martedì 24 giugno 2014

LA MANTIDE OMICIDA

(The deadly Mantis, 1957)
Regia
Cast , ,  



Nella cinematografia americana del dopoguerra, i ghiacci polari sono stati un ampio ricettacolo di mostri giganti delle più svariate specie, in questo piccolo B movie cult assoluto, il polo ci regala addirittura una enorme mantide religiosa che le solite deflagrazioni atomiche degli esperimenti nucleari scongelano dalla preistoria, rilasciando l'insettone con secoli di appetito arretrato. Il film in realtà presenta per tre quarti scene di repertorio con una lunga introduzione sulle basi artiche americane per poi successivamente concentrarsi su esercitazioni militari aeree e terrestri. 

Praticamente all'inizio sembra quasi un documentario, salvo poi virare sul gigantesco mostro che distrugge la base polare, abbatte aerei dell'aviazione americana e punta dritto dritto nientemeno che su Washington DC dove la vediamo appollaiata sull'Obelisco. Dopo aver distrutto un autobus di linea e aver seminato il panico in un tunnel autostradale, la mantide verrà fermata a colpi di bombe e lanciafiamme dai militari con la complicità di uno zoologo e della solita bella giornalista. Niente di nuovo quindi rispetto ai formiconi del bellissimo Them! o al ragno gigante dell'ormai mitico Tarantula. Eppure il regista, l'austroungarico Nathan Juran è uno specialista del genere Giant Monster, non a caso nello stesso anno realizzerà quel piccolo gioiellino assoluto di sci-fi che è 20 Million Miles to Earth  e successivamente un altro bellissimo cult Attack of the 50 Foot Woman.



Deadly mantis resta comunque un titolo imprescindibile per chi ama i monster movie se non altro per l'uso di una fra le creature più temibili della fauna terrestre, un insetto che, senza bisogno di essere ingrandito, fa paura così com'è. Purtroppo la posa del mostro mentre vola è alquanto ridicola e la sensazione generale rimane quella di un'occasione mancata, dando troppo spazio a descrizioni inutili sulla difesa americana e poche informazioni e caratterizzazioni della mantide stessa. Restano comunque memorabili le scene in cui la bestia scala l'obelisco, quella in cui la giornalista Alix Talton parla senza vedere che il mostruoso insetto è affacciato alla finestra e la battaglia finale tra l'essere e i soldati con le tute di amianto.
  
 

mercoledì 18 giugno 2014

LA VERA STORIA DELLA MONACA DI MONZA

(Id. 1980)
 Regia
Cast , ,



Che sia un horror a sfondo satanico o un erotico a sfondo religioso, l'importante è che sia girato in un convento con tante belle suorine discinte e pronte a fare tutto il possibile per compiacere il desiderio divino, non propriamente indicato dalle sacre scritture. Ecco quindi che Bruno Mattei, subito dopo aver girato "L'altro inferno" si butta a capofitto in un nuovo nunsploitation a luci semi rosse. Anche qui come nel precedente si firma Stefan Oblowsky, giusto per confondersi un poco con il maestro Borowczyk e il suo acclamatissimo "Interno di un convento", ormai assodato punto di partenza del genere sesso+suore. Tanto per riciclare ambientazioni, costumi e qualche attore come Paola Montenero, Franca Stoppi e Tom Felleghy, cosa c'è di meglio che prendere una storia vera, di manzoniana memoria come quella della Monaca di Monza e romanzarla buttandoci dentro del sano sesso e meno sana perversione? 

 
Complice del fattaccio l'amico e sceneggiatore Claudio Fragasso e l'attore Franco Garofalo, qui ogni tanto in abito talare e quasi sempre nudo a letto con qualche suora fino a raggiungere l'apoteosi del trash indossando una calzamaglia da Belzebù e spuntando fuori dal confessionale nel tentativo di sedurre la protagonista Zora Kerdova. L'inizio con la nomina di Suor Virginia in chiesa, alternata a dettagli poco edificanti di parti sessuali di due stalloni pronti alla monta, mette subito in chiaro dove si vuole parare con questo film, ovvero nudi facili, scene di sesso abbozzate ma oltremodo esplicite senza mai sfociare nella pornografia, cosa che, almeno secondo me, risulta negativa nel risultato finale, capace di scontentare sopratutto un pruriginoso pubblico pagante che chissà cosa si aspettava a partire dal titolo. 

Del resto narrare le vicende di un convento dove invece che pregare, le sorelle fornicano, lesbeggiano e si fustigano dalla contentezza, meritava qualche dettaglio in più. Mattei ci butta dentro anche un cadavere scarnificato dai topi, qualche incubo con suore indemoniate che fanno la linguaccia, una novizia presa a bastonate e uno stupro lungo come l'eternità che ovviamente si trasforma in compiacimento e amore da parte della monaca monzese. Tutto abbastanza visto e stravisto ma il personalino della Kerova merita un'occhiata
e il brutto Garofalo, che si danna ipocritamente l'anima nella sua complicità con il balordo Osio è da manuale.
 

martedì 10 giugno 2014

CAT WOMEN OF THE MOON

(Id. 1953)
Regia
Cast , ,



A cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60 il cinema di Exploitation cannibalizzò la fantascienza con una serie di titoli che ammiccavano lo spettatore attraverso riferimenti erotici, espressi sopratutto nei titoli, che puntualmente offrivano pochissimo al piacere voyeuristico del pubblico ma, dal punto di vista economico, erano una manna per produttori ed esercenti. Si perchè questi titoli, realizzati in assoluta economicità, davano sempre un buon riscontro al botteghino grazie alla loro capacità di attrazione nei confronti di un pubblico guardone e perennemente affamato di sesso. Titoli deliranti come Devil Girl from Mars o Queen of Outer Space (protagonista Zsa Zsa Gabor) e Fire Maidens from Outer Space presupponevano tutti lo stesso plot narrativo che ritroviamo anche in Cat Women: una spedizione spaziale di astronauti maschi che incontrano su un pianeta inesplorato (che sia Marte o la Luna) una civiltà di sole donne in trepida attesa dell'uomo salvatore in grado di soddisfare la lunga attesa solitaria.

In realtà, in questi film non si va mai oltre ad una slinguazzata tra l'eroe di turno e la bella marziana che rompe le regole della sua specie e decide di assaporare il piacere del maschio terrestre. In ogni caso, a parte i riferimenti maschilistici tipici di un'epoca in cui l'emancipazione non era neanche stata presa in considerazione, Cat Women of the moon è un prodotto assurdo che sprigiona povertà e senso del ridicolo ad ogni fotogramma. Le prime scene ambientate all'interno di una cabina comando spaziale è un set realizzato palesemente in un garage, con marchingegni valvolari e elettrodi tipici di chi ripara radio e televisioni, il palazzo lunare sembra però uscire dai racconti di H.P. Lovecraft. L'astronave deve aver successivamente ispirato l'autore del protovideogame "Asteroids" visto che si muove ruotando come la lancetta di una bussola quando deve virare la sua direzione. Non parliamo poi del ragnone gigante che, ad un certo punto attacca i nostri esploratori, avete presente i ragni di gomma legati con un elastico? Ecco, dimensionatelo a misura d'uomo ed avrete un idea di come è stata realizzata rozzamente questa scena dal regista Arthur Hilton. Anche le donne gatto sembrano un pò ridicole, tutte vestite con una tuta nera attillata e una pettinatura da incubo, le vediamo ballare come odalische in una sorta di ristorante spaziale con tanto di tavolini e brocche. Certo a questo punto ci sarebbe stato bene uno spogliarello ma essendo gli anni '50 non vediamo manco quello. 

Insomma, tra una gag (quella dell'aria respirabile sulla luna, su tutte) e l'altra, piani sequenza lunghissimi, patetiche scene romantiche al tramonto, assistiamo ad una tragedia d'amore tra un astronauta e una donna gatto che si ribella alle regole di famiglia e, alla fine viene uccisa dalle sue stesse consimili. Ci sarebbe materiale per una disquisizione socio cinematografica sul pensiero americano del dopoguerra ma quando vediamo i protagonisti togliersi le tute spaziali e indossare calzoncini da piccolo esploratore della giungla, beh...quello è un chiaro segnale che, a volte, le parole sono inutili ed è il momento giusto per abbandonarsi ad una sana e liberatoria risata.
 


giovedì 5 giugno 2014

ZOMBI 3

(Id. 1988)
Regia Lucio Fulci, , Bruno Mattei 

Film travagliato a partire dalla sua realizzazione, Zombi 3 doveva essere il seguito di quel Zombi 2 che tanta fortuna aveva portato a Lucio Fulci. E infatti, per dare una continuità esotica con il precedente, la pellicola fu girata nelle Filippine ma per problemi (pare) di salute del regista fu completata dall'infallibile duo Bruno Mattei e Claudio Fragasso, anche se la versione ufficiale parla di una serie di scene girate dalla coppia allo scopo di allungarne la durata. In ogni caso Zombi 3 risulta un pastiche di grana grossa che richiama a più riprese "Virus, inferno dei morti viventi" in cui gli zombi sono comparse prese sul posto e quindi per lo più di aspetto orientale e sembrano non saper bene che direzione prendere, ogni tanto infatti li vediamo ciondolare come nei film di Romero, altre volte saltano, corrono, brandiscono machete e arrivano a fare salti degni di Bruce Lee. 


Il film sembra poi accusare una sceneggiatura alquanto debole e confusionaria in cui neanche la trama sa che pesci pigliare, e infatti ad un certo punto prende gli uccelli raggiungendo lo zenith del trash assoluto. Infatti i primi contagiati dal morbo che risveglia cadaveri cannibali, chiamato con poca fantasia "Death one", vengono uccisi e bruciati, ma il fumo della cremazione sale in cielo e infetta uno stormo di uccelli che cascano al suolo morti, salvo poi resuscitare come zombi-uccelli e aggredire un pulman di squinzie stupidotte in puro Hitchcock style. L'idea di mescolare film di zombi con "Gli uccelli" è semplicemente geniale ed avrebbe di sicuro fatto la differenza se il resto della storia fosse proseguito in questa direzione. 
 
Purtroppo però la parentesi dell'uccellagione dura pochi minuti, gli infettati dai passerotti risorgono e proseguono con una nuova invasione, suggellata dai continui sermoni di un disc jockey cieco che insiste a indicare i rifugi ai sopravvissuti ben sapendo gli ottusangoli dell'esercito sparano su tutti, vivi e morti. La recitazione è un pò cagnesca e mancano le idee geniali e lo splatter insostenibile che hanno da sempre caratterizzato il maestro Fulci, il quale però riesce comunque a regalarci una chicca: un teschio affamato che svolazza fuori da un frigorifero e azzanna alla giugulare il malcapitato di turno. Momento epico di un film che tende troppo a trascinarsi avanti senza (è il caso di dirlo) mordente.