto l'apparizione di una specie di parente prossimo di Nessie lungo le coste della Cornovaglia. Le prime scene sono ormai quelle arcinote dell'esplosione atomica nell'atollo di Bikini, seguite dal pippotto anitinuclearista da parte del solito biologo americano che denuncia come il plancton contaminato dalle radiazioni nucleari aumenti i rischi di mutazione della popolazione ittica, nel frattempo, in un piccolo villaggio della Cornovaglia si accenna ad una traccia di trama in cui un pescatore viene ritrovato ustionato sugli scogli, in mezzo ad una moria di pesci. Le sue ultime parole prima di morire sono " Behemoth" (altrimenti che senso avrebbe avuto il titolo biblico?). 

La storia poi vira bruscamente con l'arrivo degli scienziati che iniziano a fotocopiare pesci in uno strano marchingegno che attiva una campanella stile micro-onde quando finisce la scansione. Poi il mostro inizia a prendersela con gli infanti e uccide un ragazzino e poi una bambina ma bisogna aspettare almeno un'ora prima di iniziare a vedere lo sgangherato dinosauro umidiccio che sembra un cammello incrociato con un cavallo. A quel punto il regista non sa più cosa raccontare e inizia a montare in modo forsennato i preparativi di Londra per l'imminente attacco del mostro, quindi sequenze di esercitazioni militari, i militari che avvisano la popolazione per farla evacuare, la popolazione che non evacua, la polizia militare che transenna le strade, la popolazione che si piazza dietro le transenne nell'attesa del mostro, poi montaggio misto ed ossessivo delle antennone girevoli per le comunicazioni con alternarsi di addetti alle comunicazioni che snocciolano codici incomprensibili ma che fanno tanto figo.

Ad un certo punto spunta quindi il ciambellone, ovvero il collo del mostro che si piega a ciambella nell'acqua e da lì in poi è un alternarsi di sequenze di panico, con gente che scappa senza manco sapere dove, primo piano del dinosauro umidiccio, gente che scappa, umidiccio, gente che scappa fino al duello finale tra il mostro che nuota a passo uno nell'acqua con movimenti ridicoli ed un sommergibilino che gli tira in faccia un missile spappolandogliela (anche se poi, quando risale un momento in superficie, la faccia del mostro è stranamente intatta). Prodotto in estrema economia, il film sembra vivere più per espedienti atti al suo allungamento a durata istituzionale che per una trama propria. Gli effettisti Willis O'Brien e Pete Peterson non si preoccupano nemmeno di nascondere le giunture del dinosauro e le sue animazioni rasentano quasi il ridicolo, in questo purtroppo Pete Peterson, che ne realizzò la maggior parte, ha una parziale attenuante dettata da un lungo e degenerativo male (soffriva di sclerosi multipla) che non deve avergli dato vita facile durante la lavorazione.

lunedì 9 marzo 2015

IL MOSTRO INVINCIBILE (GAMERA VS. VIRAS)

(Gamera tai uchu kaijû Bairasu, 1968)
Regia
Cast , ,

Il Kaiju Eiga è un genere a parte e come tale dovrebbe essere catalogato. Risulterebbe impossibile altrimenti giudicare film come questo film  di Noriaki Yuasa  che si potrebbe sintetizzare in uno dei suoi innumerevoli nomi:  "Gamera contro Viras". I personaggi umani sono a dir poco irritanti, al limite dell'estremo con due boyscout di 12 anni circa chiamati Masao (Toru Takatsuka) , il giapponesino genietto e Jim (Carl Craig), l'americano scaltro, rapiti dagli alieni dentro un'astronave a forma di palloncini rigati allo scopo di ricattare Gamera, il mitico tartarugone gigante che ruota nello spazio come un'astronave della serie S.H.A.D.O. e lancia fiammate contro i nemici: una sorta di vigilante della terra e amante dei bambini. La terra decide di arrendersi dopo una telefonata delle Nazioni Unite che per salvare due bambini sottomette un intero pianeta (!!!).

Per fortuna che i ragazzini sono scaltri e riescono a liberare Gamera dal costrittore di volontà che gli impone di distruggere Tokyo. A questo punto ci possiamo finalmente godere in pace un bel combattimento tra mostri, ovvero tra Gamera ed il mostruoso polipone Viras, ingigantito dall'unione fra extraterrestri poliponi, truccati da giapponesi in calzamaglia.
Il Kaiju Eiga è così, un genere costruito a uso e consumo dei bambini, dosando la loro ingenuità ad un comparto visivo che, in assenza di mezzi, fa miracoli e ci regala dei bei momenti kitch.
Dedicato a chi non smette di sognare i tartarugoni giganti!
 


giovedì 5 marzo 2015

FATAL FRAMES FOTOGRAMMI MORTALI

(Id. 1996)
Regia
Cast , ,  


Un film ormai di culto, praticamente un kolossal del brutto cinematografico che ha contribuito suo malgrado, negli anni novanta, a determinare il declino e la successiva scomparsa del cinema di genere. Già dai titoli di testa si resta perplessi e incuriositi da un cast che mescola alla rinfusa Ciccio Ingrassia con Ugo Pagliai, Donald Pleasence con David Warbeck, Giorgio Albertazzi con Rossano Brazzi e dulcis in fundo la breve apparizione di Angus Scrimm, il Tall-Man di Phantasm del regista Don Coscarelli. Cosa si può pensare con un cast del genere? Un capolavoro citazionista? Una summa dell'horror anni ottanta? Un ritorno agli sceneggiati gotici della Rai sullo stile "Il segno del comando"? No signori, nonostante i nomi impressi sulla pellicola, siamo di fronte ad uno dei film più truzzi e malfatti della cinematografia italiana. Già nel primo omicidio, dove vediamo il machete accarezzare la vittima da cui si aprono le ferite, ci si rende conto che qualcosa non va. 

Non parliamo poi del flashback iniziale dove Albertazzi costringe il figlio a guardare uno snuff movie (da lì ovviamente tutte le motivazioni che portano all'omicidio il serial killer denominato "video killer"), ma tutto questo signori, non vale nulla di fronte all'apparizione dell'attrice trash del secolo, ovvero "Stefania Stella" !!! Reduce da capolavori come "Celebrità" o "Pierino contro tutti" la Stella è una non-attrice e non-cantante meravigliosa, al punto che  per rendere la recitazione credibile sentiamo i suoi dialoghi in voice over mentre viene ripresa da lontano. Al Festa, nonostante sia sua moglie, aveva capito tutto. Purtroppo qualche primo piano ci rivela l'incredibile recitazione della Stella, nulla però al confronto della canzone "Eternally yours" dove stecca visibilmente mentre viene sollevata ( e non è certo un fuscello!) di peso da ballerini aitanti, di fronte ad un palco poggiato nel Colosseo in mezzo ai turisti! Non parliamo poi del protagonista maschile Rick Gianasi, un patrick scwayze denoiarti con capelloni a coda di cavallo, mascellona marmorea, camicia bianca e stivalazzi nel più puro truzzodeborgata style! Come se non bastasse la fotografia videoclippara punta tutto su colori saturi come il blu e il rosso, senza contare alcune sequenze dove le luci sono posizionate in modo sbagliato al punto di mettere in ombra il volto del protagonista mentre parla. 

Non parliamo poi del montaggio che taglia a fette i dialoghi allontanando di colpo la telecamera o sfuocando arbitrariamente gli attori mentre stanno ancora parlando. Festa si da un gran daffare per migliorare le cose, cercando inquadrature ardite ma la Stella sarebbe in grado di rendere ridicolo anche un film di Kubrick, atteggiandosi in modo ridicolo a sexy vamp con coscione e tettone che sbordano da tutte le parti fino all'apoteosi rappresentata dall'immancabile scena di sesso col Gianasi dove lei copula indossando un tanga!!! Per il resto ci sarebbe da scrivere un libro riguardo alle manchevolezze di un film ambizioso solo negli intenti, capace di citare ironicamente Halloween quando Pleasence prende commiato ( e purtroppo per ironia della sorte questo sarà realmente il suo ultimo film) ma incapace di tappare tutti i buchi di una sceneggiatura verbosa e sconclusionata in cui si mescolano sedute spiritiche imbarazzanti con voci di spettri che sembrano leggere il copione a macchinetta, vittime inseguite che corrono per i cazzi loro in tondo lungo le rovine del Colosseo, imbarazzanti balletti dentro la fontana di Trevi dove la Stella non la finisce più di infracicarsi, dialoghi da toccarsi i coglioni, musichette che è passano dal romantichese sdolcinato al goblin profondorossato con una musichetta che cita la soundtrack de "Il segno del comando" a riprova che Festa si è molto ispirato a questo bellissimo sceneggiato sia per le atmosfere di una Roma notturna dai rimandi baviani (anche l'abbigliamento dell'assassino si rifà ad un celebre film di Bava), sia per la presenza di elementi in comune (un pittore perverso, la seduta spiritica in un palazzo storico). 


Ad un certo punto poi David Warbeck si scatena in recitazione fuori dalle righe che fa rimpiangere i capolavori fulciani e nel finale tutto lo spirito visionario di Festa si scatena in un delirio programmatico che sembra meno peggio di quello che è. In sostanza un film talmente brutto e malfatto che riesce a ipnotizzare per oltre due ore lo spettatore, trasportandolo in un universo di tamarri capelloni, tettone sboccate e vecchie glorie del cinema horror, imperdibile.