lunedì 30 settembre 2019

BABY LOVE

(1979)

Regia Rino Di Silvestro

Cast Paola Maiolini, Violette Lafont, Oliver Kris

Genere: Drammatico, Sexy, Surreale

Parla di “Figlia di una ricca vedova viene venduta a quattro faccendieri ma si ribella e fugge”

Quando si gira un film dove il fulcro dell'attenzione è rappresentato dal pelo non è che si possa pretendere chissà quale struttura narrativa, nemmeno chiedere a gran voce dei dialoghi coerenti e una recitazione di spessore ma questa pellicola scritta e diretta da Rino di Silvestro non solo riesce a negare totalmente questi tre elementi ma ha pure due pretese assurde nei confronti dello spettatore: 1) far ridere 2) fondere surrealismo favolistico con un'aberrazione autoriale decisamente incomprensibile. Il regista, che ci aveva deliziato con quel piccolo cult che era "La lupa mannara", sembra sciogliere lo script narrativo nell'acido mescolandolo con il trash della commediaccia boccaccesca e l'idiozia demenziale più gretta.  Il film sconfina poi in una supposta satira dell'intellighenzia teatrale ma alla fine converge tutti i suoi sforzi nell'unica destinazione possibile: mostrare quanta più fica possibile. 

Baby Love è una ragazzina simpatica come le zecche attaccate ai coglioni di un cane, la interpreta una certa Violette La Font la quale, viste le prodezze interpretative dimostrate in questo film, non lavorerà mai più nel cinema. Figlia di una ricca vedova che parla solo un linguaggio da mediatore finanziario con l'aggravante di un assurdo accento bolognese, viene venduta a quattro faccendieri di varie nazionalità, c'è il cinese che ovviamente mette la L al posto della R ed ha un fiuto infallibile di cui continuerà a vantarsi per tutto il film facendo smorfie da capra sgozzata. Abbiamo poi il russo che parla esclusivamente citando proverbi cosacchi, ucraini, siberiani ecc. ecc., un americano biondo tinto con la voce uguale a Stan Laurel doppiato in italiano e dulcis in fundo il signor Cannamozza, arricchito voyeur siciliano, forse l'unico che riesce a strappare un sorriso all'interno di questa orrenda gazzarra. Il film prosegue con le vicissitudini di Baby Love che scappa insieme ad un giovane aitante e finisce con un demente che si crede genio del teatro e non fa che urlare citando canovacci sconnessi per più di un'ora. 

Fra scene lesbo arrapanti come una martellata sugli infradito, frustate sado maso senza senso, masturbazioni psichedeliche e un incomprensibile impalamento su un fallo di legno, il film si spegne nella demenzialità più atroce nel finale dove i quattro idioti iniziano a saltare da tutte le parti strappandosi i vestiti di dosso mentre la macchina da prese si appanna, probabilmente esausta da tali porcherie. Di Silvestro insiste non appena possibile su dettagli anatomici femminili sia coperti da esili cinture di castità sia allacciati da divise da dominatrici in latex, c'è pure una scena di body piercing estremo con un ago che trapassa il capezzolo di un fabbro vestito da una toga finto romana mentre un trio di donne dal volto colorato di verde mima su di lui un imbarazzante movimento sessuale. Ciliegina sulla torta, il nostro regista ci rifila ad un certo punto anche una danza giapponese con maschere kabuki la cui lentezza rappresenta sicuramente il colpo di grazia all'interno di un'opera che, oltre ad una fastidiosa irritazione psico-cutanea non può fornire altri contributi allo sventurato spettatore. 

martedì 24 settembre 2019

NOTTI DI TERRORE

(The Devil Bat, 1940)

Regia: Jean Yarbrough
Cast: Bela Lugosi, Suzanne Kaaren, Dave O’Brien

Genere: Horror, Fantascienza

Parla di: “Chimico frustrato si vendica su propri nemici utilizzando profumo che attira pipistrelli giganti” 

Il termine Poverty, inserito all’interno del nome di una casa produttrice cinematografica, la dice lunga sulla qualità dei prodotti confezionati dalla stessa, ed infatti la PRC (Producing Release Company conosciuta anche come Poverty Row) si presentò per la prima volta sul mercato delle pellicole Horror con questo film a bassissimo budget di Jean Yarbrough che, sei anni dopo, girerà She Wolf of London, Thriller non memorabile ma se non altro pregno di una discreta dose di originalità. Stessa cosa non si può dire di questo Devil Bat (uscito da noi con il titolo Notti di terrore) in cui la mediocrità dell’impianto realizzativo fa a pugni con un’idea che, tutto sommato, poteva anche essere interessante. 

Il Dr. Paul Carruthers, impiegato in una ditta cosmetica, si sente frustrato perchè Heath, il padrone dell’azienda si è arricchito con i suoi profumi; medita così di vendicarsi e attraverso la stimolazione elettrica ingigantisce dei pipistrelli addestrati ad attaccare le persone alle quali viene applicato un determinato profumo di sua invenzione. Spacciandolo come nuova lozione da Barba, Carruthers offre il profumo ai figli di Heath che uno ad uno, vengono assaliti e sgozzati dal pipistrellone. Due giornalisti furbetti indagano sul caso, inizialmente tentando con l’inganno di arricchirsi pubblicando foto false del mostro salvo poi, alla fine, dipanare inaspettatamente, il bandolo della matassa. Pur dotato di qualche momento divertente, The Devil Bat presenta grossi limiti nello sviluppo narrativo, ripetendo spesso le stesse sequenze (ovvero quando i pipistrelli escono dall’abbaino per uccidere).

Yarbrough oscilla tra il comico e l’horror mentre Bela Lugosi attinge solo due espressioni dal suo bagaglio recitativo, ghigno sardonico e imbronciamento marmoreo da incazzato perenne, riuscendo in qualche momento a sbagliare pure l’alternanza delle due espressioni con risultati involontariamente surreali. Per la riproduzione del pipistrellone, invece, ci si affida a pupazzi di peluche alati e movimentati attraverso fili invisibili che simulano lo sbattito d’ali. Ogni tanto, durante le sequenze degli esperimenti, l’inquadratura del mostro si alterna a primi piani di un vero pipistrello, probabilmente ripreso durante la visita ad uno Zoo. Completa il tutto un cast mediocre che si regge sull’unico pilastro di Lugosi e sulla bella Suzanne Kaaren che ci offre un gradevole diversivo al piattume generale.   

lunedì 16 settembre 2019

LE NOTTI DEL TERRORE

(1981) 

Regia Andrea Bianchi 

Cast Karin Well, Gianluigi Chirizzi, Peter Bark 

Sono film come questo che rendono crudeli e irriverenti certi critici, soprattutto quando nel cast è presente un attore affetto da nanismo come Peter Bark, all'anagrafe Pietro Barzocchini che al pari di Plinio Fernando (ovvero la Mariangela di Fantozzi) appartiene a quella categoria di attori definita "vecchi bambini", cioè coloro che per ragioni estetiche e fisiche, possono essere utilizzati per interpretare minori con indubbi risultati trash demenziali. Il problema è che, mentre Mariangela Fantozzi era un personaggio di una saga comica, in questo frangente il film avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni, fare paura. In realtà proprio nel momento in cui la macchina da presa inquadra il giovine Michael disteso sul letto addormentato che, all'improvviso, apre gli occhi, parte il culto trash assoluto in cui vi è d'obbligo la risata sociale. Non parliamo poi dei pruriti edipici del pargolo nei confronti della madre, in una scena dove il bimbo, abbracciato e coccolato dal procace genitore, scatena il proprio arrapamento cercando di pomiciarsi la madre (per poi ricevere in cambio un sonoro schiaffone). 

Tolto il personaggio di Peter Bark, giustamente entrato nell'olimpo del trash per questa sua interpretazione, il film di Andrea Bianchi, la cui fama di mestierante e pasticciatore di generi nel cinema bis italiano supera lungamente i suoi reali meriti artistici, è uno zombie movie senza alcuna trama apparente se non un improbabile incipit dove un vecchio barbuto rovista nelle tombe etrusche prima di essere mozzicato a morte da uno zombie. I morti viventi spuntano fuori dal praticello all'inglese di una villona aristocratica dove convergono un improbabile gruppetto di snob per un weekend all'insegna dello scazzo. I domestici assistono all'esplosione in sequenza di tutte le lampadine di casa mentre le varie coppiette, disperse nel giardino reale, vengono assalite da questi orrendi mascheroni da teschio ricoperti da lombrichi penzolanti e larve che sporgono dalle cavita oculari. Vestiti con vecchi sai stracciati da monaci, i claudicanti esseri mordono e strappano viscere come se non ci fosse un domani, sono abili tiratori di chiodi giganti con cui crocifiggono alla persiana una domestica prima di decapitarla lentamente con una falce, usano asce, forconi e si arrampicano sui balconi, tutto con rigorosa lentezza. 

Del resto non è che i viventi dimostrino molte capacità di comprendonio e sagacia, a parte correre come matti, strillare come galline sgozzate e chiudersi da una stanza all'altra per tutto il film, non fanno, con grande dispendio di noia per lo spettatore. Se da un lato l'utilizzo del gore tipicamente fulciano, può dare qualche disturbo di stomaco, per il resto il film è completamente privo di idee, la recitazione è ridicola (a partire dalle facce che fanno gli attori) e le situazioni risultano davvero assurde. Alla fine non stupisce che a conquistare il cuore dei cinefili di tutto il mondo sia stato il volto contrito del buon Barzocchini, sorta di Benjamin Bottom  sul suolo italico che, una volta zombificato, si avventa come un putto diabolico a divorare il capezzolo in lattice della madre. 

lunedì 9 settembre 2019

THRILLER: A CRUEL PICTURE

(Thriller - en grym film, 1973) 

Regia Bo Arne Vibenius 

Cast Christina Lindberg, Heinz Hopf, Despina Tomazani 

Avvolto in un silenzio devastante, rotto solo dal fruscio delle foglie autunnali, l’incipit sembra uscito direttamente da un film pasoliniano, ed è subito un pugno nello stomaco vedere in primo piano l’orgasmo di un vecchio bavoso pensando, immaginando cosa stia facendo a quella povera bambina. L’incipit di questo cult svedese diretto da Bo Arne Vibenius non fa sconti a nessuno e, nella sua narrazione lenta e oppressiva ci porta crudamente all’interno delle sfortunate vicende della giovane Frigga, diventata muta dopo il trauma della violenza infantile e nonostante questo dotata di una innocenza disarmante, al punto da farsi irretire nuovamente alla fermata dell’autobus da un losco faccendiere che la trascinerà giocoforza nel mondo della prostituzione e della tossicodipendenza. Un mondo di violenza dove l’unico risultato alla muta protesta della protagonista sarà una crudele deorbitazione a colpi di bisturi, mostrata esplicitamente (si vocifera anche che per girare la scena fu usato un vero cadavere ma queste sono leggende non provate) in primo piano. 

Il volto antiespressivo ma quanto mai efficace dell’attrice Christina Lindberg si trasforma in una maschera di vendetta contrassegnata da una benda piratesca di stoffa, una maschera che impara gradualmente l’arte della vendetta utilizzando i proventi del proprio mercimonio per imparare a sparare, a guidare spericolatamente e a combattere con l’ausilio delle arti marziali. Un viaggio sciamanico verso la catarsi finale che porterà la giovane a uccidere spietatamente il gruppo di clienti aficionados oltre ovviamente al suo aguzzino. Ambientazioni rurali, disagiate e fredde contribuiscono a dare un senso di straniamento a questo rape&revenge che ogni amante del cinema exploitation dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, non tanto perché titolo di culto amato e citato da Quentin Tarantino nel suo secondo volume di Kill Bill (e in particolare nel personaggio di Elle Driver interpretato da Daryl Hanna) quanto per l’ostentazione di un cinema iperrealista che non ammette sbavature ne cede il passo ad emozioni. 

È un racconto, una cronaca vera di un massacro annunciato che non può, né deve essere intralciato da false cadute verso l’emozionalità ed il falso buonismo (una parola che oggi sembra avere una connotazione politica diversa da quella realmente intesa). Bandito, osteggiato, massacrato da tagli censorei che hanno portato ad una duplice versione con due differenti titoli, la prima del 2004 intitolata Thriller: A cruel picture pesantemente decurtata da scene di sesso e violenza e la seconda, l’anno successivo intitolata Thriller: They call Her One-Eye in cui vengono ripristinate anche le scene hard girate con controfigure e dettagli da autentico cinema porno. Collaboratore di Ingmar Bergman nella seconda metà degli anni sessanta, Vibenius, come regista non avrà una grande carriera, ma questa sua opera intrisa di grande cinema nascosto nei meandri della shockploitation, ci da pienamente il senso spettrale del degrado di una società ai margini, un film senza speranza, disturbante ma luminoso, come il sole accecante in cui si consuma la vendetta finale dell’eroica Frigga. 

lunedì 2 settembre 2019

RADIO ALIEN

(Bad Channels, 1992)

Regia Ted Nicolaou

Cast Robert Factor, Martha Quinn, Aaron Lustig

Dopo aver cosparso di mostruose creature aliene il tubo catodico, il buon Ted Nicolau, supportato come di consueto dalla Full Moon Entertainment e dallo stesso Charles Band in qualità di ideatore del soggetto originale, porta l'invasione extraterrestre sui canali radiofonici dell'emittente KDUL  dove uno strampalato deejay di nome Dan O' Dare (soprannominato Dangerous) viene assediato da un gigantesco alieno con un mostruoso elmetto bitorzoluto che trasforma lo studio in un minestrone verdastro di funghi gommosi, coadiuvato da un robottino sullo stile Star Wars. Il loro obiettivo è rapire e miniaturizzare giovani avvenenti fanciulle collegate alla radio, attraverso la materializzazione di gruppi heavy metal e la smaterializzazione delle donnine che vengono collocate in contenitori di vetro. L'idea di inserire le band intente ad esibirsi in una sorta di videoclip metallaro permette al regista di dilungare gli (scarsi) tempi del film e divertire lo spettatore più giovane con spettacolini rock pieni di finti clown rabbiosi, monache che suonano la chitarra lanciandosi contro il muro, ragazze da tutte le parti ed uno che sembra quasi un sosia di Alice Cooper. 

Il marchio di fabbrica della Full Moon e, conseguentemente, dello stesso Nicolau, sono però le creature ciondolanti protagoniste dello schermo, culminanti nel finale in una specie di giraffona con la faccia da papero disneyano movimentata da fili trasparenti, una bruttura da Muppet Show che viene sconfitta a colpi di disinfettante spray (sic!). Nonostante la pellicola risulti anche piuttosto divertente, con il suo carnet di attori improbabili e situazioni grottesche, manca un po la verve anarchica ed estrema di "TerrorVision" dove le mostruosità assumevano forme contorte da quadro di Salvador Dalì. In questo caso i personaggi rientrano negli stereotipi del B-Movie americano anni ottanta (sebbene in ritardo visto che il film è del 1992) senza eccedere nel kitsch più glam che invece marchiava gustosamente il precedente titolo di Nicolau. 

L'idea dell'intermissione dei gruppi nu-metal comunque risulta carina e la colonna sonora, orchestrata nientepopodimeno che dai Blue Öyster Cult, merita un ascolto. La commistione tra horror, fantascienza e commedia tiene molto bene i tempi cinematografici e la visione, seppur senza particolari momenti esaltanti, risulta tutto sommato piacevole. Certo gli anni d'oro della Full Moon sono altrove e purtroppo i primi anni novanta, con i limiti di un'epoca che stava per concludersi, ne hanno segnato irrimediabilmente il declino.