lunedì 27 giugno 2022

HOLLYWOOD CHAINSAW HOOKERS

(1988) 

Regia Fred Olen Ray 

Cast Linnea Quigley, Michelle Bauer, Gunnar Hansen 

Parla di “setta diabolica organizza sacrifici umani con giovani adescatrici armate di motosega” 

Tra gli innumerevoli titoli diretti da Fred Olen Ray questo è decisamente il più famoso, una versione al femminile di The Texas Chainsaw Massacre ispirato anche al cult Blood Feast di H.G. Lewis, realizzato sull’onda del successo del capitolo 2 della saga di Leatherface e famiglia. Le vicende vedono come protagonista il detective scrittore Jack Chandler (John Henry Richardson) alle prese con un caso di sparizione. Nel frattempo alcuni clienti di un bar equivoco vengono adescati da avvenenti donnine che, una volta portati in camera, vengono affettati a colpi di sega a motore in un tripudio di arti e frattaglie che schizzano da tutte le parti, l’effetto è divertente, anche perché è palese la presenza di un tecnico che, non inquadrato, lancia in giro pezzi umani alla rinfusa finendo anche di colpire le attrici stesse mentre agitano la sega. 

Chandler, durante le indagini, finirà coinvolto in una setta diabolica comandata da un misterioso ometto con il volto satanico e interpretato nientemeno che da Gunnar Hansen ovvero il Leatherface originale che qui smette la maschera per indossare il saio oscuro. Il primo adescamento/omicidio è senza dubbio la parte migliore del film anche perché ci permette di ammirare la bellezza assoluta della scream queen Michelle Bauer come la mamma l’ha fatta. Oltretutto la Bauer sa recitare molto bene e giustamente riesce ad oscurare persino la co-protagonista, l’altra grande screamer Linnea Quigley decisamente meno espressiva dell’amica/collega. 

Saturo di una fotografia coloratissima in puro stile anni ottanta, Hollywood Chainsaw Hookers ha il pregio di non prendersi troppo sul serio, una divertente commedia splatter con un buon cast e momenti iconici come l’assurdo duello a colpi di motosega tra la Quigley e la Bauer, dove praticamente non fanno altro che incastrarsi con le lame e dove appare quanto mai evidente che le poverine sono più occupate a tenere a bada il marchingegno per evitare di farsi male, che a duellare. Del resto prima dei titoli di testa, Fred Olen Ray ci avverte che nel film si useranno vere seghe a motore il cui utilizzo risulta quanto meno pericoloso, soprattutto dopo una notte di sesso. A chiudere il cerchio nel finale si ipotizza un sequel dove le motoseghe verranno imbracciate, stavolta, da studenti. Purtroppo seguirà il destino de “La pazza storia del mondo” di Mel Brooks, il cui sequel annunciato nei titoli di coda non verrà mai realizzato. 

mercoledì 22 giugno 2022

NIGHTBEAST

(1982) 

Regia Don Dohler 

Cast Tom Griffith, Karin Kardian, Don Leifert 

Parla di “alieno cannibale sparatutto giunge sulla terra a far strage in un paesino Americano” 

Don Dohler è una di quelle figure cinematografiche che, nella sua lunga esperienza, ha fatto un po' di tutto, dal produttore al montaggio, dal sonoro alla regia, rigorosamente in ambito exploitation. Purtroppo la sua vita è terminata nel 2006 a soli 60 anni, senza trovare il giusto riconoscimento attribuito, ad esempio, a Roger Corman anche se molti dei suoi titoli, in America sono autentici cult movie da Drive in e super sbevazzata di birra con annessi rutti e scuregge in allegra compagnia. Uno di questi è sicuramente NightBeast che riprende il tema dell’alieno invasore con cui Dohler aveva esordito dietro alla macchina da presa in The Alien Factor, utilizzando praticamente lo stesso cast. 

A seguito della collisione con un asteroide, una nave spaziale atterra sul nostro pianeta e con lei un mostruoso alieno dalla faccia da rospo, armato di pistola laser con cui incenerisce chiunque gli capiti a tiro. I primi minuti del film sono al fulmicotone, con sparatorie, segmenti laser in puro stile tardo anni settanta e disintegrazioni grafiche dal sapore vintage. Poi la trama rallenta mostrando lo sceriffo Cinder (Tom Griffith), una specie di sosia di John Holmes, che tenta di evacuare il paese e trova comunque il tempo di spassarsela con la vice Lisa (Karin Kardian) mentre il sindaco Bertie (Richard Dyszel) non vuole rinunciare al party in piscina con i suoi finanziatori. C’è anche il bullo del paese Drago (Don Leifert) che strozza la sua ex per gelosia e due medici del paese che scoprono il punto debole della creatura, ovvero l’elettricità in una sequenza che omaggia “La cosa dell’altro mondo”. 

In alcuni momenti, il film è deliziosamente splatter, con evisceramenti efficaci e decapitazioni e amputazioni di arti un po' meno riuscite (L’alieno trancia il braccio a un nero semplicemente toccandolo). Quello che va ancora peggio, poi, sono le scene di scazzottamento tra Drago e il nuovo fidanzato della sua ex, realizzate malamente con pugni che sembrano carezze e momenti di lotta che si ripetono in un loop infinito. Per il resto il film è un B-Movie stupidello ma oltremodo divertente in cui milita, ai suoi esordi un sedicenne di nome J.J. Abrams, oggi tra i più importanti produttori di Hollywood, qui in veste di realizzatore di una peraltro ottima colonna sonora. A dimostrazione, ancora una volta, dell’importanza di un certo cinema sotterraneo che, con i suoi 14.000 dollari di budget, ha ulteriormente arricchito il mondo del cinema. 

mercoledì 8 giugno 2022

DISGUSTING SPACE WORMS EAT EVERYONE

 (1988) 

Regia George Keller 

Cast  Dukey Flyswatter, Lisa Everett Hillman, Tequilla Mockingbird 

Genere: Fantascienza, Horror, Demenziale 

Parla di “schifosi vermicelli invadono la Terra trasformando in zombi le loro vittime” 

Spulciando sul Web si trovano cose incredibili e, del resto, con un titolo del genere, questo Sci-Fi demenziale non poteva che catturare la mia attenzione seppur la qualità caricata su Youtube sia quella di una vecchia VHS alla quale hanno fatto di tutto e di più, taglio e cucitura nastro con lo scotch compreso. Del resto il film di George Keller (fortunatamente sua unica opera cinematografica) è uno scalcinato video amatoriale di poco più di un’oretta, con l’unico pregio del fascino vintage che emana. Keller doveva essere rimasto particolarmente affascinato da Squirm di Jeff Liebermann, al punto da dire: “Si, belli ‘sti vermoni carnivori ma andiamo oltre, facciamoli arrivare dallo spazio”. Ecco quindi che le prime allucinanti immagini ci propongono un’astronave di polistirolo e plastica messa insieme con il nastro adesivo. Al suo interno, in una scenografia da modellino giocattolo con luci stroboscopiche, c’è un pasciuto vermone giallastro (vivo) che arringa una folla di vermi che paiono un piatto di carbonara, il tutto attraverso una voce robotizzata che sfido a capire quel che dice anche al madrelingua più scafato. 

La scena si sposta sulla Terra dove un gangster vestito come Elwood Blues tenta disperatamente di farsi una pista di coca ma non riesce manco a farla dritta. Insieme ad una tizia coi capelli da Glam Rocker, devono cercare di vendere una partita di droga a un gruppo di mafiosi. Intanto i vermoni fanno le prime vittime divorando una famigliola teledipendente con il figlio che prende a martellate le musicassette. Un’altra tizia si trucca tutta per farsi un bagno (sic!) e viene divorata dai vermi fuoriusciti da una plafoniera. Un’altra vittima si risveglia come zombi con i vermiciattoli appiccicati con la colla sulla faccia e così via in un tripudio sonoro di canzoni dark rock che il regista, per far ascoltare ogni pezzo per intero, ci propina estenuanti corse in automobile dove non succede nulla. Tra roboanti effetti delay e assordanti rumori di fondo si arriva al delirio finale dove uno scienziato con pronuncia tedesca e laboratorio insediato nella sala macchine di qualche fabbrica metalmeccanica, attiva una gigantesca bomboletta spray insetticida mentre i due protagonisti vengono portati nell’astronave. 

Qui, immersi in un tripudio di grafica laser anni ottanta maldisegnata, affrontano un alieno con tuta d’amianto dei pompieri di Viggiù con al posto della testa tre tubi da elettricista che ondeggiano felici mentre l’astronave si schianta sulla fabbrica emettendo suoni onomatopeici con tanto di fumetto disegnato sopra. In chiusura il delirio ci saluta con una titolazione realizzata direttamente con la camcorder per mezzo della quale il buon Keller ha girato questo divertentissimo scempio psicotronico e che, purtroppo per noi, non userà mai più. Il cast, sconosciuto alle leggi più elementari della recitazione, si fa notare esclusivamente per la presenza di Dukey Flyswatter, attore di Serie B che ha lavorato con Fred Olen Ray ed era presente nel cast del cultissimo Surf Nazis Must Die.  

mercoledì 1 giugno 2022

LIBIDOMANIA

 (1979) 

Regia Bruno Mattei 

Cast Mimmo Poli, Gennarino Pappagalli, Liana Tabacchino 

Parla di “Finto mondo movie che esplora le perversioni sessuali dei cinque continenti con finta autorevolezza scientifica” 

Conosciuto anche con il titolo Sexual Aberration (Sesso perverso), questo tardo mondo-movie si presenta come uno degli ultimi scampoli del genere dove crolla anche l’ultima parvenza di rappresentazione del vero dando adito ad una carrellata di finte dimostrazioni delle più varie perversioni sessuali tra Occidente, Oriente e Africa. Il tutto accompagnato da una serie di false interviste pseudo scientifiche da parte di luminari della sessuologia applicata che sono più verosimilmente esponenti della cinematografia più terra terra come Gennarino Pappagalli o Liana Tabacchino. Dulcis in fundo, il film è sovrastato dalla voce narrante di Norbel Gastell (conosciuto per la serie televisiva La Casa del Guardiaboschi) che illustra le varie sequenze passando da una specie di bordello cinese, dove il simil-buddha (per somiglianza fisica eh!) Mimmo Poli se la spassa con alcune geishe dotate di maschere di plastica fino a certe tribù africane dove si propizia la potenza sessuale perforandosi le narici con dei bastoncini, fino a far sgorgare fiotti di sangue ad irrorare il fiume circostante. 

Alla regia troviamo il buon Bruno Mattei (con lo pseudonimo Jimmy Matheus) che spinge fino all’estremo l’arte dello shock nudo e crudo, non esitando a mostrare aberrazioni di madri indigene che si nutrono dei vermi all’interno del cranio del consorte deceduto. Necrofilia, zoofilia e altre deviazioni vengono mostrate attraverso un montaggio dinamico che non concede più di qualche breve istante per ogni rappresentazione, dando se non altro, all’opera quella scorrevolezza che non si fossilizza sulla bassa ostentazione del pruriginoso voyeurismo pur essendo un film creato ad hoc per soddisfare un pubblico, per l’appunto, voyeur. Del resto la pellicola stessa è soprattutto un taglia e cuci che arriva a inserire scene tratte dal “Devil in Miss Jones” di Gerard Damiano e da “Nuova Guinea: Isola dei Cannibali” di Akira Ide da cui Mattei attingerà anche l’anno successivo per il suo cultone “Virus: Inferno dei morti viventi”. 

Tra signorine che pisciano nella coppe di Champagne, tacchi a spillo che calpestano maschioni nudi, indigeni che si inculano totem propiziatori, messe nere e altre amenità più o meno edificanti, si snoda una carrellata di nudità e ammiccamenti sessuali altrettanto espliciti che cercano pure una parvenza di autorevolezza scientifica citando, nei titoli di testa, una serie di volumi di sessuologia redatti da psicologi e studiosi tra cui Richard Von Krafft-Ebing e il suo “Psychopathia Sexualis”, uno dei primi trattati di patologie sessuali. Non ci è dato di capire quanto scientifica possa essere stata l’ispirazione dei trattati citati in rapporto ad un mondo movie dove l’unico intento che trapela dalle sue pieghe è quello di realizzare una specie di soft - pornazzo che ondeggia felice nel mare magno della pornografia per famiglie mascherata da liberazione sessuale.