lunedì 25 maggio 2020

DEVIL STORY

(Il était une fois le diable, 1986)

Regia: Bernard Launois

Cast: Véronique Renaud, Marcel Portier, Catherine Day

Genere: Horror, Demenziale

Parla di “Maniaci vestiti da SS, Mummie Viventi e ragazzine spititate, un cavallo e un gatto satanico ed un vascello maledetto”

Poliedrico mestierante cinematografico d’oltralpe, Bernard Launois non ha un carnet molto numeroso per quanto riguarda la sua filmografia, come regista infatti ha diretto una manciata di pellicole, quasi sempre commedie a sfondo erotico, per poi tentare, nel 1986, la scalata al genere horror con questo “Il était une fois le diable”. Un tentativo decisamente bizzarro, sconclusionato e grottesco con cui concluse definitivamente la sua carriera, regalandoci però una perla assoluta del cinema trash per il quale, ancor oggi, migliaia di critici e appassionati di tutto il mondo tentano disperatamente di carpirne il significato, chiedendosi ossessivamente di cosa cazzo parla questo film. 

Tralasciando la grettezza, l’amatorialità e l’assoluta imperizia con cui è stato realizzata quest’opera, siamo di fronte a uno script che, definire squinternato, è un complimento. Inizia infatti con una specie di maniaco mostruoso, truccato con una evidentissima maschera di gomma che avrà senz’altro ispirato Fabrizio Mandelli dei Soliti Idioti per il suo personaggio Ruggero De Ceglie. Il mostro, vestito con una divisa sbrindellata da SS, ammazza a colpi di coltello un campeggiatore, il cui corpo, nonostante le ferite inferte e il sangue che sgorga a litri, non smette di respirare, più per problemi recitativi che fisici. Dopodichè fa fuori un altro ragazzo che zompetta nei boschi portando in braccio della legna e ammazza due automobilisti a colpi di fucile. Intanto vediamo un’altra coppietta in panne sulla strada, la donna scende e inizia a camminare rasente una collina rocciosa mentre gli effetti speciali decisamente arcaici disegnano fulmini giallastri che sembrano doverla fulminare da un momento all’altro. La scena si alterna per lungo tempo con le immagini di un gatto nero che miagola in continuazione fino ad un certo punto, quando qualcuno della troupe lo lancia sulla ragazza. Giunge il marito che cerca di tranquillizzare la donna, terrorizzata dalle piaghe improvvisamente spuntategli sulle mani. I due ripartono e si fermano in una vecchia villa dove una coppia di vecchietti gli racconta di uno strano vascello che si è arenato in quella zona perché lì una volta c’era il mare. Poi il delirio, la ragazza scappa dalla villa nottetempo, viene inseguita dal maniaco vestito da SS e nel frattempo spunta un sarcofago egizio da cui fuoriesce una mummia vivente che prende per mano una ragazza con la faccia stralunata, vestita con un camicione bianco. Intanto del marito non avremo più traccia per tutto il film mentre il vecchietto tenterà per un’ora circa di sparare ad un grosso cavallo nero, girandosi in continuazione e sbraitando come un matto. 

Quello che colpisce e infastidisce nel film è l’uso smodato e assolutamente casuale di urla, miagolii, grugniti e nitriti che viene lanciato in loop senza alcun senso logico. Non parliamo poi delle lunghe scene inutili che vengono inserite al solo scopo di tirare l’oretta scarsa canonica per il lungometraggio in cui il regista ci piazza sequenze ripetute fino alla nausea, ralenty sfiancanti e una lentezza progressiva che rende le scene più movimentate un assurdo guazzabuglio che sembra ripreso in un ospizio. Fotografia che confonde il giorno con la notte, recitazione inguardabile e montaggio senza soluzione di continuità danno il colpo di grazia a questo capolavoro del non-sense. Ciliegina sulla torta del dramma cinematografico a cui stiamo assistendo è il penoso utilizzo della splendida fuga di Bach per condire in modo assolutamente arbitrario l’obbrobrio visivo davanti ai nostri occhi. E un po' come la cura Ludovico di Arancia Meccanica, anche noi dovremmo metterci ad urlare per la nausea provata nell’abbinare le note del grande Johannes a questa sgradevole esibizione di bruttura in celluloide.

martedì 19 maggio 2020

IL CACCIATORE DI UOMINI

(El Canibal, 1980)

Regia: Jess Franco

Cast: Ursula Buchfellner, Al Cliver, Antonio Mayans

Genere: Horror, Cannibal, Avventura, Erotico

Parla di: “Attricetta rapita nella foresta deve affrontare una mostruosa divinità cannibale con gli occhi a forma di vagina”

L’ epopea “Cannibal” è contrassegnata da una serie di titoli forti come Cannibal Holocaust, Cannibal Ferox o Mangiati Vivi, tutti e tre prodotti italianissimi che dettano gli stilemi del genere e la sua marcata matrice tricolore. Tra tanti difetti e pregi che il genere ha assunto nella prima metà degli anni ottanta, il principale era quello di essere un purissimo Made in Italy laddove i tentativi di imitazione estera non hanno mai dato risultati all’altezza dei capolavori sopracitati, anzi a dirla tutta ci sono casi di pellicole imbarazzanti come il titolo in questione, dove l’imbarazzo aumenta quando si legge la firma del regista, un Jess Franco ridotto ai minimi termini da bisogni alimentari al quale il produttore Julián Esteban Gómez avrà sicuramente detto “Ascolta Jess, voglio un film sui cannibali come fanno in Italia, mettici dentro un po' di gnocca, qualche scena di eviscerazione e immergi tutto nella vegetazione del parco dietro casa!” – Detto fatto, il buon Franco confeziona alla meno peggio un polpettone avventuroso dove un gruppo di malviventi rapisce un’attricetta biondina e stupidina (“Gli uomini non li giudico…li amo!”- la sentiamo dire a inizio film durante un’intervista sul ciglio della strada) per chiedere come riscatto la sciocchezza di 6 milioni di dollari. 

I rapitori hanno però la pessima idea di nascondere la donna all’interno di una grotta nel mezzo di una foresta tropicale dove gli indigeni, che il regista recluta prelevandoli da etnie diverse (un po' di neri, qualche messicano e un paio di arabi) offrono giovinette in sacrificio ad una divinità cannibale, trattasi di un gigantesco nero dalle spalle adunche e due occhioni posticci che nei dettagli in primo piano ricordano vagamente due vagine arrossate. A salvare la rapita interviene l’eroico veterano Al Cliver che si rotola sulla spiaggia travolto dai proiettili e ne esce miracolosamente illeso, salta sull’elicottero in volo e per tendere una trappola ai rapitori si finge morto facendo saltare per aria il veicolo (geniale, vero?). Frattanto la ragazza fugge nella foresta ma viene catturata dagli indigeni e riempita di schifezze sul corpo da giovani festanti tutte nude a cui il regista non lesina vertiginosi primi piani delle parti intime. Franco monta i minacciosi assalti del mostro con esplosivi sonori di ansimi e grugniti, zoomate offuscate che riproducono lo sguardo del cacciatore e dettagli anatomici in primo piano del ridicolo trucco applicato rozzamente sulla faccia del povero nero. 

Lo splatter è relegato ad un'unica inquadratura dove una mano strizza e strappa viscere nel dettaglio, inquadratura che viene ripetuta ad ogni eccidio in compagnia del simpatico dettaglio dei denti del mostro che masticano e salivano sangue. Per il resto si notano incongruenze assurde, dialoghi inconcludenti (“Gli hanno staccato la testa!” – dice uno, peccato che il cadavere di cui si parla non era stato decapitato, vabbè…) e momenti di lotta che fanno sembrare l’esperimento “Empire” di Andy Warhol un frenetico action movie. Unica consolazione di questo disastro in pellicola sono le grazie della teutonica protagonista Ursula Buchfellner, il cui fisico perfetto e così generosamente proposto, se non altro, non ci fa rimpiangere completamente i 90 minuti di vita appena gettati nella selva tropicale.

lunedì 11 maggio 2020

MAD MUTILATOR

(1983)

Regia Norbert Georges Mount

Cast: Robert Alaux, Françoise Deniel, Pierre Pattin

Genere: Trash, Slasher, Horror, Demenziale

Parla di: “Boscaioli assassini, zombie e preti vampiro in un incasinatissimo filmaccio amatoriale”

Il giochino dei bloopers consiste sostanzialmente nel ricercare all’interno di un’opera cinematografica una serie di piccoli errorini che, ad una visione superficiale, non verrebbero rilevati. Nel caso invece di questo slasher ultra amatoriale francese diretto da Norbert Georges Mount, questo giochino deve essere virato al contrario e finalizzato a rintracciare nel film qualsiasi cosa non appaia sbagliata, fuori posto o malrealizzata. Non a caso, infatti, non c’è nulla che funzioni in questo Vhs-movie del 1983 appartenente a quella corrente di oscuri filmacci no-budget senza capo né coda in cui si inserisce anche il più conosciuto Violent Shit di Andreas Schnaas. Partendo da tutta una serie di grandi assenze nel reparto tecnico quali la mancanza di un vero e proprio script, fotografia inesistente, recitazione approssimativa e continui sbalzi di esposizione della videocamera fino ad arrivare al comparto effetti speciali dove dominano incontrastati i visceri recuperati dal macellaio sottocasa con cui vengono riempiti finti manichini che il protagonista (un assurdo boscaiolo psicopatico con una maschera di cuoio sul volto) prontamente massacra con una rudimentale accetta arrugginita. 

Ne fanno le spese prima una famigliola, il cui figlioletto viene macellato sotto gli occhi della madre legata ad uno strano totem pieno di maschere carnevalesche. A seguire anche dei campeggiatori e una giovane ragazza che dopo aver rivenuto l’auto della famigliola si reca alla gendarmeria per denunciare il ritrovamento. In pratica la scena viene realizzata così: prima vediamo l’auto della ragazza in strada, la videocamera inquadra l’insegna della gendarmeria e subito dopo l’auto che se ne torna indietro con sottofondo delle voci (supponiamo quelle dei gendarmi) fuoricampo che dicono di non aver abbastanza elementi per avviare l’indagine. La ragazza torna quindi sulla strada dove ha visto l’auto ma qui viene rapita dal boscaiolo, appena giunti nell’orribile catapecchia del mostro vediamo la giovane che lo abbraccia, stacco, e li ritroviamo tutte e due a letto dormienti. Come se non bastasse, ogni tanto il boscaiolo getta qualche avanzo di carne dentro la botola della cantina. La ragazza incuriosita, sbircia nello scantinato e da qui iniziano a fuoriuscire una serie di ciondolanti zombi truccati con maschere di gesso, che il maniaco dovrà affettare a colpi d’ascia. 

La ragazza intanto si fa dare un passaggio da un prete vampiro (le cui mani vedremo per tutto il film ravanare all’interno del motore della sua auto d’epoca) il quale la ucciderà digrignando allegramente le fauci in una serie di inquadrature che altro scopo non hanno se non quello di sfruttare al massimo la presenza del buon Howard Vernon, unica star degna di rilievo a cui probabilmente non è stato mai fatto vedere il film finito. La cosa più sorprendente rimane comunque la presenza (sia come addetto al make-up sia come attore) di Benoît Lestang, compianto realizzatore di ottimi make-up in film come Martyrs e Il patto dei Lupi, tutt’altro genere rispetto a questa immondizia realizzata con scarti di qualsiasi cosa, riprese bislacche (tra cui un ostentato primo piano del sangue che cola sulla macchina da presa), titoli disegnati a pennarello su una lastra di vetro e un sonoro totalmente distaccato dagli eventi riprodotti. I dialoghi sono fortunatamente rarefatti ma bastano poche battute per capire il livello di cagneria degli attori, tutti probabilmente all’inizio (e per qualcuno anche la fine) della propria carriera, tra questi, in un breve cameo come zombie, anche Jean Pierre Putters, critico cinematografico e fondatore della rivista Mad Movies.

lunedì 4 maggio 2020

LAVALANTULA

(2015)

Regia Mike Mendez

Cast: Steve Guttemberg, Mike Winslow, Marion Ramsey

Genere: Monster Movie, Fantascienza, Commedia, Azione

Parla di “vecchie star di Scuola di Polizia contro invasione di ragnoni sparafiamme”

Sottotitolo ideale per questo monster movie televisivo edito dal prolifico canale SyFy sarebbe sicuramente “Scuola di Polizia Vs. Big Ass Spiders” dal momento che, da una parte il cast ricicla ben tre degli attori storici della saga infinita di Police Academy e dall’altra viene diretto proprio da un regista specializzato in ragnoni quale è Mike Mendez che nel 2013 ci propinò il gigantesco aracnide culone di Big Ass Spider. Appare in ogni caso evidente che Lavalantula è un mix intraprendente tra Sharknado e gli improbabili incroci tra bestie fantastiche (roba tipo Sharktopus, DinoShark o Supergator) tipiche della factory Asylum e compagnia brutta. Nelle prime scene vediamo riesumata un’icona storica del cinema anni ottanta come Steve Guttemberg legato ad una sedia a prendersi un sacco di cazzotti, ma è solo una scena di un film dove l’attore Colton West, ex star della serie televisiva Red Rocket, si rifiuta di girare con gli insetti e viene per questo licenziato. Insomma assistiamo alla solita parabola della stella hollywoodiana in declino che si ritrova al centro di un terremoto con annessa eruzione vulcanica sulle strade di Los Angeles. A questo si aggiungono enormi voragini sull’asfalto da cui emergono enormi ragnoni sparafuoco. 

Il resto del film, come si può ben immaginare, è tutta una corsa del protagonista alla ricerca della propria famiglia dispersa nei meandri della città asserragliata da orribili creature lanciafiamme. Ad aiutare Guttemberg in questa avventura vengono riesumati Michael Winslow e Marion Ramsey, entrambi nel cast di Scuola di Polizia (Il rumorista Larvelle Jones e la timida Hooks). A dimostrazione di quanto il tempo sia implacabile il buon Steve appare con il volto segnato da rughe profonde e la consistenza facciale di una statua di marmo, Winslow visibilmente ingrassato e ingrigito mentre la Ramsey sembra quasi irriconoscibile. Considerazioni sull’abuso di vecchie star a parte, il film di Mendez è comunque spassoso, con una sceneggiatura lineare ed un ritmo frenetico, menzione particolare poi per la realizzazione in CGI dei ragnoni, decisamente sopra la media dei prodotti di quel genere. Quello che purtroppo fa piombare in picchiata l’asticella del trash è l’uso sconsiderato di effetti e effettini computerizzati per realizzare esplosioni e piogge di fuoco.

Non si capisce perché la produzione abbia investito bene sui Models del mostro, sul cast e non sull’uso dei Vfx che sembrano acquistati in blocco su qualche sito da nerd che tentano di imparare a usare After Effects. Il risultato è quindi un’altalena continua tra brutto e bello, tra un dignitoso Bmovie cinematografico e un orribile filmaccio amatoriale televisivo. In ogni caso Lavalantula ha dalla sua il pregio di non prendersi troppo sul serio arrivando quasi ad essere geniale nel finale dove Guttemberg, vestito da Red Rocket (una sorta di Rocketeer color vermiglio) volteggia su un grattacielo sospinto da uno zaino razzo ed inseguito da un enorme Mamalavalantula (la regina madre di tutti i ragnacci). Peccato che il finale giunga un pò troppo affrettato ma niente paura, come da prassi era già in cantiere il sequel 2Lava 2Lantula.