giovedì 31 ottobre 2013

BEYOND LOVE AND EVIL

(La philosophie dans le boudoir, 1971)

Regia
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Il titolo originale si rifà a una raccolta di dialoghi a opera del Marchese De Sade, giusto per rimanere in tema con i contenuti di questa pellicola made in France e ridistribuita all'estero come "Beyond Love and evil" nel tentativo improbabile di mescolare Sade con Nietzsche sostituendo l'aggettivo "Good" con il più freakkettone Love. Non a caso l'amore libero è il leit motiv di questa confusionaria sarabanda psichedelica che inizia con uno scheletro crocefisso e dato in pasto alle fiamme, tanto per rendere più suggestivi e minacciosi i titoli di testa, a seguire assistiamo al malaugurato atto del giovane protagonista di bussare alla porta di una fastosa villa curata a vista da un branco di cani feroci.
Mentre in sottofondo l'addetto alla colonna sonora Jean-Claude Pelletier copia in maniera imbarazzante "In a Gadda da Vida" degli Iron Butterfly, vediamo orge e baccanali senza sosta ad opera di capelloni truccati con maschere d'argento e sfoggio abbondante di lustrini e paillettes, donne nude dipinte in stile body art, serpenti, leprotti, criceti e altre bestiole che scorrazzano allegre tra i tavoli mentre il padrone di casa brinda alla libertà sessuale. Come se non bastasse le orge si alternano a scene paradisiache tra albe nei boschi, mandinghi in mutandoni di pelle che passeggiano con pastori tedeschi e una specie di caccia alla volpe dove la vittima è una donna nuda che viene inseguita nei boschi  prima di essere acchiappata da un cerimoniere vestito come i Beatles nella versione hippie con tanto di riportino.
 Non contento di ciò il padrone di casa libera una specie di maniaco sessuale dai tratti bestiali che si piglia una per poi stuprarsela allegramente in cantina per il gustoso piacere voyeuristico dei convitati. Free jazz a manetta accompagna scene lesbo mentre il nostro eroe in camicia trasparente guarda perplesso quello che accade attorno a lui, all'interno di stanze affrescate con opere pop surrealista.

E ancora trenini dell'amore a ritmo di samba, pittori che dipingono intenti a defecare fino a raggiungere il top del cattivo gusto assistendo alla disgustosa esibizione di una ragazza che si masturba con viscidi polpi e merluzzi vari, con grande abbondanza di primi piani dettagliati tanto per far venire un po' di mal di mare allo spettatore. Tutto questo da parte del sedicente regista Jacques Scandelari con pretese arty che sfociano nel weirdo assoluto, delirante almeno come il nome della protagonista che si titola solamente Souchka e della quale, ad oggi, questo risulta l'unico film interpretato.

giovedì 24 ottobre 2013

CIAK...SI MUORE!

(Id. 1974)
Regia
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Più che regista, Mario Moroni ha un discreto backstage come sceneggiatore in collaborazione con Tanio Boccia, soprattutto per quanto riguarda il genere peplum, ed effettivamente di film ne ha diretti pochini, di bassa qualità e, ovviamente, di scarso successo. Ciononostante, questo "Ciak si muore!", a mio personale parere, non è un giallo da disprezzare, a patto che lo si guardi dall'ottica giusta, ovvero che non lo si prenda eccessivamente sul serio. Siamo di fronte infatti ad un classico slasher italiano degli anni'70, girato in economia ma dotato di un taglio ironico che lo rende anche divertente nel suo insieme.
Certo se lo si giudicasse per la storia o la sceneggiatura, siamo di fronte al deserto più assoluto con una trama fumettosa che ricorda tanto i noir comics di quell'epoca. In sintesi lo si potrebbe considerare un omaggio ai vari Diabolik, Satanik e compagnia bella che affollavano lietamente le edicole del tempo che fu. Non a caso il finale vede una sorta di musical rappresentato in un teatro, dove si svolgono le ultime scene, in cui si rappresenta la tradizionale lotta tra bene e male con quest'ultimo rappresentato da una serie di comparse vestite proprio come Diabolik, forse un omaggio a Mario Bava, di sicuro una citazione spassosa almeno quanto la macchiettistica recitazione di Antonio Pierfederici nel ruolo del regista bizzoso e autoreferenzialista che crede di essere un artista mentre tutti lo considerano un mentecatto.
Ovviamente il serial killer che impazza sul set di un film ancora più delirante è proprio un membro della troupe frustrato, ma l'importante per Moroni è più che altro comporre metraggio mettendoci dentro più donnine possibili con un siparietto festoso/psichedelico in cui Annabella Incontrera si dimena davanti alla macchina da presa compiacente soprattutto nello snocciolare primi piani vorticosi. Nell'insieme l'indagine è condotta da un George Ardisson (ma chiamatelo pure Giorgio) poco calato nel personaggio ma molto interessato alle bellezze presenti nella troupe. Peccato che il fallimento di tutta l'operazione, oltre alla estrema semplicità di una trama giallistica da romanzo rosa, stia nella poca capacità di gestire la pur minima sequenza d'azione che raggiunge il suo zenith nella terrificante citazione dell'omicidio nella doccia di hitchcockiana memoria. Probabilmente avrò visto di peggio ma tutto sommato alla visione di questo fumettone malsano mi sono anche divertito!



martedì 15 ottobre 2013

ARCANA

(Id. 1972)
Regia
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Miracolosamente riesumato dagli archivi cinematografici della cineteca nazionale in versione integrale, questo controverso film fu l'ultimo prodotto cinematografico dell'eccentrico regista Giulio Questi, coadiuvato dall'inseparabile sceneggiatore Franco Arcalli, seguito poi da una serie di opere per la televisione e una raccolta di cortometraggi autoprodotti di recente fattura. Contrassegnato dal fallimento della casa produttrice e la conseguente invisibilità nel panorama cinematografico di quegli anni, Arcana fu il capitolo sfortunato di un artista vero, che per la sua forza visiva e surrealista si pone tra Cavallone e Antonioni, passando da Bunùel fino a Jodorowski con il valore aggiunto di una familiarità dei luoghi con cui lo spettatore italiano inevitabilmente si confronta.
 
In questo caso la vicenda si svolge a Milano, in una fase in cui l'emigrazione di massa dal sud portava le persone a sbarcare il lunario con qualunque mezzo, ed infatti la protagonista, vedova di un operaio della metropolitana ucciso da un convoglio, cerca di guadagnare con sedute esoteriche di gruppo, letture della mano, tarocchi e fondi di caffè. A collaborare con lei anche il giovane figlio con cui ha un rapporto al limite dell'incesto, il ragazzo oltre a accarezzare e schiaffeggiare la clientela durante le riunioni estatiche, si dedica a giocare con i bambini della scala, appendere oggetti su corde attorno all'ingresso della metropolitana e attraversare i corridoi bui della propria abitazione munito di un minaccioso coltello con cui, ad un certo punto, comincerà a torturare la madre per costringerla a rivelargli la ricetta di un filtro d'amore per irretire una giovane incontrata in metropolitana.
 
Alla fine la ragazza dovrà effettuare l'aborto, la madre vomiterà ranocchie dalla bocca mentre sulle strade impazzeranno i soldati a sparare in mezzo alla folla mentre sullo schermo passeranno immagini di danza offerte da statiche famiglie siciliane al suono ipnotico di un violino. Un'opera visionaria che mantiene i piedi per terra per un'oretta ma che sul finale scatena un circo delle assurdità che mette a dura prova la comprensione dello spettatore. Arcana affascina senza dubbio per il potere delle immagini evocate in luoghi dove il sogno sembra mescolarsi con la realtà.

Mirabili in tal senso le immagini quasi oniriche nelle gallerie della metropolitana o i percorsi nei corridoi dello spettrale condominio dove si svolgono le vicende, rappresentazione da incubo di un urbanizzazione del degrado che produce aberrazioni sociali. Lucia Bosè, allora quarantenne, nel ruolo della madre incestuosa riesce a trasmettere quella matura sensualità che solo certe donne riescono a dare, grazie ad uno sguardo intenso e un corpo ancora in grado di far girare la testa. Arcana non è sicuramente un pasto facile da digerire ma se si ha pazienza di arrivare al digestivo, il gusto al palato è uno di quelli che non si scorda facilmente.   

giovedì 10 ottobre 2013

SHE WOLF OF LONDON

(Id. 1946)
Regia
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Nonostante il titolo richiami echi di trasformazioni belluine e creature mannare in stile Lon Chaney Jr. non siamo di fronte ad un horror vero e proprio, non ci sono effetti di sovrimpressioni nè mostri pelosi che si aggirano per i fumosi quartieri di Londra. In realtà il film di Jean Yarbrough è più un thriller a tinte forti quasi tutto al femminile e per lo più ambientato in una enorme casa vittoriana dove la giovane protagonista Phyllis (June Lockhart) si sveglia tutte le mattine con le scarpe infangate e le mani sporche di sangue mentre di notte una strana donna con il volto avvolto in uno scialle si aggira per il nebbioso parco a uccidere giovanotti raffinati e poliziotti ciccioni. Sulla giovane grava infatti una terribile maledizione di famiglia che vede i suoi membri trasformarsi in licantropi sotto l'influsso della luna piena.
 
Tuttavia la soluzione al mistero è meno soprannaturale del previsto e si capisce, anche perchè la misteriosa lupa mannara uccide con una specie di rastrellino per giardino e non ulula bensì abbaia. Ecco forse quest'ultimo particolare è la cosa più weirdo di tutto il film, che non brilla certo di particolari momenti di tensione, invischiato com'è in una serie di noiossimi dialoghi e drammatici struggimenti della giovane, a carburare la dose entrano in scena dei personaggi veramente stereotipati del cinema dell'epoca come la vecchia governante (Eily Malyon) che non si fa mai gli affari suoi ma che vuole tanto bene a phyllis ( e infatti sarà lei a salvarla alla fine) oltre alla solita matrigna Sara Haden ed alla sorella che viene sospettata per prima di essere il misterioso licantropo.
 
Insomma elettrocardiogramma piatto per un film senza particolare interesse per cui essere riscoperto se non il fatto che, all'epoca fu la prima versione del mito licantropesco virata al femminile, cosa questa che in seguito verrà meglio sfruttata da altri titoli mescolando insieme horror e sesso. Insomma se amate le licantrope molto meglio ricercare il mitico"La lupa mannara" del nostro Rino Di Silvestro.

venerdì 4 ottobre 2013

THE FANTASTIC FOUR

(Id. 1994)
Regia
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Lontano anni luce dal megablockbuster della Marvel, questo ennesimo tentativo di realizzare un film di supereroi in "povertà" rivela tutti i limiti di questo tipo di operazioni alle quali appartiene di diritto anche la saga B-movie dell'uomo ragno interpretato da Nicholas Hammond (che era poi un prodotto televisivo a tutti gli effetti), oggi sotterrata profondamente dal successo della trilogia di Sam Raimi e l'ultimo patinatissimo re-boot organizzato da Mark Webb.
 
Non c'è niente da fare, solo l'avvento degli effetti digitali ha permesso la realizzazione di opere sueperoiche degne di approdare nelle cosidette sale di serie A, nonostante questo, è così facile affezionarsi a prodottini come questo targato Roger Corman e diretto da un anonimo regista chiamato Oley Sassone, una roba che, a guardarla oggi, ispira tanta tenerezza con quell'aura tardo anni ottanta infarcita da effetti speciali arcaici, protesi gommose, laser disegnati su pellicola e animazioni degne di un commodore 64, per non parlare delle calzamaglie azzurre di Mr. Fantastic e dell'orrendo costume da uomo cosa con un testone fungone e il corpo ricoperto da scaglie gommose.
 
Eppure a livello narrativo, l'operazione è tutt'altro che superficiale, ricrea a suo modo le origini della nascita del dottor Destino, compagno di studi di Richard Reed, frutto di un esperimento andato a male con le particelle nucleare in un tripudio di fulmini e saette degne dei peggiori cartoon anni cinquanta. Il film prosegue poi con il viaggio spaziale dei nostri quattro avventurieri che, a seguito dell'incontro con la cometa Colossus vengono investiti da radiazioni che trasformeranno i nostri nei fantastici quattro, ovvero un Mr. Fantastic che sventola protesi di manichino per simulare l'allungamento delle braccia, una Donna invisibile che sparisce e riappare con una sovrimpressione poverissima e una torcia umana che quando prende fuoco diventa un cartone animato.
 
Non mancano siparietti sentimentali con Ben Grimm/La cosa che si trasforma in umano appena si innamora di una cieca e momenti di sana ilarità quando si assiste alle mossette teatrali del dottor Destino che agita istericamente le sue braccine ferrose. Pare che il film in sè stesso, ritirato dalla distribuzione e quindi mai apparso nelle sale, fosse stato realizzato come pretesto per mantenere i diritti cinematografici, una produzione quindi già per sua stessa natura  destinata a finire in pattumiera. Del resto il finale che vede il dottor Reed salutare gli invitati al suo matrimonio agitando il braccione finto dal tettuccio della limousine la dice lunga sull'effettiva qualità di questo cult assolutamente super!