giovedì 28 ottobre 2021

TEENAGE SPACE VAMPIRES

 (1998) 

Regia Martin Wood 

Cast Robin Dunne, Mac Fyfe, James Kee 

Parla di “studentello assiste ad atterraggio di vampiri spaziali che contagiano i bulletti della scuola e vogliono oscurare la Terra” 

Ispirandosi al classico “Invaders from Mars” ma anche al più recente “Ammazzavampiri”, il regista Martin Wood, la cui carriera oscillerà prettamente tra documentari e serie televisive, confeziona un teen horror fantascientifico in linea con la moda dell’epoca. Stranamente però questo titolo non giungerà mai in Italia, stranamente dico perché in quel periodo veniva distribuito un po' di tutto e, dal punto di vista tecnico il film si presenta con una buona realizzazione e degli effetti speciali discreti. Allora perché Teenage Space Vampires è rimasto inedito da noi? Semplicemente perché, nonostante il tentativo di utilizzare effetti speciali all’epoca avveniristici come la VFX digitale, tutto il resto del film sa di mortalmente vecchio, visto e stravisto e terribilmente noioso. Il plot vede il solito studente appassionato di fantascienza che, svegliato di soprassalto da un misterioso bagliore notturno, è testimone dell’atterraggio di un’astronave aliena. 

Ovviamente nessuno vuole credergli anche se il misterioso veicolo spaziale è parcheggiato sfacciatamente in un giardinetto con tanto di piccoli Gargoyle di pietra appostati di lato. Il bello è che sembra, più che un’astronave aliena, una scultura moderna ovvero una sorta di rotellona in verticale fatta di metallo, una specie di opera in stile Gio Pomodoro, per intenderci. Nel frattempo che il giovane protagonista Bill (interpretato da Robin Dunne) cerca di toccare l’astronave e viene allontanato a colpi di ringhio da una vecchia rincitrullita, un team di ufologi si reca sul posto per analizzare l’UFO ma due dei tre ricercatori spariscono senza lasciare traccia. Il sopravvissuto si unirà a Bill per cacciare un’orda di vampiri spaziali che contamineranno tutti i bulletti della scuola con l’intento di oscurare la Terra e potersi cibare liberamente degli esseri umani. 

Uscito otto anni dopo quell’altra ciofeca de “I sonnambuli”, il film di Wood utilizza anch’esso i primi rudimenti della Visual Effect digitale con animazioni gargoylesche appena accennate e mutazioni facciali computerizzate che ci offrono un valido aperitivo delle orripilanti nefandezze compiute dalla Asylum qualche anno dopo. La narrazione si sviluppa con una lentezza devastante, seppur condensata in appena 80 minuti, con battute da collegiali stanchi e personaggi stereotipati al punto da risultare un compendio generico e malfatto di tutto il teen horror degli ultimi 10 anni. Sarà che il nuovo millennio era vicino, sarà la pochezza dei mezzi, sarà la poca esperienza cinematografica del regista (del quale questo titolo risulterà essere l’unica opera da grande schermo realizzata) ma la sensazione nel guardare questo Teenage Space Vampires è quella di un film nato già vecchio e invecchiato anche peggio.  

mercoledì 20 ottobre 2021

L'INVINCIBILE BATMAN

 (Yilmayan Seytan, 1973) 

Regia Yilmaz Atadeniz 

Cast Mine Mutlu, Kunt Tulgar, Erol Tas 

Genere: Azione, Thriller, Fantascienza 

Parla di “Poliziotto menaschiaffi indossa passamontagna e mascherina e diventa supereroe contro criminali e robottoni in cartapesta” 

Sembra incredibile a dirsi ma, nonostante la fama strameritata del cinema turco anni settanta, ovvero plagiare supereroi senza pagare mai uno straccio di diritto d’autore, in questo specifico caso l’unico plagio attribuibile a quest’opera diretta da Yilmaz Atadeniz è colpa dei distributori italiani, rei di averlo titolato come il celebre supereroe di Gotham City (in realtà il titolo italiano alternativo era "L'invincibile Bedman ovvero uomo-letto), che in questo frangente, non c’entra una beata fava. Il supereroe di questa ennesima trashata turca è, difatti, Testa di Bronzo, ovvero un poliziotto piuttosto manesco a cui il capo dona una specie di passamontagna pieno di lustrini dorati e un foulard rosso. Grazie a questo potentissimo escamotage, il nostro eroe riesce a correre, saltare addosso ai cattivi e menarli di brutto. 

Al centro della storia c’è il solito avveniristico esperimento bellico che dovrebbe telecomandare a distanza gli areoplani.Vediamo infatti il test eseguito attraverso improbabili filmati recuperati dal regista attraverso vecchi film di guerra. Non a caso gli aerei inquadrati sono Fokker della prima Guerra Mondiale. Tuttavia l’invenzione ingolosisce un certo Dottor Diabolicus interpretato dal macellaio turco sottocasa dotato di due assurdi baffoni alla Fu Manchu e immense sopracciglia attaccate con lo scotch. Siccome non c’è fine al peggio, lo scopo di Diabolicus è quello di comandare a distanza un delirante robottone ricavato da scatole di cartone pressato e dipinto d’argento che si muove come una foca imbizzarrita. A rincarare la dose del trash c’è pure il comprimario del protagonista, che nel doppiaggio italiano si chiama Malridotto, un assurdo vecchietto che fa battute terrificanti cercando di imitare Groucho Marx ma vestendosi come uno Sherlock Holmes in debito di kebab. 

A rincarare il deliro la colonna sonora passa improvvisamente dalla musica classica al rock psichedelico arrivando a plagiare persino “Oye como Va” di Santana. Durante tutto il film il protagonista Kunt Tulgar corre a destra e a sinistra menando schiaffazzi come se non ci fosse un domani, passando improvvisamente da una stanza chiusa ad uno spazio aperto grazie ad un montaggio che non conosce confini anche se, a onor del vero, risulta la cosa migliore del film e contribuisce a non far addormentare lo spettatore. Il finale raggiunge livelli estatici di demenzialità inquadrando Tulgar che passeggia allegramente sorreggendo Malridotto a testa in giù, una fotografia abbastanza evidente del disturbo mentale di chi realizzava le sceneggiature di questi piccoli capolavori di delirio supremo. 

martedì 12 ottobre 2021

MERMAID IN A MANHOLE

 (Ginî piggu: Manhôru no naka no ningyo, 1988)  

 Regia Hideshi Hino   

 Cast: Shigeru Saiki, Mari Somei, Masami Hisamoto

Parla di “pittore cerca nelle fogne e trova modella sirena in fase di putrefazione con cui realizzerà il suo capolavoro”

Quarto capitolo della infame serie Guinea Pig inventata da Hideshi Hino e concepita come una sorta di mostra degli orrori giapponese a partire dal primo capitolo, una vera e propria rielaborazione dello snuff movie con tutti i problemi giudiziari al seguito soprattutto dopo la denuncia di Martin Sheen, che lo scambiò per vero. A prescindere dalle questioni di falso e vero che la serie suscitò, questo Manhoru no naka no ningyo cambia direzione per quanto riguarda il plot espresso nei precedenti capitoli. Abbandonata la pura e semplice rappresentazione gratuita di torture e smembramenti, Hino vira verso una vera e propria storia dell'orrore inserendone però un'insolita connotazione romantica. Certo non mancano i dettagli forti, le inquadrature da vomito e il disgusto regna sovrano ma il tutto appare meno gratuito del solito ed il film, di breve durata, si lascia vedere piacevolmente (possibilmente non dopo aver mangiato). 

Un pittore vedovo si aggira nelle fogne tra rifiuti e cadaveri di bambini gettati nelle acque, il suo intento è trovare soggetti da dipingere, lo vediamo infatti intento sin da subito a ritrarre il neonato immerso nelle acque limacciose con gli occhi chiusi. Successivamente però accade un fatto straordinario, nei cunicoli l'artista (Shigeru Saiki) incontra una splendida sirena ferita (Mari Somei), la porta a casa per dipingerla (esortato anche da lei stessa) ma il corpo della creatura è destinato progressivamente a marcire. A questo punto assistiamo ad un tripudio di verruche e tumori marcescenti che prendono possesso gradualmente del corpo di lei, esplodendo in liquami di pus colorato, interiora viscide e vermi schifosi.

C'è veramente da stare male a guardare certe scene, pur se ben realizzate (anche troppo). Il pittore fa di tutto per fermare la decomposizione della sirena ma inutilmente, l'unica cosa da fare è finire il quadro, che partendo da un ritratto si trasforma nella rappresentazione surreale di un volto purulento e grottesco. Questa versione splatter della sirenetta è, a oggi, la cosa migliore partorita dalla serie Guinea Pig. Un perfetto connubio di poesia e stomaco che si insinua nei nostri occhi e strizza violentemente le nostre viscere regalandoci disgusto e disperazione in quella che potrebbe essere definita una fiaba d'amore virata al nero. Hino ci inonda di vermi giganti che escono dalle piaghe purulente e alle volte, il cervello dello spettatore, talmente aggredito da queste immagini orrende, sembra che riesca a ricevere anche gli odori marcescenti di un corpo che si lacera mutando la carne in una nuova, oscena, forma d'arte.