lunedì 28 gennaio 2019

KILLER CROCODILE

(1989)
Regia Fabrizio De Angelis
Cast Richard Anthony Crenna, Pietro Genuardi, John Harper

Certe cose ai giorni nostri non sarebbero possibili, la Asylum si metterebbe le mani nei capelli al solo pensiero di realizzare un mockbuster di Alligator 8 anni dopo. Eppure noi italiani, negli anni d'oro del cinemaccio, non ci fermavamo a certe sottigliezze. E decisamente il nostro Killer Crocodile riesce comunque ad ispirare una certa simpatica tenerezza con quel faccione di cartapesta realizzato da Giannetto de Rossi, di cui vediamo principalmente la sagoma a pelo d'acqua e le zampone scagliose. Per il resto il regista/produttore Fabrizio De Angelis, che amava firmarsi con lo pseudonimo di Larry Ludman, gira gli attacchi del rettile principalmente in soggettiva all'interno di un fiumiciattolo marrone dove un gruppo di giovani ambientalisti della domenica scopre che vengono rilasciati bidoni di una sostanza altamente radioattiva. La cosa divertente (ma anche no) è che dopo aver scoperto i fusti in mezzo all'acqua, i nostri eroi non è che si allontanano, no, decidono di passare la notte di fianco ai bidoni. Con queste premesse non potevamo aspettarci che la prima vittima fosse il cagnolino cagacazzo che abbaia a ripetizione sulla barca, seguito da una giovane mulatta che viene ritrovata maciullata. 

Il losco trafficante Richard Crenna asserisce che la vittima è stata colpita da un'elica a motore. Per fortuna giunge il prode cacciatore dundee Ennio Girolami che riconosce subito i morsi di un gigantesco coccodrillo. Del resto il rettilone non tarda a palesarsi nel villaggio assalendo una dolce bambina, la quale, aggrappata alla banchisa, sopra le fauci del mostro, deve sorbirsi i maldestri tentativi di salvataggio da parte della gente del posto, tentativi talmente idioti (cioè uno si butta in acqua per spingerla da sotto) che giustamente hanno come unica conseguenza la morte dei salvatori.Dapprima gli ambientalisti cercano di opporsi alla caccia del coccodrillo, asserendo che si tratta di una specie unica in via d'estinzione. Poi dopo che il mostro se magna un paio dei loro amici anche il più ostinato del gruppo propende per l'abbattimento del cocco. 

Ci tenta il cacciatore Girolami che non esita a salire in groppa all'animale per fiocinarlo manco fosse una balena, e viene dunque trasportato a fondo nelle acque limacciose. Lo ritroveremo tutto ferito a incitare il capo degli ambientalisti impegnato in una lotta corpo a corpo con il rettile prima di farlo saltare per aria buttandogli in gola un motore da imbarcazione acceso. La scena non fa capire molto dal momento che si sceglie di far vedere solo la gola rossastra del mostro. Poi, siccome il film non può finire senza una sequenza spettacolare, ecco che vediamo il coccodrillo saltare per aria, manco ci fosse della dinamite nel motore che piglia in gola. Il finale aperto ci fa temere il peggio, ed infatti, di lì a poco Giannetto De Rossi dirigerà il sequel di Killer Crocodile, ma questa, è un'altra storiaccia!

lunedì 21 gennaio 2019

RUN! BITCH! RUN!

(Id. 2009)

Regia Joseph Guzman
Cast Ivet Corvea, Cheryl Lyone, John Winscher


Esordio alla regia di Joseph Guzman che l'anno successivo produrrà Big Nuns with big guns, un simpatico esempio di nunsploitation in stile tarantiniano, evidentemente già nell'aria visto che le prime scene di "Run, bitch, run!" si aprono con la proiezione di un video dove una suora si appresta a lesbicare con una ragazza nuda. In realtà questo film si ispira in maniera piuttosto diretta al capolavoro di Meir Zarchi "I spit on your grave" inscenando un vero e proprio "rape and revenge" ad opera di un trio di criminali senza scrupoli composto da un tamarrone soprannominato Lobo (perchè ogni tanto scimmiotta il verso del lupo gratuitamente), una lesbica cubana e un ragazzetto idiota. A farne le spese sono due ragazzine di una scuola cattolica Catherine e Rebecca che vanno in giro a vendere bibbie con il trasportino del supermarket. 

Le due assistono per caso all'esecuzione di una puttana da parte di Lobo e vengono sequestrate in casa, la cubana obbliga Rebecca a farle un cunnilings che sa di schifoso andato a male e viene fatta fuori dopo essere costretta a giocare alla roulette russa. Catherine viene portata nel bosco e stuprata da Lobo ma in qualche modo di salva, scappa dall'ospedale e prepara la sua vendetta psicopatica. Guzman ci sbatte dentro quanta più violenza e sangue possibile sopratutto nella prima parte, i suoi personaggi sono tutti perversi oltre ogni immaginazione, ce n'è per tutti i gusti: lesbiche, cocainomani, ciccioni lascivi, necrofili anche se il tutto assume più un aspetto caricaturale oltre le righe per cui risulta molto difficile prendere sul serio il dramma che scorre sullo schermo.

In più la vendetta perpetrata da Catherine risulta un pò moscia, con lunghi e inutili siparietti in un bar lap-dance e fucilate senza troppa convinzione. Certo le scene finali sono un po dolorose anche per lo spettatore, ma più che dalle parti di "Non Violentate Jennifer" siamo molto vicini al clima e alla suggestione del cinema di un Russ Meyer senza le tettone. il che non è necessariamente un male. Nonostante la sensazione di assistere ad un prodotto grezzo, poco superiore all'amatorialità, lo spettacolo è godibile, considerato poi che rimangono in pochi a fare vera exploitation e sicuramente Guzman è uno di questi.
 

lunedì 14 gennaio 2019

ALUCARDA - LA HIJA DE LAS TINIEBLAS

(Id.1977)
Regia Juan Lopez Moctezuma
Cast Claudio Brook, David Silva, Tina Romero


 Nonostante sia troppo facile anagrammare il titolo facendolo diventare "Dracula", questo piccolo grande cult del cinema horror messicano non ha niente a che vedere con i Vampiri, almeno per quanto riguarda il plot narrativo, per quanto ispirato alla novella "Carmilla" di Sheridan Le Fanu che, come tutti sappiamo, parla appunto di una vampira. 
Nel film diretto da Juan López Moctezuma, già produttore di "El topo" di Alejandro Jodorowsky, Alucarda è un'orfanella diabolica che vive da anni in un convento messicano assieme a delle suore vestite con abiti bianchi macchiati del sangue di continue flagellazioni.Quando la giovine incontra la novizia Justine, il suo influsso diabolico riesce a traviarla. 


Entrambe diventeranno adepte di Satana grazie a un misterioso zingaro che somiglia ad un satiro. Attraverso un sabba dove le due verranno irretite da un uomo caprone, il demonio si impossessa di loro provocando lo scompiglio nel convento. Monaci e suore da parte loro ci vanno giù pesanti e cercano di esorcizzarle crocifiggendole e infilzandole con un lungo spillone. Justine non regge e muore mentre Alucarda viene tratta in salvo dal dottor Oszek, medico del paese che accusa i chierici di ingnoranza e superstizione.
Peccato che Alucarda sia veramente un demonio e dopo aver irretito la figlia cieca del medico, la rapisce e la porta nel convento. Anche Justine risorge dalla tomba e comincia ad ammazzare le suore finchè non la scoprono nuda e immersa in una bara di sangue e la distruggono a colpi di acqua santa. Alucarda lancia fuoco e fiamme contro gli abitanti del convento, citando nomi di demoni e urlando come un'ossessa prima della sua definitiva annientazione.

Arricchito da una splendida fotografia di Xavier Cruz e dagli ottimi effetti di Abel Contreras, Alucarda è un misconosciuto capolavoro del cinema horror, debitore del cinema di Jess Franco e Jean Rollin, si pone perfettamente tra il periodo Gotico e quello psichedelico anni settanta, Moctezuma non si risparmia nulla, bagni di sangue, satanismo, possessione, urla, splatter, nudità e lesbismo ma anche una trama coinvolgente e scenografie surrealiste che rimandano al maestro Jodorowsky, (una fra tutte l'altare del convento circondato da migliaia di candele) sopratutto ritrae un'aspra critica al potere ecclesiastico e ai fanatismi religiosi, cosa che per l'epoca e il paese dove è stato girato il film (il cattolicissimo mexico) appare decisamente coraggiosa. Convincente e magnetica la protagonista Tina Romero pur con qualche eccessivo isterismo recitativo, ottimo anche Claudio Brook nel doppio ruolo trasformista del diabolico zingaro e dell'eroico dottore.    

lunedì 7 gennaio 2019

A MORTE HOLLYWOOD!

(Cecil B. Demented, 2000)

Regia John Waters
Cast Melanie Griffith, Stephen Dorff, Rickie Lane


Solo John Waters può fare film nello stile di John Waters, uno stile unico, riconoscibilissimo e geniale, si perché quel matto di Baltimora che 46 anni fa imbracciò la telecamera insieme ad un manipolo di freak per dare vita ad un nuovo genere cinematografico, riesce a trasformare le sue meravigliose ossessioni in uno canto del cigno dell’anarchia in celluloide che, nel caso di Cecil. B. Demented, non è mai stato così autoreferenziale.

La storia vede protagonista la stizzosa e insopportabile star del mainstream hollywoodiano Honey Whitlock (Una splendida Melanie Griffith ) che, alla prima del suo ennesimo e smielato blockbuster, viene rapita da un gruppo di estremisti cinematografici capitanati dal folle regista Cecil B. Demented (Stephen Dorff ) con l’intento di obbligarla a interpretare un film underground dove non esistono comparse né attrezzisti, solo una telecamera e tanti pazzi tra cui una porno star, una gotica satanista, un ragazzino scappato di casa, omosessuali e freaks vari.

Gradualmente Honey si troverà coinvolta sempre più in questo folle gioco al massacro, dove si simulano vere rapine e assalti terroristici all’impianto mainstream non solo allo scopo di girare delle scene per il film ma anche di inviare un messaggio chiaro e forte al mondo delle grosse produzioni. Waters cita tutti i suoi registi preferiti tatuandoli sulla pelle della folle troupe underground accostando Otto Preminger a Herschell Gordon Lewis o Sam Peckinpah a William Castle omaggia Andy Warhol , rispolvera la sua insana passione per Charles Manson nel personaggio dell’adoratrice del diavolo e ci sollazza con momenti di vera follia come la folle corsa del gruppo all’interno di un cinema porno dove tutti gli spettatori sono intenti in attività onanistiche, recupera dalla sua antica troupe (quella con cui realizzò il suo capolavoro “Pink Flamingos” per intenderci) una anziana ma sempre in forma Mink Stole per un breve cameo, dimostrandoci ancora una volta chi è il padre assoluto del cinema Camp. Per il resto siamo di fronte ad una commedia briosa e irresistibile che scorre bene e lascia qualcosa dentro, un’irrefrenabile amore per il cinema e le sue sconfinate derivazioni stilistiche.

mercoledì 2 gennaio 2019

GAMMERA THE INVINCIBLE


(Id. 1966)
Regia Sandy Howard, Noriaki Yuasa
Cast Albert Dekker, Brian Donlevy, Diane Findlay

Non tutti i Kaiju Eiga (lett. Film di Mostri misteriosi) vengono realizzati dalla Toho Film (Eiga) Co. Ltd., la compagnia produttrice giapponese specializzata in film di mostri giganti, responsabile della nascita di Godzilla e di altre centinaia di creature. Sulla scia del grande successo di quest’ultimo, era inevitabile che in Giappone, negli anni sessanta, altre compagnie tentassero di bissare il successo del mostro radioattivo più amato dal popolo nipponico. NeI 1965 ci pensa la Daiei Studios a tentare la carta del Kaiju Eiga inventando il personaggio di Gamera. Prendendo spunto da leggende esquimesi che narravano di un possente dio testuggine, la Daiei produce il primo di una lunga serie di film dedicati alla mostruosa tartaruga volante, “Daikaijû Gamera“ diretto dall’esordiente Noriaki Yuasa e girato, come il primo Gojira in un suggestivo bianco e nero, colorazione ideale per questo genere di film. 


E infatti il film ottiene un grande successo, talmente grande da meritare una versione americana, cosa accaduta prima d’ora solo al film di Ishirô Honda del 1954. A dir la verità la versione a stelle e strisce di “Daikaijû Gamera“, re-intitolata “Gammera the Invincible” viene pesantemente modificata con una generosa inserzione di scene aggiuntive dirette dal regista Sandy Howard (in seguito produttore di “Un uomo chiamato cavallo”), anche la storia viene rimaneggiata per renderla più U.S.A, ed infatti si comincia con l’inseguimento, da parte di caccia americani, di un bombardiere atomico sovietico. L’aereo abbattuto cade sui ghiacci provocando la deflagrazione atomica che porterà al risveglio di Gamera, bello incazzoso e dotato del potere di volare, ruotando con la corazza da testuggine come un disco volante.

In breve il mostro raggiunge Tokyo e comincia a distruggerla, finchè l’esercito americano non trova la soluzione per togliersi dalle palle la bestiaccia. Lo intrappola infatti all’interno di un razzo chiamato “Plan Z” e lo spara nello spazio accompagnato dalla canzone beat pop “Gamera song” scritta da Wes Farrell. Il film, rispetto alla media dei Kaiju Eiga, è fatto molto bene, le distruzioni dei palazzi, le esplosioni e i modellini dei carri armati che lo combattono sono più realistici del solito, in più Gamera gioca sin da subito la carta del film dedicato ai bambini, lo si vede infatti salvare da morte certa un bambino giapponese, lo stesso che alla fine, con una nota di ingratitudine, gli urla felice “sayonara Gamera” mentre la nostra povera tartaruga viene lanciata chissà dove nello spazio. Ad arricchire, in ogni caso, la versione americana, sono presenti ottimi attori nel cast, quali Albert Dekker (Il dottor Cyclops) e Albert Dekker (Il Dottor Quartermass del capolavoro di Val Guest “L' Astronave atomica del dottor Quatermass”).