giovedì 28 gennaio 2016

IO ZOMBO, TU ZOMBI, LEI ZOMBA

(Id. 1983)
Regia
Cast  , ,


Il cinema italiano di genere inizio anni ottanta era proprio questo, un film americano aveva successo ed ecco migliaia di versioni copia-incolla e parodie che imperversavano nelle sale cercando il facile richiamo di un titolo similare a quello tanto acclamato. In questo caso il film in questione era ovviamente "Zombi"  a cui sono seguiti, in Italia centinaia di film prodotti sulla falsariga, qualcuno, come "Zombi 2" di Lucio Fulci,  entrato anche nel mito. Ma questa pellicola di Nello Rossati, apprezzato come sceneggiatore teatrale ma un po meno come regista cinematografico, segna un punto di svolta nella moltitudine di opere nazionali dedicate ai morti viventi. Il tentativo è quello di mescolare la parodia horror con la commedia sexy andando a recuperare personaggi come Renzo Montagnani o Nadia Cassini, Gianfranco D'Angelo e Anna Mazzamauro, ma anche attori di un certo calibro come Duilio del Prete e Daniele Vargas, per non parlare di giovani cabarettisti come Cochi Ponzoni o Tullio Solenghi. 

L'incipit parte da un becchino che assiste ad un triplice incidente mortale, le tre vittime (Cochi, Duilio e Vargas) vengono subito messe nella bara e mentre il necroforo Montagnani li veglia, passa il tempo a  leggere ad alta voce una formula magica voo-doo tratta da un romanzaccio horror. I tre si svegliano e spaventano a morte il becchino salvo poi rianimarlo subito dopo con la stessa formula. I quattro, presa coscienza della loro identità zombi si istruiscono su come comportarsi, e quindi iniziano a ciondolare con le mani avanti e a cercare goffamente di procurarsi carne umana. L'occasione viene dal vecchio albergo della zia di uno dei quattro che muore d'infarto appena li vede. Improvvisatisi gestori alberghieri, i quattro morti accolgono gli ospiti con il proposito di mangiarseli. A questo punto il film lo fanno i personaggi che arrivano uno alla volta nell'Hotel, dal toscanaccio autista delle pompe funebri Ghigo Masino alla famiglia bisbetica della Mazzamauro fino al supermalato Gianfranco D'angelo che rappresenta forse l'unico momento spassoso di tutta la pellicola.

La Cassini non recita se non con il suo proverbiale culo ed il finale nel supermercato evidenzia maggiormente la citazione del film di Romero cercando di ribaltarne le peculiarità (sono i vivi e non gli zombi, infatti, a ciondolare per gli scaffali) fino all'insulto diretto ("ma che era un film d'amore?" - "No, era un film di merda") che lascia un po il tempo che trova. Il trash aleggia sovrano nella migliore tradizione cinematografica nostrana e fa specie che un film così carico di star (c'è anche una comparsata del mitico Sandro Ghiani ) sia stato girato con un budget così miserrimo. Nonostante l'umorismo sia ben nascosto sotto le suole delle scarpe e la compassione che producono le tristi gag induca a farsi il segno della croce, il film riesce comunque ad intrattenere discretamente, grazie anche al buon cast. Peccato che la Cassini venga sprecata con poche e scarse apparizioni, ci voleva magari qualche zombessa comprimaria a dare un pizzico di pepe in più a questa insolita cazzatona.
 


martedì 19 gennaio 2016

THE WASP WOMAN

(Id. 1959)
Regia
Cast , ,  


Non vi nascondo la mia predilezione per Roger Corman, un regista pregno di quell'amore per lo spettacolo da realizzare centinaia di film con un budget bastevole appena per un unico film hollywoodiano. C'è veramente da perdersi a navigare nella sua filmografia e tuttavia rimane uno di quei personaggi di cui, per forza di cose, tutti quanti abbiamo almeno visto un film. 
 

Nel contesto di questa preziosa chicca in bianco e nero troviamo il tema ricorrente in molti film di Corman, la rappresentazione della donna non come indifesa testimone degli eventi ma come protagonista assoluta, demone in molti casi, guerriera e rapinatrice, dominatrice spietata nonchè anima ribelle in una società che la imprigiona in falsi clichè e stereotipi tipici di quegli anni (ma anche dei nostri in fondo). In quetso caso la protagonista Janice (una meravigliosa e sconosciutissima Susan Cabot interpreta la manager rampante di una società di cosmesi, in piedi nelle sue riunioni  a dettare il futuro dell'azienda. Ma non è facile, i colleghi la deridono ed il suo socio la umilia pubblicamente (William Roerick) . 

L'entrata in scena di uno scienziato apicultore (Michael Mark) e del suo siero della giovinezza realizzato con enzima di vespa, sconvolgerà la sua esistenza. Ossessionata dalla paura di invecchiare Susan comincerà ad iniettarsi la pozione ringiovanendo gradualmente (il mito di Faust) ma anche trasformandosi progressivamente in un mostro assetato di sangue (Dr. Jeckyll and mr. Hyde). Certo i trucchi dell'epoca lasciano un pò a desiderare, la protagonista si limita ad indossare una maschera da vespa e due guanti con gli artigli, lasciando scoperte umanissime parti del corpo.
Eppure rileggendo in chiave sociologica questo film troviamo un messaggio sempre attuale, l'avidità trasforma in mostri. Ambientato fra le pareti cupe e ristrette di un ufficio aziendale il dramma della donna vespa convive con ben più temibili mali: l'ingordigia, l'invidia dei colleghi, la tossicodipendenza e, ovviamente, la morte.

mercoledì 13 gennaio 2016

HORROR SAFARI

(Id. 1982)
Regia
Cast , ,


Già dal titolo potremmo farci delle domande del tipo "Perché Horror??" dal momento che si tratta di un film di avventura con qualche risvolto thriller? La risposta in questo caso è semplice, per accorpare questa ciofeca italiana al filone cannibal anche se di cannibalistico non ha assolutamente nulla. Giusto qualche tagliatore di testa nella parte iniziale dove vediamo alcuni soldati giapponesi della Seconda Guerra Mondiale che s'infrattano nella giungla filippina per nascondere delle casse piene d'oro e vengono assaliti dai selvaggi. Nello scontro il regista neozelandese Alan Birkinshaw ci offre qualche scena splatter ma l'orrore che si vorrebbe nel titolo viene qui mitigato dal ridicolo, sopratutto nelle urla dei selvaggi mutilati che sembrano frignare come neonati (leggasi "doppiaggio fatto alla cazzo"). 

All'assalto sopravvivono giusto i tre ufficiali giapponesi responsabili dell'occultamento, i quali giurano di non tornare più in quel luogo ma siccome sono "giuramenti di Pinocchio", uno viene ucciso dal faccendiere Edmund Purdom per appropriarsi della mappa, un altro si fa karakiri (in una sequenza molto dettagliata e sopratutto lentissima). Il terzo, uno brutto ciccione idiota che non fa altro che ridere tutto il tempo, invece si accorda per il 25% e la caccia all'uomo può iniziare. Al gruppo si aggrega anche un ricco faccendiere, la figlia bonazza e il servo nero e ovviamente il bell'avventuriero dai sani principi, solo che in questo caso l'eroe viene interpretato da uno Stuart Withman ormai in piena decadenza, il quale di bello non ha assolutamente nulla ma sopratutto sembra mio nonno e fa un certo effetto vederlo limonare con la biondazza carina (Sembra una scena di Lolita). A loro si aggiungono un filippino e la moglie interpretata da Laura Gemser che seppur ancora in forma, mostra già i primi segni dell'invecchiamento, a quel punto ci si chiede se era proprio necessario mostrarcela nuda nell'imbarazzante scena del laghetto con cascata dove ci espone due chiappe in evidente inizio cellulitico, pallido ricordo della dea esotica che fu.

La scena poi si commenta da sola, la vediamo infatti nuotare placidamente finché ad un tratto... Pam! Inizia ad agitarsi in ralenty nell'acqua e senza alcun motivo muore. Altra morte imbarazzante e quella della guida indigena che va al fiume a sciacquare una tazza. Si avvicina un coccodrillo, apre la bozza in ralenty e Pam! Spariscono tutti, sia la guida che Purdom impegnato lì di fianco a farsi la barba. Il resto del film ricalca poi la trama di "10 piccoli indiani" ma con una sciatteria e lentezza tale da lasciare basiti, il nero casca da un ponte mentre cerca di aiutare il ciccione giapponese, il filippino viene morso da un serpente e gli casca la tenda addosso, arriviamo poi al duello finale con l'inevitabile cattivo che cerca di prendersi l'oro tutto per sé, anche qui il ralenty arriva da dietro le spalle cercando di mascherare goffamente il nulla, elemento quest'ultimo, preponderante in questa pellicola, nata e cresciuta malamente per sfruttare il periodo in cui il cinema italiano si era spostato nelle foreste equatoriali.