giovedì 16 maggio 2024

FUNNY FRANKENSTEIN aka AGNESE E…(1982)

Regia Alan W. Cools (Mario Bianchi) 

Cast Mark Shannon, Aldo Sambrell, Laura Levi 

Parla di “impiegati allupati rispondono ad un annuncio e si ritrovano in mezzo a satanisti ancora più allupati di loro” 

Gola profonda meets Rocky horror picture show? Senza andare a scomodare due classiconi nel loro genere, possiamo senz’altro definire questa fatica di Mario Bianchi come un fulgido esempio di monnezza risorta dalle pieghe del tempo. Realizzato dal regista nel suo breve periodo sexy-horror (quindi subito dopo “La bimba di Satana”) con lo pseudonimo Alan W. Cools (anche se pare che il film lo realizzò per intero Luigi Petrini), il film conteneva numerose scene pornografiche ad oggi irreperibili nella versione integrale, per cui bisogna accontentarsi di una versione edulcorata, mutilata di tutti i peni in vista (fortunatamente la mutilazione riguarda solo l’ambito visivo!) ad eccezione del finale dove i due protagonisti Mark Shannon (Al secolo Manlio Cersosimo) e Aldo Sambrell, dopo ore di sesso sfrenato, possono lasciare a riposo i loro membri sfiniti. 

Nonostante la realizzazione risalga ai primi anni ottanta, il film fu distribuito solo dieci anni dopo sfruttando il visto censura de “La dottoressa di campagna” uscendo, per l’appunto, con il titolo “Agnese e…la dottoressa di campagna” che, se si guarda l’opera, non c’entra un beneamato cazzo di niente. La storia parte all’interno di un normale condominio dove lo spagnolo Sambrell (qui in un ruolo inedito essendo l’attore specializzato nel genere western) si reca in una specie di casa d’appuntamenti dove una bionda lo costringe a fare sesso indossando indumenti femminili. Lo segue Mark Shannon, invidioso della sfrenata attività sessuale del collega. Qui il Bianchi ci piazza a tradimento alcune scene saffiche che non hanno alcun senso se non quello di implementare il carico sessuale dell’opera. Shannon e Sambrell lavorano entrambi in uno studio di pubblicità dove bullizzano Agnese, una collega dai modi rigidi e casti. Mentre Shannon e un altro collega un pò hippy si dedicano ad attività voyeuristiche, il prode Sambrell si fa una bella sveltina nella sala oscura con una collega ninfomane che, dopo la scopata si concede, non ancora appagata, un po' di sano autoerotismo sia prima che dopo essersi fatta il bagno. 

Queste atmosfere bucoliche però, prendono una piega inaspettata quando Sambrell decide di rispondere ad un annuncio pubblicato sulla rivista “Intimità”. Shannon insiste per seguirlo e i due si ritroveranno a Villa Lucifera in un guazzabuglio infernale dove si celebrano riti satanici accompagnati dalla musica di Shining e nel contempo teste di mostri decapitati rotolano dalle scale mentre un tizio vestito come un pellerossa sfodera un enorme fallo posticcio. Mentre cercano una via d’uscita, i due incontrano una sorta di cameriera mascherata, la quale reca sul sedere l’invito a seguirli per poi sfondarli a colpi di sesso senza interruzione. Sorpresa! Sorpresa! La cameriera non è altri che la loro collega Agnese che, dopotutto non è così casta come vuole apparire. Tra commedia, horror e pornografia, il film non riesce a funzionare in nessuno dei tre generi, troppo rozzo e malfatto, quasi peggio delle commedie pierinesche. Almeno si trovasse la versione integra potremmo consolarci con un porno vero e proprio e non con questa versione in cui l’unico Frankenstein citato nel titolo è proprio la pellicola, mutilata e ricucita senza alcun riguardo per lo spettatore. 

giovedì 9 maggio 2024

DRACULA (THE DIRTY OLD MAN) (1969)


Regia William Edwards 

Cast Vince Kelly, Ann Hollis, Billy Whitton 

Parla di “Vampiro ipnotizza licantropo per farsi portare la cena a casa mentre il doppiatore si fa I cazzi suoi allegramente” 





La sua disgrazia fu anche la sua fortuna, poiché se il sonoro del film non era così schifoso al punto da dover essere rifatto completamente in post produzione dal regista William Edwards, probabilmente nessuno, oggi annovererebbe tra i cult più esagerati questo Dracula (The dirty old man). Infatti, se nelle intenzioni della produzione il film doveva essere un horror a tinte erotiche, il doppiaggio raffazzonato e scazzatissimo inserito successivamente, lo trasformò in un film comico ed è questo l’unico motivo per cui ricordare questa assurdità sexploitation, un soft-core ridicolo reso ancor più ridicolo da un commento fuori campo di un unico doppiatore che cambia voce a seconda dell’attore da doppiare in scena al punto che tenta di imitare le voci femminili con suoni da cornacchia gracchiante. Ogni tanto sembra, poi, che vada per i cazzi suoi (ma non è solo una sensazione), divagando in pensieri totalmente estranei a quello che succede sullo schermo quando non è completamente fuori sincrono.

L’introduzione è memorabile, con una lunga inquadratura su un gruppo di colline al tramonto e una voce fuoricampo che ripete ossessivamente “behind the blue hills behind the blue hills behind the blue hills….”. Il weirdo prosegue con il conte Alucard (Dracula al contrario...che  cosa innovativa!!!!) che si alza da una bara il cui coperchio si solleva a comando grazie a cavi (mica tanto) invisibili, spuntano di seguito, dei pipistrelli fatti con cartone pressato ondeggiati sul soffitto di roccia e un viaggiatore di commercio chiamato Jeckyll che cerca una toilette (eh beh! Qui entriamo nel sublime!). Siccome ha bisogno di un servo che gli porti a domicilio le sue vittime, il conte ipnotizza l’uomo e lo trasforma in un orribile licantropo con capelli rasta, dei guanti di pelle a tre dita e un muso che sembra un incrocio tra un porco e una iena. Il licantropo inizia quindi a catturare le prede femminili per il suo padrone il quale le lega a pali di legno, le spoglia con dovizia e ne succhia il sangue, ovviamente mordendole alle tette. 

Intanto il licantropo, evidentemente stufo di fare il rider per il conte, assale una giovane direttamente in casa, ammazza il fidanzato e si trastulla con la donna dopo averla massacrata (l’effetto splatter è dato più che altro da generose manate di vernice rossa sulla faccia degli attori). Questa tecnica di ammazza e stupra evidentemente piace parecchio all’uomo lupo visto che ad un certo punto inizia a contendersi l’ultima vittima (che poi era la fidanzata di Jeckyll) fino alla catarsi finale. Non prima di aver ripreso una lunga fuga della ragazza tra le rocce, ovviamente completamente nuda. Ultimo baluardo del nudie cutie, questo film è divenuto negli anni un piccolo cult di mezzanotte, particolarmente interessante la colonna sonora, un prog rock costante e ossessivo che accompagna indiscriminatamente tutto il film, infischiandosene di quello che succede sullo schermo, il che dopotutto è coerente con il doppiaggio. 


giovedì 2 maggio 2024

IL CASTELLO DI DRACULA

(Blood of Dracula’s castle, 1969)

Regia Al Adamson 

Cast John Carradine, Robert Dix, Jennifer Bishop  

Parla di “giovane coppia eredita castello e vuole sfrattare gli inquilini, peccato che questi siano il conte e la contessa Dracula, con mostri al seguito”  

Realizzato con un budget più alto rispetto agli standard del cinema di Al Adamson, Blood on Dracula’s castle, è uno dei pochi titoli della filmografia di questo scalcinato regista (che ricordiamo morì di morte violenta e il suo corpo fu ritrovato sepolto sotto il pavimento del bagno durante i lavori di ristrutturazione della sua casa a Washington) distribuito nel nostro paese. La realizzazione del film fu possibile grazie all’apporto del produttore Rex Carlton, il quale, purtroppo, impegnò nell’opera soldi di provenienza mafiosa e, non potendone restituire gli interessi, si suicidò dalla disperazione. 

Le informazioni rilasciate dalla Golem Video che ne ha distribuito il dvd in Italia parlano di ambientazioni girate nel ranch di Charles Manson mentre invece la location principale è il pacchiano Shea’s Castle, realizzato dal newyorkese Richard P. Shea nel deserto della California ed ispirato allo stile dei manieri irlandesi. Insomma attorno a questo film, come si può vedere, girano un sacco di informazioni, curiosità ed aneddoti, sicuramente più interessanti e stuzzicanti della pellicola stessa, che è, a conti fatti, un sordido filmetto exploitation di bassa qualità. Nella parte iniziale vediamo l’attrice Vicky Volante in panne con la sua auto, la ragazza si inoltra nel bosco e incontra l’orrendo Mango (Ray Young) che non è un frutto ma un gigante deforme al servizio dei coniugi Townsend (Alexander D'Arcy e Paula Raymond) che sono in realtà il conte e la contessa Dracula sotto falso nome, eternamente giovani e raffinati bevitori di sangue in calici di cristallo prelevato da giovani vittime incatenate in cantina. 

A gestire il castello c’è nientemeno che John Carradine nei panni del maggiordomo George, coadiuvato dallo psicopatico Johnny (Robert Dix), il quale, appena evaso dalla prigione si diverte ad annegare una giovinetta, stordisce un vecchietto e lo fa precipitare, chiuso nella sua autovettura, giù da un dirupo. Non contento, lo psicopatico risente dell’influsso della luna piena ed è pure un licantropo (ma nel film non si trasformerà mai).  In questo allegro menage familiare giungono il fotografo Glen e la modella Liz (Gene Otis Shayne, Jennifer Bishop) una coppia che ha ereditato il castello e vuole sfrattare gli attuali inquilini. Tra riti satanici al Dio Luna e lotte a colpi di mazza ferrata, sarà decisamente uno sfratto movimentato. L’atmosfera del film resta sempre in bilico tra il serio e il faceto, alimentata dalla pacchianeria delle location (gli interni dello scantinato sembrano fatti di cartone pressato) e la grettezza del montaggio che, soprattutto negli inseguimenti finali tra rocce e sterrate sabbiose, risulta brutalmente allungato.

Le scene di lotta rasentano il ridicolo (si veda a proposito l’assurda morte di Carradine) e gli attori recitano con evidente imbarazzo. Eppure il cinema di Adamson, con i suoi colori forti e i retroscena che accompagnano ogni suo film sono exploitation purissima e conservano nel tempo un fascino razionalmente incomprensibile perché insito nel nostro sporco sogno  americano fatto di schifosissimi popcorn al burro salato, seduti in una coloratissima corvette a guardarci un double bill al nostro scalcinatissimo drive-in di fiducia.