venerdì 26 luglio 2019

SVEZIA, INFERNO E PARADISO

(1968)

Regia Luigi Scattin

Cast Edmund Purdom, Enrico Maria Salerno, Jean Topart

Il consiglio che dò quando qualcuno si accinge a vedere un mondo movie è quello di mettere da parte la propria morale ed i propri principi cercando di contestualizzare il più possibile l'opera a cui assistiamo. Considerando soprattutto che si parla di un film il cui unico scopo è fare discutere, shockare, disgustare ma anche scatenare sordidi pruriti nascosti nelle più perverse pieghe del nostro animo voyeurista. Un consiglio che, devo confessarvi, non sono riuscito ad applicare a me stesso guardando questo reportage di Luigi Scattini sugli usi e costumi del popolo svedese. Non tanto per le immagini proibite che di solito condiscono un mondo, anche perchè, in questo caso, tutto si limita a qualche nudità innocente qua e la lungo la pellicola. Quello che più infastidisce è l'applicazione di una certo moralismo d'accatto che punta il dito sui difetti di un altro paese, sorridendo sotto i baffi. 

Probabilmente l'effetto sarebbe mitigato se non ci fosse stato il fastidioso commento parlato del pur bravo Enrico Maria Salerno, il quale da parte sua interpreta come meglio si può un irritante canovaccio moralista che stona per due motivi: Il primo è un finto perbenismo benpensante che guarda al libertinismo svedese con quell'alterigia cattolico-puritana per la quale la libertà sessuale nelle scuole genera poi noia nei confronti del sesso, anticipa le esperienze senza ritegno ma soprattutto senza alcuna emozione, come ci mostrano le immagini delle ragazzine annoiate su una sorta di love boat dove si congiungeranno per la prima volta con gli amichetti della scuola. Il secondo motivo è il fatto che, proprio perchè la telecamera si sofferma sulle scene di nudo con compiacimento, entrando nel dettaglio delle modelle che posano nude per le rivistine personalizzate ordinabili nei sexy shop, o inquadrando vogliosa le giovinette che escono nude da una baita sulla neve per fare il bagno in un laghetto gelato,  risulta decisamente ipocrita tutto questo finto moralismo, soprattutto se pensiamo che la maggioranza degli spettatori italiani veniva attirata al cinema dalla prospettiva di vedere un pò di chiappe e tette svedesi. 

Insomma noi, popolo di frustrati, che guarda ai libertini con quella sorta di invidia peccaminosa mascherata da ipocrisia bacchettona. Noi che ridiamo davanti agli alcolizzati che, per bere in strada, sono costretti a nascondersi nei vespasiani, noi che guardiamo costernati la ragazza che, trovando il telefono amico sempre occupato, decide di suicidarsi, noi che assistiamo inorriditi all'homeless che mangia lucido da scarpe perchè contiene una base alcolica, noi che storciamo il naso di fronte alle pratiche di adozione per ragazzine madri che non vedranno neanche per un secondo il figlio appena partorito, noi insomma, forse dovremmo imparare a guardare un pò di più dentro casa nostra e meno attraverso le finestre degli altri. A parte, comunque, l'incazzatura esistenziale che deriva dalla visione, il film non si discosta molto da altri mondo dell'epoca, decisamente più noioso e ancora più finto della media. Unica nota lieta del film è ovviamente, la straordinaria colonna sonora del grande Piero Umiliani, tra cui spicca il famosissimo brano "Ma-Nah Ma-Nah!"

venerdì 19 luglio 2019

DEMONI 3

(1991)

Regia Umberto Lenzi

Cast Keith Van Hoven, Maria Alves, Sonia Curtis

Se l’idea di base fosse bastevole a giustificare il suo “status” di sequel, allora per fare parte della saga di Demoni i cui primi due capitoli sono stati diretti da Lamberto Bava, basterebbe buttare dentro al copione un paio di zombi ciondolanti e qualche vago e superficiale riferimento alla magia e all’esoterismo, come del resto fa Umberto Lenzi in questo sequel apocrifo spacciato per il numero tre ma che, nella realtà, non c’entra un beneamato cazzo di niente con le pellicole prodotte da Dario Argento. In effetti gli elementi inseriti in questo film sono poi gli stessi utilizzati in decine di altre pellicole del Bis Italiano come Zombi 2 o Le notti del Terrore, titolo al quale il film di Lenzi sembra riferirsi sopra ogni cosa. Come nel film di Andrea Bianchi, l’assedio di morti viventi ad una vecchia villa in disfacimento è in effetti il leit motiv principale, anche se qui siamo in Brasile e quindi si ha a che fare con la Macumba, viene citato anche il Vudù nonostante sia decisamente fuori zona. I protagonisti sono tre turisti, l’inglese Kevin, la fidanzata Jessica con il fratello Dick, impegnati a studiare la storia dei balli locali. Ad un certo punto Dick si stufa della Samba e inizia a cercare nelle favelas tracce di riti magici, trovandole prima in un gruppo di bambini mascherati e poi in un vecchio santone cieco che gli da appuntamento per un festino magico notturno durante il quale uno spirito si impossessa del giovane yankee.

Il giorno dopo i tre partono per le campagne brasiliane e finiscono nella fazenda del giovane Josè dove nottetempo Dick risveglia i 6 cadaveri di schiavi neri uccisi barbaramente dai loro padroni ed ora in cerca di sangue bianco per soddisfare la loro sete di vendetta. Insomma una storia che, visti i tempi recenti, potrebbe essere ancora attualissima (anzi io ci farei un remake magari) dove la minaccia è rappresentata dal “nero”, dal “diverso” che vuole uccidere il bovero uomo biango! Un po' come succedeva negli anni ’50 dove si identificava l’invasione aliena con la minaccia dell’Unione Sovietica. Pur contrassegnato da un budget esiguo, il film è stato girato direttamente in Brasile con un cast internazionale, minimo e professionalmente inconsistente. Su tutti capeggia il volto stralunato e demenziale di Maria Alves che interpreta la domestica Maria, impegnata grottescamente a scacciare il male con bamboline di paglia e candele nere, verrà accecata crudelmente, gli spaccano la testa con un’accetta e la impiccano. Tutto questo dimenticandosi che la vendetta doveva riferirsi a 6 dico 6 uomini di pelle bianca! Gli zombi neri, truccati con cerone, catene, stracci e salamella putrefatta sul volto, si muovono con una lentezza disarmante.

La cinepresa li riprende immobili in ogni angolo, nascosti e immobili ad osservare le prede, incalzati dal rumore di catene che strisciano sul terreno. L’eroico Kevin (interpretato dal sorriso cavallone di Keith Van Hoven, attore olandese conosciuto per la sua partecipazione al serial TV College) li combatte a colpi di molotov, peccato che non avendone abbastanza, o forse per fare prima, scaglia una bottiglia ad ogni coppia di mostri con esplosioni che manco ci fosse dentro del napalm al posto della benzina. Non parliamo poi di situazioni al limite del ridicolo, come ad esempio la fuga dalla fazenda in jeep dove, per simulare il classico incidente che rende critica la situazione, vediamo proprio il guidatore che sterza all’improvviso per lanciarsi contro un albero. Non contento cerca di far ripartire l’auto, infossata nella buca senza riflettere che, forse facendo scendere gli altri passeggeri magari si riesce a risolvere il problema. Troppa logica per un B Movie italiano che sfrutta un dittico di successo come pallido tentativo di esalare l’ultimo respiro ad un genere, che nei primi anni novanta, stava decisamente tirando le cuoia.

venerdì 12 luglio 2019

LA NEBBIA DEGLI ORRORI


(The Lost Continent, 1968) 

 Regia Michael Carreras 

Cast Eric Porter, Hildegard Knef, Suzanna Leigh 

Non è facile trovare film che iniziano non bene ma benissimo e poi, a sorpresa, scivolano nel trash più grossolano a metà visione, per averne un buon esempio potete recuperare questa pellicola del tardo periodo Hammer in cui la nota casa inglese di produzione cinematografica, abbandonati mostri classici come Dracula e Frankenstein, cercava nuove alternative all'horror tradizionale. In realtà qui l'horror è solo sottinteso, dal momento che il genere trattato è più affine al cinema fantasy e d'avventura. Quel che è certo è che la prima ora di film è folgorante, ammorbata da atmosfere cupe e inquietanti dove una vecchia carretta del mare capitanata da un perfido e dispotico Capitano Lansen (interpretato da un Eric Porter in stato di grazia) viaggia sul mar dei Sargassi con un carico illegale di polvere di fosforo che al solo contatto con l'acqua esplode. Anche i passeggeri della nave non brillano per simpatia, e uno ad uno, scopriamo che tutti hanno un motivo per fuggire dalle coste inglesi da cui la nave è salpata, eludendo i controlli doganali. In procinto di incontrare un tifone, l'equipaggio scopre il pericoloso carico, si ammutina e fugge lasciando Lansen, i passeggeri e pochi marinai in balia delle acque irrequiete. Quando la nave inizia a imbarcare acqua da tutte le parti, agli sfortunati naviganti non resta altro che salire su una scialuppa e affrontare il mare ignoto. Uno dei passeggeri finisce in pasto agli squali, il cuoco si frattura il cranio e all'orizzonte si profila una misteriosa macchia di strane alghe carnivore. 

Mi fermo qui perchè a questo punto la narrazione prende una piega inaspettata, il film che, finora gode di un ritmo malsano, associato alla cattiveria di quasi tutti i personaggi, prende improvvisamente la strada del trash e vediamo apparire strani individui provenienti dal passato della colonizzazione spagnola, dotati di enormi cuscini ai piedi e due palloni aerostatici di pezza, legati alle spalle, come se non bastasse escono fuori mostruosità di gommapiuma che si muovono grazie a pompe d'aria che li fanno gonfiare e sgonfiare per simularne il movimento. C'è persino un orrendo granchio, con la bocca a forma di vagina pulsante, che combatte con un enorme scorpione trainato da cavi (poco) invisibili. Roba che fa sembrare Attack of the Crab Monsters di Roger Corman un capolavoro girato con il team del reparto effetti speciali di George Lucas. Vediamo poi una specie di Santa Inquisizione capitanata da un ragazzino brufoloso e un monaco incappucciato, a seguire orge di fuochi d'artificio da tutte le parti.  

La comicità involontaria raggiunge qui i massimi livelli e ci si chiede come abbia potuto un valido regista come Michael Carreras farsi coinvolgere in questa assurda carnevalata, la risposta è da ricercarsi nelle complesse vicissitudini produttive di quest’opera, all’origine diretta dal regista Leslie Norman, successivamente licenziato da Carreras che era il produttore, il quale dovette completare il film mettendosi dietro la macchina da presa. Anche per la colonna sonora il primo autore Benjamin Frankel fu allontanato, ripiegando successivamente su un nuovo score di Gerald Schumann. In ogni caso ci si diverte e il film rappresenta qualcosa di diverso nel catalogo di orrori Hammer, certo se giri un fantasy con quattro soldi non puoi lamentarti del risultato, in ogni caso atmosfere e recitazione sono di buon livello, il resto è talmente weirdo da lasciare stupefatti (per questo molti in realtà preferiscono la seconda parte rispetto alla prima). 

venerdì 5 luglio 2019

SANTOS CONTRA LOS ZOMBIES

(1962)

Regia Benito Alazraki
Cast El Santo, Jaime Fernandez, Armando Silvestre

Terzo titolo dell’infinita saga di film interpretati dalla leggenda della lucha libre messicana, El Santo deve vedersela con una misteriosa setta capitanata da un losco incappucciato che manda i suoi servitori zombie a compiere malefatte criminali quali rapine in banca, rapimenti di minori all’orfanotrofio e altre nefandezze. Guardando questo film però è bene scordarsi gli zombie come li concepiamo oggi, dopotutto era il 1962 e George A. Romero era lontano dal creare il suo capolavoro. Però siamo ancora lontani dal 1966 quando John Gilling scatenò i suoi frati zombie delle miniere ne La lunga notte dell’orrore. Tuttavia Jacques Torneur aveva già camminato con uno zombie nel 1943 per cui era lecito aspettarsi qualche negrazzo alto due metri con gli occhi appallati che girovagava per le strade di Città del Messico, e invece niente! 

Gli zombie con cui deve scontrarsi El enmascarado de Plata sono dei braccianti ispanici o magari dei bodybuilder, in ogni caso si parla di omoni giganteschi con capigliature sudaticcie e ridicoli vestiti a gonnellina che ricordano molto le divinità greche, girano con grimaldelli e fiamme ossidriche, non li ammazzi con le armi, nemmeno sparandogli in testa, però El Santo riesce a tenergli testa prendendoli per l’appunto a testate, anche se nel primo scontro soccombe miseramente. Scopriamo in seguito che a comandarli è una radiolina attaccata alla cintura, che possono sparire nel nulla lasciando una coda di fuoco dietro di loro. Il povero Santo dovrà affrontarne uno persino sul ring dove rischierà di soccombere strangolato. Il momento più “scult” rimane comunque l’apparizione del vecchio scienziato scomparso, trasformato anch’esso in zombie, peccato che il vestitino con i leggins che gli hanno passato doveva essere di due taglie inferiori, vediamo quindi questo povero vecchietto tremante con un panzone enorme e gambini costretti in pantaloni aderenti, un’immagine disturbante ai limiti dell’imbarazzo. 

Benito Alazraki, regista prolifico e poliedrico, gira il suo primo e ultimo film incentrato sull’eroe messicano, e lo fa con un professionismo invidiabile. Oltre mezz’ora di film è dedicato ai suoi incontri sul ring, dove il nostro, decisamente in formissima, ci regala salti e voli d’angelo, mosse da serpente, calci e pugni a girandola, il tutto corroborato da un generale tripudio della folla adorante, non mancano inserti di sci-fi con i soliti macchinari antidiluviani, strumentazioni valvolari, televisori catodici e antenne paraboliche casalinghe che girano come se non ci fosse un domani. Il segreto per apprezzare la filmografia del Santo è sempre quella di contestualizzare il tutto, sia a livello temporale sia a livello popolare, stiamo parlando di spettacoli rivolti soprattutto ad un pubblico molto giovane, in un’epoca dove monitor e ricetrasmittenti erano pura fantascienza, in un paese dove la lotta libera è praticamente lo sport nazionale. Inserendoci quindi in un simile contesto ci si può rendere conto del successo del lottatore mascherato e del gran divertimento a cui si andava incontro entrando nelle sale cinematografiche panamericane per assistere ad un suo film.