giovedì 29 marzo 2012

L'ALTRO INFERNO

(Id. 1981)

Regia Bruno Mattei
Cast: Franca Stoppi, Carlo De Mejo, Francesca Carmeno

Quello che fa veramente impressione in questo filmaccio di suore indemoniate sono le espressioni di alcuni attori, talmente sopra le righe da risultare assurde, basti vedere l'introduzione e le innumerevoli facce da indemoniata sadica figlia di puttana che mima Franca Stoppi nella parte della madre superiora, per non parlare dell'urlo agghiacciante e totalmente immotivato di Carlo De Mejo nel finale. Per il resto quello che distingue la pellicola dal resto del genere nunsploitation è non solo l'assoluta mancanza di scene di sesso ma qualsiasi tipo di nudità,cosa che, per un film del genere "vita da suore in convento" appare quasi innaturale. Del resto l'intento dei due realizzatori, la coppia scult del cinema italiano ovvero Bruno Mattei e Claudio Fragasso, era quello di sfruttare il filone esorcistico utilizzando i set del precedente film "La vera storia della monaca di Monza" sempre con il primo alla regia e il secondo alla sceneggiatura.

Nel caso de "L'altro inferno" Mattei si firma con un uno pseudonimo quasi autoriale come Stephan Oblowsky anche se qui di cinema d'arte non ce n'è nemmeno l'ombra, si parla infatti di un convento dove escono cadaveri di suore dagli armadi, dove i neonati vengono buttati vivi nelle pentole, dove i cani assaltano i preti e sbranano i giardinieri, dove gli uomini di chiesa vengono arsi vivi e dove le segrete nascondono strani laboratori di magia nera in cui vengono rinvenuti cadaveri di mulatte a cui la madre superiora estirpa le ovaie a colpi di coltello. Tutto questo per opera del demonio anche se Padre Valerio, chiamato a indagare sui fatti, non crede più alle superstizioni medioevali e parla di psiche, di scienza e di telecinesi, alla fine spunta una tizia dotata di poteri paranormali con la faccia butterata, forse un omaggio a Carrie ma poi esce fuori anche il diavolo con gli occhi che sembrano due led infiammati e allora sono cazzi amari per tutti.
Insomma un'operina dotata di qualche buona suggestione (le bambole appese lungo i vicoletti), un'assordante musica riciclata da un disco dei Goblin che non c'entra un tubo con l'impianto visivo, tante suore troppo vestite che cantano in playback (vedere per credere!) e un cast decisamente imbarazzante, la cui mimica facciale fa veramente pensare che sui set di allora si facesse troppo uso di droga.

lunedì 26 marzo 2012

MESA OF LOST WOMEN

(Id 1953)
Regia Ron Ormond, Herbert Tevos
Cast: Jackie Coogan, Allan Nixon, Tandra Quinn

La prima cosa che mi sono chiesto, vedendo questo titolo, è stata: "Ma che cacchio è una MESA?" In pratica la location principale è il deserto di Zarpa Mesa in Messico, lo capiamo perchè sin dall'inizio del film una voce narrante di Lyle Talbot ci ripete all'ossessione che "...è il deserto della morte!" Da quel luogo inospitale di sabbia e alte conformazioni rocciose, i due protagonisti, sopravvissuti all'eccidio, raggiungono sfiniti un avamposto americano con tanti fustacci militari  e Pepe, il più stereotipato messicano nella storia del cinema che esclama "Caramba!" con uno sguardo che da solo merita metà del film. Da lì la trama parte in flashback...e che trama!!! Un vero rompicapo narrare le gesta del dottor Aranja (Jackie Coogan lo zio Fester degli Addams in bianco e nero) il quale riceve una visita dal Dr. Leland Masterson (Harmon Stevens, dandy gigionesco almeno quanto la sua interpretazione) a cui mostrerà i risultati dei suoi esperimenti su nanetti pestiferi e amazzoni bellissime, iniettando siero del veleno di ragno gigante tipico di quella zona (Ovvio no? Ehm) allo scopo di creare una super razza. In effetti all'inizio del film una donnona con lunghissime unghie, succhiava la vita al prestante stallone di turno in una scena bucolica che spiazza già dal principio la visione di questo capolavoro).

Ovviamente il Saggio Leland si ribella a queste atrocità e come premio il Dottor Aranja lo blocca e lo droga. In tutto questo tempo sentirete una colonna sonora composta da Hoyt Curtin in cinque minuti di chitarra messicana ossessiva e martellante. Qui il momento migliore dello spettacolo: Siamo in una antica taverna messicana con tanto di primo esempio di musicista pianobar (con basi musicali stile karaoke, negli anni '50, un precursore) dove il dottor Leland si triunirà a Doreen (Mary Hill) e suo marito George (George Barrows). Visibilmente disturbato, il dottor Leland riconosce nella danzatrice sensuale Tarantella (Tandra Quinn) una delle amazzoni killer del Dr. Aranja. Questa scena è particolarmente impressionante per la sensualità che traspare da Tarantela nel suo spider-ballo, un momento involontario di grande cinema in un film da cui traspare bassezza e demenzialità nel suo volersi prendere sul serio. Leland spara a Tarantella, prende in ostaggio Doreen e il marito e fuggono sull'aereo del pilota Grant Phillips (Robert Knapp), viaggio breve perchè il velivolo finisce per un guasto al centro del Mesa proprio in bocca al terribile dottore. Nel mezzo della foresta (nel deserto?) i cinque naufraghi (c'è anche Wu il domestico cinese) finiranno progressivamente decimati da ragnoni giganti, nanetti che sghignazzano tutto il tempo e donne impassibili di fronte allo scorrere della vita stessa.
Sopravviveranno solo Grant  e Doreen, unici testimoni di una storia alla quale non crederà nessuno.  Da parte mia consiglio questo film sopratutto perchè: Tarantella quando balla è proprio bella, anche a distanza di oltre 50 anni. Il dottor Leland è il prototipo dell'inglese idiota e abitudinario (in mezzo alla foresta, soli e abbandonati, i superstiti avevano a disposione solo una bottiglia di whisky e quando l'hanno offerta a lui ha esclamato "I don't drink before the dinner !" Il musicista da piano bar messicano che canta struggenti melodie con la base registrata sotto. La colonna sonora invece dopo un pò manda in acido...vabbè! Ah! Se a qualcuno interessa i registi sono addirittura due Ron Ormond e Herbert Tevos

giovedì 22 marzo 2012

LA NAVE DEI MOSTRI

(La Nave de Los Monstruos, 1960)


Quello che più fa commuovere in queste produzioni low budget messicane è l'assoluto candore, quasi fanciullesco, delle trame narrate. In particolare poi, a questa pellicola si aggiunge un bizzarro mix tra commedia ranchera e sci-fi vecchio stile con stralunati siparietti musicali e, dulcis in fundo una sfilata di mostri incartapecoriti, assemblati con costumi riciclati, lamiere e latte di metallo, scheletri di capra finti e roba che sembra uscita da un carnevale brasiliano. Ecco quindi che ci si trova davanti a un capolavoro assoluto del trash sudamericano, uno di quei titoli al cui confronto la serie de "El Santo" sembrano produzioni hollywoodiane. Il film di Rogelio A. González parte dal presupposto che Venere sia popolata da splendide amazzoni vestite con aderenti costumini da spiaggia, che vanno in giro per lo spazio su un'astronave a forma di dardo per il gioco delle freccette, carica di mostri provenienti da tutti i pianeti, ibernati in teche trasparenti.

La missione delle venusiane, nello specifico è di catturarsi qualche bell'esemplare maschile per ripopolare il loro mondo. E dove possono andare codeste fanciulle se non sulla terra? Il loro robottone tutto squadrato, pieno di fili elettrici che penzolano alla cazzodicane, afferma che il nostro pianeta sia da evitare in quanto i suoi abitanti sono così stupidi da passare il loro tempo ad autodistruggersi. Con questa bella filosofia iniziale, ecco piombare nella cagnesca cittadina di Chihuahua l'astronave aliena che si muove a colpi di fiammelle del gas da campeggio. Il primo umano che viene intercettato è un perfetto idiota di nome "Lauriano" che passa le serate nei bar a raccontare frottole e a cantare orrende canzoncine.

A questo punto scopriamo che il robottone è un pò il "wikipedia venusiano" e comincia a elencare tutte le usanze terrestri. Lauriano parla d'amore alle due aliene ma nessuno pare sappia il significato. Il casino è quando una delle due si innamora del ranchero ma viene respinta, a questo punto si incazza, gli spuntano dentoni da vampirla e comincia ad assalire i contadini, libera tutti i mostri e progetta la conquista del mondo. A questo punto si impone una breve descrizione dei mostriciattoli: abbiamo, nell'ordine, una sorta di nano butterato con il cervellone gigante e due occhi che sembrano uova sode (e infine si spiaccicheranno come tali!), un ciclope con gli orecchioni che grugnisce come un maiale, un coso peloso che sembra un incrocio tra un topo e un ragno e un curioso mix tra lo scheletro umano e il cranio di una vacca, quest'ultimo sparisce e al termine del film non si sa neanche che fine ha fatto (probabilmente non ha retto la lavorazione del film). Dopo la solita improbabile lotta finale, Lauriano sconfigge la venusiana, si fidanza con l'altra e sconfigge i mostri, resta solo il robottone a fare un pazzesco duetto con un juke box all'interno dell'astronave, chiusura degna di entrare nella storia del kitsch cinematografico. Impreziosito dalla presenza del noto comico Eulalio "Lalo" González, "Piporro", la nave de los mostruos è uno di quei pochi titoli giunti in Italia, probabilmente puntando ad un cinema infantile amante dei siparietti musicali.

lunedì 19 marzo 2012

SEXUAL PARASITE: KILLER PUSSY

(Kiseichuu: kiraa pusshii, 2004)
Regia Takao Nakano
Cast Sakurako Kaoru, Natsumi Mitsu, Masanori Miyamoto

In neanche un'ora di film, il giapponese Takao Nakano ci realizza un perfetto compendio di bizzarria sex -horror veramente notevole, si parte da un'introduzione che ricorda i primi demenziali minuti di Braindead con una coppia di esploratori che hanno appena inscatolato una strana creatura, arriva un assurdo nativo con i dentoni sporgenti che farfuglia loro di lasciar stare la cosa in quanto pericolosa, ma la donna non ci sta e per proteggere al meglio la sua scoperta si siede sulla scatola, peccato che il mostriciattolo faccia un buco al coperchio e si infili direttamente nella donna uccidendola.
Dopo i titoli ritroviamo il vecchio clichè dei giovinastri in vacanza ma sembra di trovarci dentro un film di Russ Meyer da tanto sono poppute le ragazzine, c'è anche la lesbica di turno, tanto per dare una nota di colore al tutto, il solito secchione e il tafano dai capelli ossigenati che si snifferebbe anche il vinavil da tanto è scimmiato. Il quintetto si trova in un vecchio magazzino abbandonato dove una delle ragazze rinviene il cadavere della moglie, peccato che mentre si fa un bel bagno nella megavasca, la ragazzina popputa si vede giungere il cadavere semovente, e qui piombiamo direttamente in Shivers di David Cronenberg con il parassita che le spunta dalla bocca e si infila direttamente nella vagina della giovane. Poi arriva il secchione con cui la ragazza intrattiene un molto esplicito cunnilings che si conclude nella penetrazione e dulcis in fundo nell'evirazione sanguinolenta ad opera del parassita la cui dentatura sporge a dismisura dalla vagina.
Rispetto a Teeth di Mitchell Lichtenstein, qui il tema della vagina dentata è solo marginale, dal momento che il vero mostro è l'orrendo parassita che sembra un incrocio tra un Critters e un pesce gatto, Nakano poi non lesina affatto in quanto a gore e sesso sfrenato arrivando ai limiti del porno, nonostante una certa povertà di mezzi rivelata qua e là da alcune inquadrature goffe e molto cattivo gusto, il risultato è godibile anche se di bocca buona, ma del resto il bello del cinema asiatico è proprio la sua estrema graficità nel mostrare tutto il mostrabile, come dimostra anche l'abbondanza nel cast femminile. Consigliato agli amanti della saga di Urotsukidoji.

giovedì 15 marzo 2012

NUDIST COLONY OF THE DEAD

Id. 1991
Regia Mark Pirro
Cast Forrest J Ackerman, Bea Lindgren, Rachel Latt

Se non sapete chi è Mark Pirro vi basti pensare che uno dei suoi ultimi film si intitola Rectuma (clicca qui per vedere la nostra recensione) e parla di un enorme culo che terrorizza Los Angeles! Si, si avete proprio capito bene, due gigantesche chiappone in stile monster movie. Del resto il titolo di questa commedia horror musicale la dice lunga sullo stile "sobrio" del nostro filmaker. Eppure a differenza di altri, Pirro ci sguazza perfettamente nel trash e lo dimostra in quest'operina in stile tardo anni ottanta assolutamente divertentissima.

L'inizio vede un gruppo di nudisti, capitanati da una fintissima vecchia dalla pelle grinzo-gommosa e dalle tette penzolanti, che vengono processati a seguito della denuncia di una comunità di bigotti religiosi. Il processo si conclude con la chiusura del loro campo nudisti per cui la comunità naturista, per protesta compie un suicidio collettivo con la promessa di tornare a terrorizzare la comunità sotto forma  di zombie.

Detto fatto, cinque anni dopo un gruppo di giovani della comunità religiosa arriva nell'ex campo nudisti per passare una vacanza religiosa ma i morti viventi nudisti risorgono con l'intento di mmassacrare tutti e di vendicarsi. Girato in estrema povertà con una telecamera super 8, intervallato da momenti di musical sgangherati dove la coreografia sembra essere stata accidentalmente dimenticata, il film gode di canzoncine assolutamente irresistibili come "Kill Kill Kill All The Zealots", "The Zombie Rap" e la fantastica "It's An Inky Dinky Doo Dah Morning", personaggi fuori dalle righe come i due redneck che passano il tempo a giocare a strip pocker o il ragazzo predicatore che cita in continuazione versi della bibbia salvo poi morire con il libro sacro incastrato in gola, scene splatter degne di Hershell Gordon Lewis con bracci finti amputati, tronchi umani e teste decapitate che parlano ancora. Il tutto all'insegna del cattivo gusto, dell'impianto rozzo e della blasfermia costante, nonostante la bruttura generale, le recitazioni fuori dalle righe e la comicità di grana grossa, tutto è perfettamente contestualizzato, a dimostrazione che in mano a pazzi furiosi come il signor Pirro il cinema spazzatura ha ancora tanto da dire, in questo caso anche da cantare!



lunedì 12 marzo 2012

FRANKENSTEIN MEETS THE SPACE MONSTER

Id. 1965

Regia Robert Gaffney
Cast Marilyn Hanold, James Karen, Lou Cutell

Certi film, decisamente catalogabili in serie ultra zeta andrebbero studiati più a fondo, innanzitutto per la loro onestà: "Frankenstein meets the Space Monster", piccolo gioiello psicotronico realizzato con mezzi di fortuna, riprese di esercitazioni militari, lanci di missili nello spazio e festini accompagnati da musica beat, ha sicuramente un pregio che lo differenzia dalla mera produzione di massa per un pubblico da Drive in: Il film di Robert Gaffney mantiene quello che promette! Frankenstein c'è veramente, nei panni di un astronauta americano che in realtà è un androide, frutto di esperimenti scientifici per mandare un testimone nello spazio completamente robotizzato. Lo space monster, invece, è una sorta di scimpanzè con maschera da demone, memore di quel capolavoro di delirio Sci-fi che è "Robot Monster". Lo scontro, invece, è relegato al finale dopo una trama allucinante che vede un'astronave aliena invadere la terra per rapire le donne terrestri allo scopo di ripopolare il loro pianeta.

A capo dell'invasione c'è una stizzosa principessa (Marilyn Hanold) e il suo sgherro, una specie di Fester con le orecchie da dottor Spock (Lou Cutell). Frank (Robert Reilly) è un androide  che  viene lanciato nello spazio ma gli alieni colpiscono il suo razzo e deve atterrare nel deserto. Qui incontra gli alieni che gli bruciato metà corpo coi laser (che sembrano peraltro dei grossi megafoni al contrario), impazzisce e comincia a uccidere chi gli capita a tiro. Stremato ritrova il suo creatore che gli da una risistematina in una caverna. La ragazza dello scienziato viene rapita dagli alieni, mentre gironzola tra le spiagge della California con la sua Vespa. Disperato il nostro ferma l'attacco dei militari all'astronave e manda il suo robot all'assalto. Frank viene catturato e si troverà faccia a faccia con il mostro spaziale. Alla fine il suo sacrificio lo riscatterà con la razza umana e salverà il mondo mentre il suo creatore andrà a spassarsela con la bellona in due su una "Vespa" per le strade dell'America che ride.


Animo beat, musica surf, costumi ultrakitch contornano un opera che sa di futuro, a metà tra il demenziale e l'horror, eppure il trucco di Frank, meta uomo e metà cyborg bruciacchiato ha un qualcosa che anticipa "Tetsuo " e tutto l'immaginario cyberpunk degli anni a venire.
Un capolavoro da riscoprire, quindi, ma solo se siete di larghe vedute!

venerdì 9 marzo 2012

MORIRAI A MEZZANOTTE

Id. 1981
Regia Lamberto Bava
Cast: Valeria D'Obici, Leonardo Treviglio , Paolo Malco

Dopo l’abboffata di gialli italiani degli anni settanta, il decennio successivo si dimostra alquanto avaro nel suo genere, con una preoccupante carenza di prodotti. Ci pensa quindi il buon Lamberto a portare avanti il thriller all’italiana, così dopo un discreto horror d’esordio dai toni D’amatiani quale era il gustoso Macabro e l'improvviso successo benedetto dal re Dario (Dèmoni) realizza, complice la produzione berlusconiana di ReteItalia, questo giallo ambientato nelle Marche, figlio dei cambiamenti di stile e di abbigliamento che influiscono negativamente però, alla confezione finale. Intendiamoci, non è che sia un bruttissimo film (un po’ brutto però si eh!) ma i protagonisti sembrano uscire direttamente dalla claque di Drive in, con sbirri in spolverino e Timberland, ragazze con la tutina da Flashdance , maglioni dolce vita e pettinature da brivido!
La storia inizia con un intreccio di amore e gelosia da parte di una coppia, lui (Leonardo Treviglio) la segue in un negozio, lei entra in camerino e da sotto la tendina spuntano le gambe di un altro (???) , lui se ne accorge e ci resta malissimo, gli aveva preso pure dei fiori (fiori? Seee, quattro foglie verdi senza un petalo), si incazza e a casa litigano, lei gli pianta un rompighiaccio sul petto e lui tenta di affogarla nella sciacquatura dei piatti, poi se ne va via. Lei rimane e si fa la doccia ma un misterioso assassino prende il rompighiaccio e la fa fuori sotto la doccia nel solito omaggio hitchcockiano assolutamente fuori luogo.
Il marito fuggitivo va a casa dell’amica (Valeria D'Obici), intanto il misterioso assasino prende le sembianze di un pazzo criminale morto in un incendio anni prima e comincia a sterminare tutte le tipe che trova in giro. Alcuni momenti sono interessanti, la caccia nel vecchio teatro circense abbandonato, la tipa che si nasconde nelle cabine della spiaggia ma altre situazioni rasentano il ridicolo come la terza vittima che vede l’assassino nel museo di storia naturale e invece che fuggire va al telefono a gettoni per chiamare la polizia, la ragazza in casa da sola che tenta di difendersi con il frullatore o nel finale, il solito guardone che spunta all’improvviso e si becca una pugnalata allo stomaco, non muore ma rimane lì contro il muro ad ascolatre il poliziotto che spiega il movente degli omicidi invece di richiedere immediatamente l’intervento dell’ambulanza. In ogni caso il film gode di una confezione da teleromanzo d'appendice motivata in parte dal fatto che in origine la pellicola era stata realizzata per la televisione e solo successivamente, ovvero appena dopo il successo di Demoni, proposta per il grande pubblico in sala.
In conclusione un thriller che si sviluppa tra alti e bassi,  ma con i bassi che gradualmente prendono il sopravvento, la fotografia è da soap opera, la musica di Simonetti distrugge le atmosfere invece che enfatizzarle e la sceneggiatura del pur bravo Dardano Sacchetti rivela solamente le necessità economiche di una committenza senza alcun interesse artistico. 

martedì 6 marzo 2012

THE THING WITH TWO HEADS

Id. 1972
Regia Lee Frost
Cast: Ray Milland, Roosevelt Grier, Don Marshall

Già prima dei titoli di testa si intuisce subito che questa pellicola sarà una festa del B-Movie, viene infatti presentato da quel Samuel Z. Arkoff che rappresenta un'icona del cinema di exploitation degli anni '70, aggiungetevi poi nomi come Ray Milland e Roosevelt Grier (cugino della ben più nota Pam) ed il quadro è completo. Il film di Lee Frost si presenta come un felice mix di horror, sci-fi, commedia grottesca e blacksploitation e narra di un anziano chirurgo che fa esperimenti per trapiantare la testa di un uomo nel corpo di un altro; per ovviare ai problemi di rigetto, la testa del proprietario originale viene lasciata per 24 ore in compagnia dell'altra creando di fatto un mostro a due teste, prima di essere asportata completamente. Inizialmente quest'esperimento viene effettuato su un gorilla (uno dei primi costumi realizzati e indossati dal mago del make up Rick Baker) ma ben presto sopraggiunge l'esigenza di trapiantare il capo dello stesso medico, ormai in fase di coma irreversibile su un corpo di un volontario donatore. Purtroppo per il dottor Kirshner, noto per le sue idee razziste, l'unico volontario è Big Jack, un grosso negro condannato a morte per un omicidio non commesso. I due si troveranno quindi attaccati per il collo e la convivenza sarà tutt'altro che facile.

Aiutati dal giovane medico di colore Fred Williams (Don Marshall) cercheranno di raggiungere la ragazza di Jack per recuperare le prove della sua innocenza, almeno fin quando il dottor Kirshner non prenderà il sopravvento del corpo ospitante. Questa pellicola inconsueta e alquanto bizzarra, nonostante la povertà dei mezzi e la chiara immagine di cinema di genere ha dalla sua notevoli carte per diventare un piccolo cult, innanzitutto per il tono ironico con cui si sviluppa la vicenda, poi per i dignitosi effetti speciali che riescono a rendere il tutto veramente credibile, ma sopratutto per i contenuti, esplicitamente antirazzisti che rivelano come l'uomo bianco si dimostri un parassita nei confronti del "nigger", attaccato al corpo dei fratelli per succhiarne le forze e acquisire il potere con lo sfruttamento e la schiavitù.
Alla fine, sarà Big Jack a spuntarla e il film finisce con lui, il dottor Williams e la ragazza, in auto a cantare "oh Happy Days" come nella migliore tradizione gospel dei neri americani, la cui unica speranza è ritrovare la propria dignità staccandosi dal bianco sfruttatore. Un chiaro messaggio di un'epoca travagliata dalle Black Panther, dalla lotta per i diritti e l'emancipazione dell'uomo di colore, che purtroppo, ad oggi non ha ancora completato il suo corso. Se amate il cinema di John Landis troverete più di un riferimento tra cui un lunghissimo inseguimento delle auto della polizia che per mezz'ora abbondante vediamo scontrarsi, sprofondare, schiantarsi in un susseguirsi di scene spettacolari (e un pò noiose in verità) da far invidia al mitico The Blues Brothers, Landis, che realizzerà il suo primo film l'anno successivo, è chiaramente debitore di questo gioiellino, da noi purtroppo, sconosciuto.