lunedì 24 febbraio 2020

CHICKEN PARK

(1994) 

Regia Jerry Calà 

Cast Jerry Calà, Harold Davies, Demetra Hampton 

Genere: Commedia, Fantastico, Demenziale

Parla di: “Allevatore avicolo incontra scienziato pazzo che ingigantisce I polli alla ricerca di un siero per allungarsi quanto la sua fidanzata”

Già dai tempi dei Gatti del Vicolo Miracoli, la comicità di Jerry Calà era orientata principalmente sulla parodia cinematografica, immortale a tal proposito la sua citazione di Taxi Driver in "Una Vacanza Bestiale" dove lo vediamo litigare con Teo Teocoli in versione marocchina, con una rivoltante cuffia di gomma sulla quale era stata appioppata una cresta punk per simulare il taglio alla mohicana di Robert De Niro, il quale da una foto santino sul cruscotto dell'auto gli dava dello stronzo. Con tale bagaglio metacinefilo non potevamo che aspettarci un orientamento comico nel suo disastroso esordio alla regia di questa assurda parodia avicola di Jurassic Park. Ed infatti lungo tutto il metraggio della pellicola troviamo citazioni più o meno ridicole di Mamma Ho perso l'aereo (la mamma che picchia il bambino perchè, per l'appunto, ha perso l'aereo), Il Cacciatore (la roulette russa con bombe a mano da cui sprizza coca-cola), Balla coi lupi (l'indiano che esce dall'uovo e grida "Kevin! Kevin!!") fino ad arrivare alla Famiglia Addams dove Rossy De Palma, attrice iberica scoperta nientepopodimeno che da Almodovar, interpreta una lussuriosa Morticia che si fa masturbare da Mano, con inserti più o meno gratuiti presi da Edward Mani di Forbice, Lo Squalo e Full Metal Jacket (l'imbarazzante Capitano dell'aereo che tratta i passeggeri come reclute). 

Insomma il campionario di battute del buon Jerry segue sempre un percorso cinematografico più o meno in linea con grandi classici e grandi successi del periodo. Ma Calà non si ferma qui, arriva persino al metacinema quando, trovandosi di fronte alla zoologa del Chicken Park (nomata appositamente Sigourney) rimane insoddisfatto dell'attrice visibilmente racchia e decide di scegliersi una nuova protagonista pescandola direttamente dalla sala cinematografica in cui viene proiettato il film (scena quanto mai controprofetica in quanto la pellicola non venne mai proiettata in nessun cinema italiano). Ecco dunque spuntare l'avvenente Demetra Hampton (la Valentina di Crepax in versione televisiva), talmente vogliosa e calda da far bollire una pentola di spaghetti sullo stomaco. La cosa più incredibile del film è che per realizzarlo sono stati spesi dei bei soldoni, visto che, per simulare i polli giganti che abitano il parco, è stata realizzata un'enorme zampa di gallina e un paio di testoni da gallo tra cui spicca per grottesca bruttezza Hybridus, il pollo transessuale che viene fatto uscire allo scoperto solo mettendo come esca un nero gay vestito da marinaio che balla sculettando appollaiato sulla gabbia. A voler poi analizzare la bruttezza complessiva di ogni singola scena si potrebbe scrivere un libro. Basti pensare all'imbarazzante giochino a doppiosenso iniziale dell'uccello di uno degli operai del parco, il quale, colpito a morte dai soldati, libera il suo "Ramon" tirandosi giù la patta da cui sbuca un pappagallino. 

Niente da invidiare alla scena della morte del suo affezionato pollo Joe dove Jerry piange disperato rimarcando quanto era buono e poi (assaggiandolo) apostrofare "Oh! Ma sei buono anche adesso, Joe" il tutto ripetendo la battuta almeno tre volte nel caso che il pubblico non l'avesse capita. Altre situazioni non sono da meno, tipo il dottor Eggs, proprietario del parco, il cui scopo è scoprire una cura ormonale che gli permetta di congiungersi alla sua amante dotata di gambe lunghe due metri, o la gag delle patatine fritte giganti che fanno scureggiare i polli mostruosi. Tante gag, tante idee e tanti sforzi per non riuscire a strappare una risata manco ad una jena ridens. Dulcis in fundo l'imbarazzo colpisce anche il povero Umberto Smaila, disceso da qualche nave da crociera per scrivere una colonna sonora destabilizzante che culmina con un protorap in inglese caciottaro dove Calà da il meglio di sè come cantante. 

lunedì 17 febbraio 2020

SLIME CITY

(1988)

Regia: Gregory Lambertson

Cast: Craig Sabin, Mary Huner, T.J. Merrick

Genere: Slime Movie, Horror, Splatter, Commedia

Parla di “Giovane artista sorbisce yogurt verdastro e si trasforma in assassino gelatinoso”

Se Larry Cohen aveva trasformato un normale gelato alla crema in una creatura informe che divorava le proprie ignare vittime dall’interno in The Stuff, tre anni dopo tocca al filmmaker indipendente Greg Lambertson riprendere il concept trasformando il gelato in uno schifiltoso “yogurt himalayano” in grado di possedere il consumatore fino a trasformarlo in una specie di mostruoso drogato, capace di alimentarsi esclusivamente della verde paccottiglia gelatinosa salvo poi cominciare lui stesso a perdere umori disgustosi. Unico rimedio al progressivo disfacimento del corpo, per la vittima, è quello di compiere un omicidio ripristinando così le proprie normali fattezze. E’ quanto accade al giovane pittore Alex (Craig Sabin) quando prende in affitto da due strane vecchiette un fatiscente appartamento in uno stabile abitato da gente molto strana. Invitato a cena da un poeta dark-punk, l’artista viene iniziato a questo disgustoso alimento, irrorato da una sorta di liquore verdastro. 

Da questo momento in poi incomincia un lungo calvario che lo porterà a girare per i bassifondi, con il viso bendato stile The Invisible Man per nascondere il liquame che straborda da tutti i pori della faccia, in cerca di homeless o balordi vari da uccidere. Alex scoprirà addirittura che esiste un piano ben preciso per riportare in vita una specie di Guru del male e la sua setta suicida, attraverso il graduale inserimento dello slime verdastro nel proprio corpo. La tematica già espressa nel capolavoro di Larry Cohen si veste di occulto e magia nera con un occhio di riguardo al caso Manson e in generale alle sette sataniche. A livello di sceneggiatura il film appare ben strutturato, i personaggi risultano perfettamente delineati pur essendo soggetti a clichè narrativi piuttosto scontati, le ambientazioni degradate e casalinghe trovano una giusta collocazione all’interno di una suggestione metropolitana underground che richiama l’ottimo Street Trash di James Muro e alla fine l’idea alla base del plot narrativo ha comunque dalla sua una discreta dose di originalità. Gli effetti speciali sono comunque dignitosi e schifiltosi al punto giusto, soprattutto nel finale dove si assiste ad una vera e propria orgia slime a base di succhi gastrici giallastri, braccia che entrano nello stomaco per venirne poi inglobate, teste che si spetasciano a terra e ti guardano con occhi sornioni. 

Punto debolissimo invece è la recitazione, in modo particolare quella fisica, relegata per l’appunto nel massacro degli ultimi 20 minuti dove si evidenzia decisamente la poca dimestichezza del cast in campo action, per quanto a nessuno del cast venga chiesto di fare tripli salti mortali, gli attori hanno movimenti degni del miglior bradipo brasiliano, in special modo Mary Huner che interpreta il doppio ruolo di Lori, casta fidanzata di Alex e Nicole, bramosa dark lady in cerca di sesso (e morte). Nel finale la vediamo infatti squartare, smembrare e spiaccicare con la calma serafica di chi si appresta a sorbirsi un tè piuttosto che disgustosi liquami demoniaci. Se si passa sopra a questo (e chi guarda questi film passa sopra a cose ben peggiori) il film è discretamente godibile e sufficientemente divertente. Nel 2010, 22 anni dopo, il buon Lambertson tornerà ad dirigere un nuovo slime movie dal titolo Slime City Massacre.  

martedì 11 febbraio 2020

LA SFIDA EROTICA

(1986)

Regia Arduino Sacco

Cast Marina Hedman, Ivana Saul, Paola Senatore

Genere: Porno, Commedia

Parla di “tenzone a colpi di sesso fra due tizie in un film di montaggio dove si ricicla l’impossibile”

Arduino Sacco che, spesso e volentieri, si è fregiato dello pseudonimo anglofono Dudy Steel, è un mestierante votato al porno, attivo per lo più negli anni ’80, insomma uno di quelli a cui non verranno attribuiti capolavori rivalutati nel tempo, anche se poi, se si guarda la sua filmografia con lo sguardo del cacciatore di stranezze trash, vediamo che è nientemeno il regista di due turpi pellicole con la Marina Frajese i cui titoli “Marina e la sua bestia” e “Marina e la sua bestia 2” ci fanno ben immaginare l’edificante contenuto. 

Parlando di questa “Sfida erotica” ci sarebbe ben poco da dire, è sostanzialmente un film di montaggio dove l’unico collante narrativo è la voce fuori campo che racconta la rivalità sessuale di due tizie impegnate a dare fondo alle proprie energie erotiche per farsi più maschi possibili. Tentare in ogni caso di reperire un nesso logico alle sequenze di sesso montate alla cazzo di cane (o cavallo tanto per rimanere nel paniere del regista) è tempo sprecato come del resto è altrettanto sprecato il tempo dedicato alla visione di quest’oretta scarsa di pellicola da infimo cinema a luci rosse dove però spunta la faccina di Paola Senatore, attrice non propriamente abituata al genere. La brava Paola, protagonista di punta di molti titoli di serie B tra commediacce scollacciate, nunsploitation, poliziotteschi e thriller, si era fatta notare in Salon Kitty di Tinto Brass e sorprende quanto rattrista quindi vederla impegnata a fine carriera, ormai devastata dalla tossicodipendenza, in ruoli da basso cinema porno. 

Con Sacco aveva già lavorato in “Non Stop sempre buio in sala” l’anno precedente ed è proprio dai rimasugli di questa pellicola che derivano le scene girate per “La sfida erotica” con la Senatore, evidentemente ancora un nome di richiamo per certi spettatori arrapati che infestavano le sale a caccia di facili masturbazioni notturne. In ogni caso essendo un film di montaggio non sorprende che si sia riciclato l’impossibile per portarlo a compimento, sorprende di più che io sia riuscito ad arrivare alla fine vincendo la devastante sonnolenza che procurano queste arcaiche scene di sesso dove intere foreste di pelo pubico invadono lo schermo e dove interminabili coiti artefatti minano alla radice anche quel poco che il cinema porno, in passato, ci aveva regalato. 

martedì 4 febbraio 2020

VAMPIRE OVER LONDON

(Mother Riley meets the vampire, 1952)

Regia John Gilling

Cast: Bela Lugosi, Arthur Lucan, Dora Bryan

Genere: Commedia, Horror, Fantascienza

Parla di: “un malvagio scienziato vuole dominare il mondo con un robot ma innocua vecchietta irlandese gli mette i bastoni tra le ruote”

L’abbruttimento e la povertà che contrassegnarono il tramonto della carriera di Bela Lugosi furono costellati di apparizioni, partecipazioni e interpretazioni del suo personaggio iconografico, a metà tra vampirismo e Mad Doctor. Insomma il buon Bela rappresentava il cattivo per eccellenza all’interno di svariati filoni cinematografici che il povero ungherese mai avrebbe realizzato se non per sopperire all’indigenza cronica data soprattutto dalla sua tossicodipendenza e dal declino della sua figura attoriale. Ridotto alla parodia di sé stesso, Lugosi accettava qualsiasi ruolo purchè lo pagassero. Nello specifico di Vampire over London conosciuto anche come Mother Riley meets the vampire, stiamo parlando dell’ultimo, stanco, capitolo della lunga serie comica dedicata al personaggio comico di Mamma Riley, lavandaia e badante irlandese interpretata da un attore maschile di nome Arthur Lucan per un totale di diciassette film. 

In questo frangente la partecipazione di Lugosi fu il motivo determinante che convinse il produttore Richard Gordon a realizzare questo film. In pratica Lugosi si trovava in Inghilterra per partecipare ad una rappresentazione teatrale di Dracula, purtroppo l’opera non venne messa in scena e il povero Bela si trovava prigioniero in Albione senza i soldi per tornare in America. Gordon lo pagò 5000 dollari e Lugosi venne scritturato per interpretare il diabolico dottor Von Housen, soprannominato il Vampiro, autore di rapimenti di giovani fanciulle e intenzionato a dominare il mondo grazie a robot alimentati ad Uranio. Il prototipo gli viene spedito per posta ma per uno scambio di etichette finisce nel negozio di Mrs. Riley. Comandato a distanza l’automa si risveglia e rapisce la donna portandola al cospetto del Malvagio scienziato dando vita ad una serie di situazioni comiche alle quali Lugosi deve sottostare con malcelato imbarazzo. 

Pur rimanendo un prodotto divertente grazie anche alla comicità fracassona e anarchica di Lucan (in parte debitrice della rumorosa follia dei Fratelli Marx) e alla suggestione ipnotica del volto di Lugosi in primo piano, inquadrato in penombra a snocciolare sardonici sorrisi da vampiro appassito, siamo di fronte ad una produzione di poco superiore a quelle di certi titoli messicani anche se per fortuna qui il robottone non è la solita scatola di sardine con antenne girevoli. Alla regia abbiamo comunque un John Gilling pre-Hammer che in futuro realizzerà piccoli classici horror come Plague of the zombies e The Reptile (rispettivamente La lunga notte dell’orrore e La morte arriva strisciando).