giovedì 31 gennaio 2013

ZOMBIE STRIPPERS!

(Id. 2008)
Regia
Probabilmente chi si aspettava uno zombi horror in stile Romero sarà rimasto deluso ma del resto il titolo stesso non nasconde la vena humor-trash weirdo di questa pellicola birichina. Strizzando l'occhio all'ultimo Robert Rodriguez il regista Jay Lee si propone di realizzare un curioso omaggio ai B-movie low budget degli anni'70, curioso perchè oltre alle classiche tematiche dello zombie movie vi inserisce anche alcuni rimandi a Death Becomes Her  di Robert Zemeckis sopratutto nello scontro tra le due strippers Jenna Jameson e Shamron Moore trasformate in cadaveri viventi per la supremazia erotica di una delle due. Non mancano anche i riferimenti ad un altro classico della commedia horror ovvero Teen Wolf sopratutto per quanto riguarda la tematica del mostro che viene subito accettato dalla massa ed anzi idolatrato, qui portato addirittura all'estremo con un gruppo di lap dancers  che scoprono di avere più successo fra i clienti una volta tramutate in zombi.  
Questo accade quando, in un laboratorio scientifico viene sperimentato un gas per trasformare i morti in soldati invincibili (anticipato da una divertente presentazione televisiva), gli scienziati perdono il controllo ed interviene una squadra speciale, peccato che uno dei membri venga morso e fugga all'esterno, in un capannone adibito alla lap dance clandestina, dove morsica una delle ballerine. Curiosamente la neo zombessa scopre di avere più successo da morta che da viva pur non potendo rinunciare al suo pasto umano, e infatti, a fine esibizione, sceglie uno del pubblico e se lo porta in camerino (ma non per quello che pensa lui). Il successo della nudie lady scatena però l'invidia delle altre che, paradossalmente cercano in tutti i modi di tramutarsi in zombie anche loro per non perdere il lavoro. Robert Englund gigioneggia al solito nella parte del padrone del sexy bar, mentre la pornostar Jenna Jameson appare in gran forma nonostante non sia più una ragazzina, ed anche truccata da cadavere ambulante sa essere sexy. Per il resto ci troviamo di fronte ad un film innocuo che se da una parte fa storcere il naso per alcuni effetti digitali alquanto caserecci, dall'altra fa divertire con la sua giocosa massa di tette e culi, un pò di splatter talmente estremo da diventare comico e una robusta dose di demenzialità anni '80 che non fa mai male.  

mercoledì 23 gennaio 2013

SWAMP OF THE LOST MONSTER

( El pantano de las ánimas, 1957)
Regia Rafael Baledón
Cast Gastón Santos, Rayo de Plata, Manola Saavedra 

L'inizio fa ben sperare in questa sorta di ibrido giallo-horror-western messicano, il regista rafael baledon riesce infatti a creare, attraverso una serie di inquadrature, un' atmosfera cupa e a tratti inquietante, complici i numerosi visi dal tono intenso che avvolgono la scena funerea in cui una serie di campesinos trasportano una bara nella palude per il riconoscimento della vedova.

E subito dopo arriva il mostro, una sorta di Gill Man che dalla palude assale un contadino trascinandolo sul fondo delle acque marroni e limacciose. Tutto ruota attorno alla morte del marito di una ricca cieca e, ovviamente della sua eredità, c'è anche un gringo di nome Gaston che fa ballare i cavalli, un ciccio messicano che urla e si dispera come un ossesso, la solita damigella vestita in maniera improponibile, tante parate a cavallo e spettacoli di rodeo, sparatorie ed un finale dove tutti i cattivi vengono comicamente infilati in una cantina piena di paglia.
  
In tutto questo bailamme il mostro della palude, una specie di uomo-rospo purulento attacca le sue vittime sottacqua, spara con la fiocina, usa il telegrafo ed alla fine si tratta, ovviamente di una finzione. Baledon ha nel suo carnet un'infinità di film ed il mestiere si vede, la fotografia, contraddistinta da colori vivaci sia di notte che di giorno, è una delle cose migliori come anche le splendide ambientazioni agreste tipicamente messicane. Un titolo bizzarro, anche un pò folle che forse meriterebbe più attenzione ed invece rimane fagocitato dalla marea di pellicole che ha sfornato negli anni il cinema sudamericano.

martedì 15 gennaio 2013

LA MALDICION DE LA LLORONA

(Id. 1963)

Regia Rafael Baledón
Cast Rosa Arenas, Abel Salazar, Rita Macedo

La Llorona nella tradizione popolare latina è lo spirito di una donna che piange per la perdita dei suoi figli, in questo weirdissimo film diretto da Rafael Baledón invece è una sorta di maga che ha donato la vita eterna a Selma (Rita Macedo) in cambio della celebrazione di un rito di sangue per farne tornare in vita il corpo putrefatto. Vediamo quindi di notte, la donna trasformarsi in una specie di grottesco mostro senza occhi attorniata da 3 alani che, in compagnia del servo Juan (Carlos López Moctezuma), assalta le carrozze in transito nel bosco per pagare il loro tributo di sangue.
Baledon sin da subito ci regala un   primo piano della Macedo sulla quale sono applicati malamente un paio di occhi neri da demone, dopo parte un coltello alla volta del cocchiere di una diligenza, il coltello si infilza nel petto ma pende all'ingiù rivelando la sua natura gommosa, così tanto per chiarirci immediatamente su quale tipo di pelicula abbiamo davanti: un piccolo capolavoro trash che solo un paese prolifico come il Messico ci poteva regalare.
Il servo Juan appare e scompare all'improvviso tentando di spaventare a tutti i costi con la sua faccia butterata ma basta vedere la finta zeppa applicata al piede per mettersi a ridere come matti.
L'handy man infatti cammina tutto inclinato (essendo una gamba più lunga dell'altra),  e quando è fermo deve tenere le gambe divaricate per restare in piedi, tutto questo accompagnato dal costante grido della Llorona che sembra un incrocio tra un finto ululato e una sirena .
Subito dopo il primo massacro, arriva la nipote di Selma, Amelia (Rosa Arenas) in viaggio di nozze col marito Jaime (Abel Salazar) che non si stacca mai dal suo sigarone, vengono accolti da Juan in puro "Frankenstein junior"style (Frau Blucher!!!!), cerca che ti ricerca trovano anche la zia impegnata a suonare l'organo talmente male che risulta essere la scena più terrificante del film.
Successivamente appaiono nell' ordine:
1) Un pipistrellone di gomma che assale Jaime
2)  Il marito di Selma, creduto morto, ma in realtà chiuso in solaio da decenni che assomiglia a una specie di scimmione strabico
3) Gli alani che assalgono la polizia e qui Baledon ci regala una delle sequenze più weirdo in assoluto con un continuo altalenarsi di primi piani dei cagnoni che leccano l'obiettivo e palline di carne che qualcuno deve aver poggiato su una lastra di vetro davanti alla telecamera, nel tentativo di far avvicinare gli alani, lo spettatore si gode in primissimo piano anche la bava biancastra dei cani mentre leccano la lastra!
Dopo tutto questo susseguirsi di allucinazioni weirdo il finale ci regala un bel momento di spettacolo con il crollo della casa maledetta, unico momento ben fatto che accompagna lietamente al finale. Da lodare in tal senso il fatto che gli sposini sopravvissuti hanno il buon senso di evitare la solita frase conclusiva di ogni film, chiudendo in silenzio questo spettacolare melodramma horror che consiglio spassionatamente.




martedì 8 gennaio 2013

SCREAM BLOODY MURDER

(Id. 1973)

Regia Marc B. Ray
Cast Fred Holbert, Leigh Mitchell, Robert Knox

Sottoprodotto slasher girato in estrema economia ma con grande estro visivo, il film narra delle vicende del giovane Matthew, affetto da turbe psicosessuali protoedipiche che lo portano all'omicidio seriale. Lo vediamo già da ragazzino salire sul mietitrebbia del padre e travolgere l'odiato genitore, peccato che l'idiota nel tentativo di saltare giù dal mezzo perde la mano. Dopo una lunga permanenza in un ospedale psichiatrico, Matthew, ormai adolescente ma dotato di un moncherino con rampino stile Freddy Krueger, torna a casa dove non fa tempo a entrare che già si deve sorbire il nuovo matrimonio della madre con un capellone baffuto. Ossessionato da un'insana gelosia materna, il giovane fa fuori il neo patrigno a colpi di accetta e durante un'animata discussione provoca la morte della madre.

La lunga scia di sangue prosegue ai danni di una coppia che gli da un passaggio in auto, dopo averli visti pomiciare, Matthew prima li prende a sassate, poi spacca la testa al ragazzo, la ragazza invece, attraverso una sequenza da non credersi (per incompetenza tecnica più che altro), si affoga da sola senza motivo. Dopo aver raggiunto una nuova città, il ragazzo conosce Daisy, una prostituta che ama dipingere quadri sulla finestra di casa (mah!), al culmine della sfiga, il ragazzo scopre che la donna fa la prostituta e infatti spunta fuori un ridicolo marinaretto che se la porta in casa ( e che verrà accoltellato successivamente da Matthew con una spatolina). Innamorato perso della rossa (...de cavei e quindi golosa de osei!!) Matthew le fa credere di essere pieno di soldi e per dimostrarglielo si impossessa di una lussuosa abitazione, non senza aver preso a mannaiate la governante ed aver soffocato la vecchia proprietaria, quest'ultima però riesce a fornirci una scenetta comica quando lo prende alle spalle e gli da una manica di bastonate con le stampelle.

Da una scena comica si passa ad una grottesca quando Matt fa fuori anche il cagnolino di casa che, placidamente, si fa sdraiare sul tavolo per ricevere la mannaiata senza accennare alcuna difesa. A questo punto Matthew porta Daisy nella lussuosa residenza, ma a questa gli puzza tutta sta inconsueta ricchezza e quindi tenta di fuggire cadendo però dalle scale. Matthew quindi la lega e la imbavaglia obbligandola a una serie di umiliazioni. Girato con una fotografia inesistente, inquadrature spesso sfuocate e sequenze rozze e malmontate (di cui lo zenith nel finale, vedere per credere!), Scream Bloody Murder ha il pregio di essere comunque molto divertente nella sua evidente idiozia, sottolineata da dialoghi al limite del ridicolo e da un'irritante tentativo, da parte del regista, di voler apparire sperimentalista e autoriale a tutti i costi, come evidenzia la lunga carrellata finale all'interno della chiesa e le infinite sequenze lisergiche che accompagnano le apparizioni degli spettri delle vittime ma ancor più evidente dalle continue concessioni all'uso di grandangoli acuti e soggettive traballanti che mettono a dura prova lo stomaco dello spettatore.