lunedì 30 dicembre 2019

ROBOGEISHA


(2009)

Regia: Noboru Iguchi

Cast: Asami, Naoto Takenaka, Takumi Saitoh

Genere: Horror, Splatter, Fantascienza, Demenziale

Parla di: “Diatriba tra sorelle che diventano robot assassini in un tripudio di trovate estreme” 

Nel cinema giapponese la parola "trash" ha trovato una connotazione diversa dall'accezione negativa con cui si è soliti identificarla. Mentre in Europa e in America il trash è sinonimo di grettezza, rozzaggine e povertà di mezzi e di capacità espressive, in Oriente è la strada che porta le arti ad una visione più estrema, colorata, folle ed anarchica, soprattutto per quanto riguarda il cinema. Questo anche grazie al lavoro di registi come il folle e geniale Noburu Iguchi, autore di perle assolute come "Zombie Ass Toilet of the dead", "The machine girl", “Dead Sushi” e questo Robo-Geisha, uno dei suoi capolavori più rappresentativi. La storia ci narra di due sorelle, la maggiore Kikue è una bellissima geisha, contesa da molti pretendenti mentre la sorellina Yoshie è timida e riservata. 

Quando l’avvenente industriale Hikaru si accorge delle potenzialità di Yoshie la introduce nel suo team di geishe assassine, indottrinandola all'omicidio politico e grazie a progressivi interventi, vengono assemblati in lei parti robotiche. Altrettanto viene fatto per la sorella, anch'essa trasformata in un terribile robot killer.  Quando Yoshie scopre la malvagità di Hikaru e i progetti di distruzione di massa della multinazionale di suo padre, la Kageno Corporation, decide di ribellarsi, a quel punto Hikaru scatena contro di lei sua sorella. Impossibile descrivere tutte le folli trovate che percorrono questi 90 e passa minuti di cinema estremo, Iguchi mescola al live action un digitale alquanto primordiale (in sintonia con il cinema della Asylum) ma il ritmo è talmente serrato e le situazioni così assurde che questa commistione diventa perfetta e il film si trasforma in un felice connubio tra cinema, Manga e cartone animato. 

Ecco quindi mitragliatrici che escono dai seni, spade che spuntano dal sedere, cannoncini dalle acconciature, spaghetti che escono dai corpi martoriati, seghe circolari che spuntano dalla bocca, gamberetti infilati negli occhi e alla fine anche uno splendido Robot-pagoda gigante manovrato grottescamente dal cattivo di turno con cavi di carne attaccati ai polsi e Robogeisha che, come un Transformer, muta la sua forma, dalla vita in giù, diventando un carro armato. In tutto questo Helzapoppin' di splatter coloratissimo, armi che spuntano da tutte le parti, combattimenti e massacri senza tregua, Iguchi non rinuncia a defenestrare lo spettatore con zuccherosi buoni sentimenti d’ amore tra sorelle che si scoprono un pò Cenerentole e un pò principesse, si amano, si odiano, tentano di distruggersi e poi si ritrovano, il tutto attraverso il ben noto immaginario visivo che caratterizza da sempre una certa branca di cinema del sol levante, quella che, onestamente, ci piace di più. 

lunedì 23 dicembre 2019

BLOOD FEAST 2 ALL U CAN EAT

(2002) 

Regia Hershell Gordon Lewis 

Cast Trey Bosworth, Lavelle Higgins, Mark McLachlan 

Genere: Horror, Splatter, Commedia 

Parla di “Discendente cuoco assassino, ripristina azienda di famiglia con rituali a base di carne umana” 

A trent’anni di distanza dal suo ultimo capolavoro The Gore Gore Girls l’indiscusso inventore del cinema Splatter, Hershell Gordon Lewis, torna dietro la macchina da presa dando vita al sequel del suo celebre Blood Feast con cui ufficialmente venne dato nelle sale il genere più marcio e disgustoso che abbia mai percorso la settima arte, il tutto grazie a interiora di animali prelevati direttamente in macelleria ed ettolitri di vernice rossa. Lo stile del nostro non ha sicuramente perso il suo leggendario smalto e gli sbudellamenti gratuiti, sgozzamenti, decapitazioni e asportazioni di fegato e milza non mancano, forse la confezione, ma soprattutto la fotografia, risentono della fine del periodo d’oro del cinema in pellicola ma il padrino del gore non è secondo a nessuno ed in questa seconda puntata delle gesta di Fuad Ramses, lo dimostra ampiamente. 

Protagonista è il discendente diretto del cuoco egiziano assassino, Fuad Ramses III, il quale, ignaro delle gesta del nonno, decide di riaprire il servizio di catering a conduzione familiare. Il suo incontro con la malefica statua della sanguinaria dea Ishtar lo convincerà che è meglio organizzare sacrifici umani piuttosto che stuzzichini o aperitivi per ricevimenti. Del resto la ghiotta occasione viene proprio dalla celebrazione nuziale della figlia di Ms. Lampley, dispotica Milf con la puzza sotto il naso ma il portafoglio grasso. Il nostro cuoco macellaio aprirà quindi le danze di un nuovo massacro organizzando un truce banchetto cannibale sotto il naso di due poliziotti dementi: un ciccione senza fondo ed un detective idiota che vomita come un ossesso davanti alle scene di sangue, quest’ultimo oltretutto è anche promesso sposo della figlia dei Lampley. Stavolta Lewis accompagna il sangue e le frattaglie con un umorismo nero marcatamente trash dove si sente soprattutto l’influenza del genio irriverente John Waters che partecipa al cast nei panni di un prete dalla dubbia moralità. 

Ma la comicità di grana grossa, concentrata nel prendere in giro la Middle-Class americana e l’ossessione per il Junk Food tipicamente USA, non convince a fondo. Troppe le gag non comprese (inspiegabile e surreale la presenza di un cadavere misterioso nelle ultime scene del film) in contrasto con l’ostentata esposizione del sangue per la quale il Buon Hershell non si risparmia decisamente. Nonostante l’amore viscerale che ho per il cinema del grande Lewis, questo seguito risulta una bieca banalizzazione del suo lavoro, una piccola quanto inutile operazione di marketing per sfruttare la recente riscoperta delle sue opere, senza peraltro aggiungere nulla di nuovo alla sua splendida filmografia. Pur essendo, in fin dei conti, questo Blood Feast 2 un’opera leggera e gradevole, se volete divertirvi con cuochi splatter meglio riscoprire quel piccolo gioiellino di Jackie Kong del 1987 intitolato Il Ristorante all’angolo (Blood Diner), remake non dichiarato del primo indiscusso capolavoro del maestro. 

martedì 17 dicembre 2019

LA VENGANZA DE LAS MUJERES VAMPIRO

(1970) 

Regia: Federico Curiel 

Cast: Santo, Norma Lazareno, Gina Romand 

Genere: Horror, Avventura 

Parla di ”ennesima battaglia del lottatore Santo contro donne vampiro che oscillano tra le bare”  

Una mano nerboruta affonda un paletto di frassino nel petto di una donna vampiro addormentata nella sua bara, comincia così il seguito delle avventure dell'enmascarado de plata contro le donne vampiro, ennesima incursione nell'horror da parte del wrestler messicano, cinematograficamente parlando, più prolifico di tutti i tempi.  
Otto anni dopo il film di Alfonso Corona Blake "Santo contra le Mujeres Vampiro" (giunto anche in Italia con il titolo "Argos alla riscossa"),  la regia viene affidata al veterano Federico Curiel che ci regala subito i titoli di coda più pallosi del mondo in cui tre brutti ceffi vestiti con pastrani oscuri attraversano con molta calma delle polverose cripte. 

A far risorgere la contessa Mayra, uccisa nel prologo, è il mad doctor di turno che le trasferisce il sangue di una ballerina. Si scopre poi che il braccio nerboruto era quello dello stesso Santo , la contessa quindi per vendicarsi si reca all'arena dove il lottatore sta sfidando un altro mascherato. Grazie ai suoi poteri mentali la vampiressa induce il lottatore avversario a uccidere il Santo e giù pestoni come se non ci fosse un domani. Come previsto Santo avrà la meglio sempre e comunque. 
Paty, la fidanzata di un giornalista amico del lottatore si veste come una figlia dei fiori e si reca sotto copertura nel locale dove è sparita la ballerina, qui incontra un tipo assurdo con un colletto che sembra un bavaglio per bambini, il quale la ipnotizzerà per portarla al castello della contessa. Meno male che il buon Santo le aveva messo un rivelatore di posizione (un preistorico GPS o roba del genere), riesce ad arrivare al castello, mena fendenti a tutti gli sgherri della vampira e dà fuoco a tutte le bare che ci sono, la vampira fugge ma essendoci l'alba si vede costretta a tornare nel suo loculo dove il nostro eroe la attende con un bel paletto appuntito. 

Essendo entrati negli anni settanta il tema sex & love è ricorrente, soprattutto se si possono mostrare con una certa ripetuta ossessività, quattro ballerine in bikini che ballano un beat psichedelico nel locale dove tutte le altre comparse sembrano avere dei grossi problemi di movimento.  Per la scena "SCULT" assoluta si deve aspettare il finale (se si riesce a stare svegli) quando vediamo il wrestler di Hidalgo combattere i suoi nemici in mezzo a casse da morto dove uno stuolo di vampiresse oscilla in maniera assurda le sottovesti. Per il resto "La venganza" ci regala due soliti combattimenti “accellerati” in pellicola, tante protesi dentarie, recitazioni al limite della denuncia e l'immancabile maschera d'argento che il Santo non si leva manco quando dorme. 

lunedì 9 dicembre 2019

THARZAN - LA VERA STORIA DEL FIGLIO DELLA GIUNGLA

(1991)

Regia Joe D’Amato

Cast Rocco Siffredi, Rosa Caracciolo, Nikita Gross

Genere: Porno, Avventura, Commedia

Parla di “Versione a luci rosse del celebre selvaggio della giungla che si tromba mezza Savana”

E qui siamo dalle parti di un classico, una di quelle pellicole che, per quanto riguarda il mondo del cinema a luci rosse, ha fatto la storia. Del resto Joe D’Amato non solo era un grandissimo regista ma aveva il pregio di rendere oro quello che altri avrebbero trasformato in merda. A questo poi aggiungiamo la presenza come protagonista di una vera e propria rockstar del porno come Rocco Siffredi e dulcis in fundo la presenza come co-protagonista di Rosa Caracciolo, attrice pornografica dalla bellezza intensa nonché moglie dell’attore. L’intento è quello di rilasciare una versione hard del film “Greystoke – La leggenda di Tarzan, signore delle scimmie” che anni prima ottenne un grande successo sia di pubblico che di critica e collaborò a lanciare la carriera di Cristopher Lambert, aggiungendo però quell’elemento sessuale finora negato al personaggio ideato da Edgar Rice Burroughs. 

Il tutto in una versione casareccia e ruspante dove la giungla è un parchetto romano con tanto di antiche rovine imperiali allargato grazie ad un continuo montaggio di panorami della Savana africana con tanto di scimmiette che zompano da un albero all’altro, tra queste anche una bruttissima versione di Cheeta che non è più uno scimpanzè ma una qualche scimmietta a metà tra il babbuino e il macaco. Siffredi apre la bocca e scatta la registrazione del vero urlo di Tarzan, rubato da qualche vecchio telefilm in bianco e nero. Indossa dei ridicoli stivaletti con il pelo e fa divertentissimi mugugni da scimmione quando giunge all’orgasmo. Dopo una serie di zompate con l’esploratrice Jane, questa scopre, in una cassettina in mezzo alle carabattole dell’uomo scimmia, le sue nobili origini e lo convince a tornare nella civiltà. Finiscono quindi nei ricchi possedimenti di un bellimbusto innamorato di Jane, il quale insiste perché la donna lo sposi al più presto. 

Dopo aver scoperto questa passione segreta tra l’amata e il proprietario della villa, il povero Tarzan non può far altro che consolarsi sbattendosi tutte le ospiti femminili della magione, cameriera compresa. In tutto questo l’inconsolabile Jane passa il tempo dietro porte e finestre ad ammirare le gesta amorose dell’instancabile selvaggio, fino a quando le diatribe tra innamorati verranno risolte in una liberatoria scopata finale. Quello che salta agli occhi in quest’ennesimo titolo alimentare del buon Aristide è la sorprendente cura nella fotografia e in particolare nell’illuminazione delle scene. Mentre le sequenze di sesso proseguono praticamente come un copione a scala industriale (pompino, candela, pecora e ops…eiaculazione facciale obbligatoria), ci troviamo, in certi momenti, ad ammirare scene quasi vittoriane. La professionalità e il mestiere di uno dei più grandi artigiani della storia del cinema italiano sono gli elementi che fanno la differenza, anche in un porno becero e scontato come questo. All’estero è conosciuto come Tarzan X: Shame of Jane.

lunedì 2 dicembre 2019

LOST WORLD – PREDATORI DAL MONDO PERDUTO

(Raptor Island, 2004)

Regia: Stanley Isaacs

Cast: Lorenzo Lamas, Steven Bauer, Hayley DuMond

Genere: Fantascienza, Horror, Monster Movie

Parla di “Cazzuti Navy Seals in missione di recupero su Isola infestata da Velociraptor e T-Rex “ 

Steven Spielberg ci avrebbe pensato due volte prima di trasferire su pellicola il romanzo di Michael Crichton Jurassic Park, se avesse potuto prevedere questa ondata di filmacci per la televisione ordinati dalle varie case di produzione low buget americane. Filmacci incentrati su modellini di dinosauri in 3D acquistabili con quattro dollari su Turbosquid e altri siti simili per poi essere buttati sullo schermo senza curarsi troppo della differenza tra sequenze girate e personaggi animati. Tutto merito (o colpa, vedete voi) del temibile SYFY CHANNEL, canale televisivo di genere nato nel nuovo millennio nonchè produttore di centinaia di filmacci come questo Raptor Island interpretato da Lorenzo Lamas, ex stella dei telefilm americani ed oggi riciclatosi in queste produzioni di basso profilo, imbarazzanti ma anche tanto spassose, al punto da rappresentare un “guilty pleasure” per molti appassionati di cinema di genere. L'inizio del film ci rivela subito di che pasta è fatto il carrozzone, vediamo un modellino d'aereo certamente mosso da fili di nylon, che viene colpito da un dardo fiammeggiante pyroclusterizzato alla cazzo. All'interno del velivolo c'è una cassa...ma chissà cosa mai ci troveremo dentro? 

Le scene ci riportano ai tempi nostri dove un gruppo di Navy Seals capitanati da un rigido Lamas devono salvare un agente della CIA sotto copertura, rapito dai terroristi su una chiatta in mezzo al mare. Vistosi assaliti, i terroristi fuggono con l'ostaggio (che guarda caso è una donna!) e vengono inseguiti dal gruppo di salvataggio su un'isola deserta dove i nostri scopriranno ben presto di non essere soli. L'isola infatti è abitata da ferocissimi raptor digitali, che faranno a pezzi la maggioranza di buoni e cattivi. Come se non bastasse, c'è anche la presenza di un T-Rex cornuto che cazzeggia avanti e indietro per l'isola senza meta e sinceramente se lo potevano anche evitare. Si scoprirà in seguito che la causa di tutte queste mutazioni giurassiche è un recipiente di piombo radioattivo che ha inquinato il terreno dell'isola... si perchè ovviamente, tutti sanno che i Raptor spuntano come funghi dal suolo e se non vengono innaffiati a dovere poi si incazzano e ti sbranano!  Ben presto i nostri eroi scopriranno che i temibili Raptor vivono in una gigantesca grotta sotto il vulcano che, sfiga vuole, inizia a eruttare proprio quando i soldati entrano nella grotta, scatenando fiumi di lava digitale e aperture del terreno disegnate su pellicola con il pennarello. Il tutto mentre l'elicottero di salvataggio gironzola per l'isola consumando carburante salvo andarsene giusto quando i nostri riescono finalmente a raggiungere il punto di recupero. 

A quel punto lo sceneggiatore ci ripensa e fa tornare indietro l'elicottero per il salvataggio, entra in scena l'ultimo terrorista rimasto ma viene divorato dal T-Rex, tanto perchè altrimenti non si poteva giustificare la presenza del mostruoso carnosauro. Nel finale vediamo anche i Raptor fuggire dall'isola nuotando in attesa del sequel. A parte gli effetti digitali veramente osceni, anche i dialoghi rasentano il ridicolo, sembrano infatti un compendio di frasi ad effetto tipiche del cinema d'azione americano buttate una sull'altra in modo casuale. Fotografia piatta e televisiva che fa sembrare rimpiangere le telenovelas brasiliane, musiche anonime e una storia di quattro pagine tirata per le lunghe giusto per raggiungere i canonici 90 minuti necessari alla messa in onda. Dirige per la prima (e fortunatamente ultima) volta Stanley Isaacs il cui unico merito è quello di aver capito subito dopo che questo non era il suo mestiere.