lunedì 30 ottobre 2017

LUST OF THE DEAD

(Reipu zonbi: Lust of the dead, 2012)
Regia
Cast  , ,




Il classico marito borghese torna a casa e comincia a picchiare la moglie per futili motivi, poi la stupra ma la donna a un certo punto si ribella e con un paio di forbici lo evira. Inizia così uno zombie movie del Sol Levante talmente demenziale da rasentare quasi la genialità, non fosse per una realizzazione che grida vendetta e per lo smodato carico di trash e povertà che trascende da ogni fotogramma. I titoli di coda seguono i canoni ormai consolidati del cinema dei morti viventi con frammenti di servizi televisivi accompagnati da un pezzo metal indiavolato che urla in continuazione "Rape Zombie! Rape Zombie! Rape Zombie!". In pratica il solito virus che trasforma gli uomini in morti viventi, in questo caso però sono tutti maschi, girano per le strade ciondoloni con i pantaloni abbassati e il pisello in perenne erezione e invece di azzannare alla gola, si dedicano allegramente allo stupro di tutte le donne che incontrano. Il brutto è che il loro sperma è velenoso per cui, quando "vengono", le povere vittime muoiono con un poverissimo effetto grafico digitale che ne avvolge il corpo simulando malamente la secchezza dei propri lembi. Unico modo per ucciderli non è più sparargli alla testa ma tagliargli via il cazzo, un modo molto allegro per identificare nell'uomo la parte più pensante del corpo. Quella che notoriamente muove tutta la sua vita. 

Da questi presupposti geniali, il film di Naoyuki Tomomatsu, campione orientale di minchiate di questo genere, si sviluppa quasi tutto all'interno di una baita in legno dove due ragazze, l'infermiera Popputa Nozomi e la mingherlina verginella Momoko, sfuggite entrambe allo stupro zombesco, si rifugiano in compagnia di altre due tizie armate fino ai denti. Qui incontrano un religioso asessuato non ancora contagiato dal male, peccato che i tentativi di sedurlo da parte di una delle sopravvissute porterà anche lui alla trasformazione. L'unica speranza per l'umanità è il figlio che Momoko si troverà in grembo dopo aver fatto sesso lesbico con Nozomi. 

La demenzialità extreme splatter tutta giapponese sembra essere diventata un marchio di fabbrica che contraddistingue certi autori nipponici, che abbondano di sangue ed effetti digitali caserecci e rozzamente incollati alle immagini, espressività fuori dalle righe con attori che spalancano occhi e bocca e urlano come pazzi, con le facce rigate di sangue mentre pompano a menadito giovani fanciulle sofferenti. Non parliamo poi di certe ricostruzioni digitali, tipo l'ultima scena del film, talmente brutte e sbagliate da sembra quasi un dipinto cubista o espressionista. A parte comunque l'idea di base che fa anche sorridere, il film non si discosta molto dai clichè tipici di questa cinematografia, con piroette a colpi di Katana, nudità abbondanti e sesso esplicito (del resto l'argomento di base è questo...), dialoghi deliranti e recitazione fuori dalle righe. Divertente anche il talk show televisivo che inframezza la viceda, con uno degli ospiti che inneggia allo stupro come ritorno alla selvaggia natura dell'uomo delle caverne, scalzato ai giorni nostri dal dio denaro che mette in mano all'uomo moderno soldi al posto della clava come strumento di conquista dell'universo femminile.

martedì 24 ottobre 2017

CONFESSIONS OF A PSYCHO CAT

(Id. 1968)
Regia  
Cast  , ,



Durante la visione di questo perfetto esempio di sexploitation non ho potuto fare a meno di pensare a Trainspotting, forse Irvine Welsh si è proprio ispirato a questo bizzarro sottoprodotto in bianco e nero per realizzare la storia della sua comunità di tossici. Anche qui troviamo un gruppo di ragazzi dediti al vizio sfrenato, tra heavy petting, marjuana ed eroina irrompe in scena Ed (Ed Garrabrandt) uno spacciatore che racconta di essere invischiato in uno strano gioco organizzato da una ricca psicopatica (Eileen Lord) amante dei safari che ha deciso di cambiare tipo di preda e dedicarsi agli esseri umani. In un flashback la vediamo proporre a tre uomini, tutti invischiati, per varie ragioni, in un omicidio, un patto: se sopravviveranno ad una caccia all'uomo per 24 ore riceveranno un milione di dollari. 

Il safari si svolge a Manhattan e coinvolge, oltre allo spacciatore, anche un vecchio attore e un campione di wrestling (interpretato nientemeno che dal pugile Jake LaMotta) a cui saranno affibbiati dei nomi d'animali (Toro, sciacallo, ecc..) e come tali saranno cacciati. Vediamo infatti, in una delle scene più deliranti, il campione infilzato come un toro durante una corrida dalla "psycho gatta" travestita da torero. Ma il meglio lo dà lo spacciatore stesso in una scena in cui si fa una pera, tutto delirante, nei cessi pubblici, per poi finire infilzato al collo con una balestra in pieno centro cittadino. Il delirio totale della protagonista deriva poi, come si scopre durante le sue numerose sedute psichiatriche, dall'infanzia, quando il fratellino gli buttò il suo cane giù da un grattacielo (!). In tutto questo assistiamo a scene gratuite di sesso e nudità (aggiunte in un secondo tempo) accompagnate da una musichetta psichedelico beatnick che sottolinea, oltre alle scene orgiastiche, anche gli sguardi allucinati della protagonista (che come matta ha veramente talento).

Il regista Herb Stanley agisce sotto lo pseudonimo di "Eve" e si sbizzarrisce in soggettive mozzafiato, primi piani bizzarri e movimenti arditi della telecamera. La storia si ispira, a modo suo a una pellicola degli anni 30 intitolata The Most Dangerous Game (uscito da noi col titolo "La pericolosa partita"). Caratterizzato da una splendida fotografia, questo è un film che sconvolge per la sua crudezza, la sua trasgressione gratuita e l'ostentazione di tutto quanto è malato e perverso nella nostra società. Visto con gli occhi di trent'anni fa è un vero e proprio shock visivo, visto con lo sguardo attuale risulta ancora molto forte, per quanto le mezze nudity (si vedono solo ragazze in mutandine e, in una o due occasioni, qualche nudo integrale), il che la dice lunga su quello che succedeva nel sottobosco della fine dei sixties ma che non ci è stato mai permesso di vedere, almeno fino ad oggi!

martedì 17 ottobre 2017

VIOLENZA AD UNA VERGINE NELLA TERRA DEI MORTI VIVENTI



(Le Frisson des Vampires, 1971)
 
A prescindere dal titolo italiano, geniale ed esplicito nella sua dimensione "cattura pubblico",  il film è l'espressione più diretta e pura del mondo cinematografico di Jean Rollin, un universo dove regna il kitsch più scenografico, fatto di teschi appesi alle pareti, vestiario hippy, arredamenti piazzati alla cazzo, architetture gotiche che si mescolano con il beatnik a rimarcare un concetto che il regista francese ha fatto proprio nell'arco della sua corposa filmografia. Ovvero il concetto, un po reazionario, che il vampirismo (perché nei suoi film, anche se il titolo parla di Zombi, ci saranno quasi sempre vampiri!) sia l'espressione perversa del libero amore e della trasgressione, argomenti che negli anni settanta stavano perdendo quel fascino utopico con cui avevano conquistato il '68. 

Il film si apre con un funerale e prosegue con le avventure di Isa e Antoine, due giovani sposini in viaggio di nozze verso l'Italia, i due prima però decidono di fare un salutino ai due cugini di Isa, presso il loro castello, in un paesino nel sud della Francia. Qui le domestiche, che recitano quasi in stato ipnotico, da tanto che sono inespressive, li informano della dipartita dei castellani. Gli sposini decidono di fermarsi comunque nel castello per pasare la notte ed è qui che iniziano i turbamenti. Isa decide di mandare in bianco Antoine, meglio spassarsela con una hippy secca e bianchiccia che fuoriesce nottetempo dalla pendola della stanza. Col passare delle nottate Antoine diventa sempre più nervoso e tenta disperatamente di reclamare i suoi diritti coniugali, ecco quindi che riappaiono i due cugini, due fricchettoni dandy che puntano direttamente a Isa (del resto "non c'è cosa più divina che una chiavata con la cugina come dice il detto") fregandosene allegramente del marito, il quale, dopo aver scansato le avances poco raccomandabili delle due catatoniche servitrici, cercherà in tutti i modi di portare via dal castello Isa. 

La tragedia si consumerà in spiaggia, quando all'alba i due cugini cercano di farsi un threesome vampiresco con l'ignuda donzella. Contrassegnato da una musica che oscilla tra lo psichedelico e il progressive, "Le Frisson des Vampires" mette in mostra un dramma sexy dove vestaglie trasparenti, tonache succinte, nebbie fumanti, nudità più o meno velate e lesbismo la fanno da padrone all'interno di un pastiche dove la lentezza mortale della narrazione mette a dura prova i nervi dello spettatore e dove le pretese arty, tipiche di Rollin, tendono a rendere ancora più irritante uno spettacolo dove l'unica cosa veramente memorabile è la sfacciataggine con cui i distributori nostrani hanno appioppato un titolo così carico di promesse tragicamente non mantenute.

lunedì 9 ottobre 2017

IT ! THE TERROR FROM BEYOND THE SPACE

(Id. 1958)


Ci sono film che nella loro piccolezza hanno fatto la storia del cinema, è questo il Caso di "IT!", B-movie diretto da Edward L. Cahn e realizzato con mezzi alquanto rozzi e artigianali anche per la sua epoca. Eppure, signore e signori, senza questo pastrocchio di sfondi in cartone e astronavine di plastica, la Sci Fi che conosciamo oggi sarebbe molto diversa. Possibile? Andatelo a chiedere a Mr. Ridley Scott che ha praticamente realizzato per il suo Alien , una sorta di remake non dichiarato di questo cult fantascientifico. 


La storia, del resto la conosciamo tutti: una squadra di scienziati terrestri incaricata di recuperare la precedente spedizione atterrata su Marte, scopre l'astronave distrutta e, nel viaggio di ritorno, riporterà involontariamente un ospite sgradito, una mostruosa creatura aliena che decimerà l'equipaggio succhiandone i fluidi vitali. I superstiti riusciranno dopo mille peripezie ad eliminare la creatura grazie alla decompressione dell'ossigeno. In un tripudio di cartapesta, costumi in gommapiuma, sfondi spaziali stellati e interni da fabbriche metallurgiche, questa pellicola ha dato un contributo fondamentale alla fantascienza, ma aldilà di questo, il prodotto, pur con vistose carenze di mezzi, risulta godibile dall'inizio alla fine e ci regala, ancor oggi, una notevole dose di tensione rincarata dal suo fascino vintage che non potrà che commuovere i nostalgici come me. Il momento più trash? La passeggiata nello spazio di due astronauti, realizzata inclinando a 45° la telecamera mentre gli attori entrano da un buco nel pavimento.