martedì 22 marzo 2016

THE TINGLER

(Id. 1959)
Regia
Cast  , ,


Scream! Scream for your life! ...D'accordo, ma in casi come questo mi sento di urlare solo una parola: "CAPOLAVORO!" Perchè questo è l'unico epiteto che si possa lontanamente avvicinare al genio di William Castle, vero e proprio regista artigiano e imbonitore, qui al suo zenith per quanto concerne l'interazione tra il cinema e lo spettatore, quest'ultimo diventa parte integrante della trama, grazie anche all'effetto Percepto utilizzato durante le proiezioni americane della pellicola. L'effetto Percepto altri non era che una piccola scossa alle poltroncine del pubblico, accompagnate, ad un certo punto ed al culmine del pathos della trama, da uno schermo buio ed una voce fuori campo che incitava all'urlo catartico per sfuggire alla mostruosa presenza del tingler. Quanto doveva essere divertente vedere un film in queste condizioni? Non ci è dato di saperlo, purtroppo, perchè certi effettacci oramai si sono persi per sempre. Possiamo solo supporre che l'effetto in generale doveva essere assolutamente magnetico e, nonostante tutto, chi usciva dalla sala rimaneva pienamente soddisfatto. Il cinema di Castle era un grande luna park attrezzato a suo uso e consumo. Non a caso il regista si presenta all'inizio del film per avvertire il pubblico che l'unica maniera di sconfiggere il mostruoso vermone è urlare...urlare per salvarsi la vita!

I titoli di testa sono solo un piccolo assaggio della meraviglia che ci aspetta con teste urlanti (simboleggianti gli spettatori), musica incalzante e un primo piano del ghigno terrorizzato di un condannato a morte. Un sempre meraviglioso Vincent Price ci illustra, durante l'autopsia, che qualcosa ha spezzato le ossa del morto, una presenza generata dalla paura, il Tingler. Il film prosegue con i tentativi di isolare questa essenza da parte del dottore, prima spaventando la moglie fedifraga con una pistola a salve, di seguito iniettandosi l'LSD, i tentativi però non valgono a nulla perchè alla fine non si può fare a meno di urlare! Solo quando incontra una sordomuta (Judith Evelyn), il dottore capisce che è l'unica catalizzatrice d'orrore impossibilitata a gridare e quindi predisposta a generare la mostruosa creatura (si vabbè un gamberone di gomma ma tant'è...). Non si saprà mai se il medico gli inietta l'acido o è solo un trucco architettato dal marito Ollie (Philip Coolidge) per accaparrarsi la pingue eredità nascosta ossessivamente dalla consorte in cassaforte,  fatto sta che la muta comincia a vedere assassini e mostri ovunque, il suo delirio culmina in una vasca piena di sangue (ed il colore rosso sarà l'unica cosa che si vede a colori in un film in bianco e nero) da cui fuoriesce una mano. Credo che questa scena sia l'apoteosi della bellezza di questo film , scioccante ancor oggi per l'ardito sperimentalismo di un uomo come Castle, sempre intento a spremersi le meningi per sconvolgere e divertire.

Il film prosegue con il vermone estratto dalla spina dorsale della donna, morta di paura ed i tentativi di fuga dello stesso fin dentro la sala di un cinema dove proiettano un muto. Qui Castle crea il perfetto esempio di metacinema che vuole coinvolgere lo spettatore, oscurando il film e dando indicazioni al pubblico su come liberare le sue paure. Un meraviglioso incontro fra l'artista ed i suoi fruitori per una pellicola che ha catalizzato l'horror come puro entertaintment ma anche come meravigliosa esperienza collettiva. Castle sapeva cos'era il vero cinema e se altri dopo di lui lo avessero seguito forse oggi avremmo ancora le sale piene!


mercoledì 16 marzo 2016

THE ACT OF SEEING WITH ONE'S OWN EYES

(Usa, 1971)
Regia


In greco con la parola Autopsia si indica propriamente  "l'atto di vedere con i propri occhi", frase con cui il filmmaker sperimentale Stan Brakhage ha intitolato una delle opere cinematografiche più disturbanti e insostenibili della storia del cinema. La pellicola, girata in 16 mm presso l'obitorio di Pittsburgh ci trasporta direttamente in una giornata tipo all'interno dell'istituto, giornata fatta di misurazioni con un righellino di plastica, rivoltamenti, tagli, aperture ed estrazioni, lavorazioni dedicate molto simpaticamente a dei veri cadaveri sui quali l'obiettivo asettico e imparziale di Brakhage ostenta per circa mezz'ora di proiezione in una vera e propria esplorazione della materia umana. Qui l'atto di vedere diventa una prova di resistenza sopratutto per l'occhio dello spettatore che deve godersi primi piani ben definiti di cervelli estratti, polmoni marcescenti e intestini rivoltati.

La pelle viene arrotolata sul viso mentre la sega circolare traccia i solchi attorno alla scatola cranica; mani veloci e sicure, evidentemente abituate a quella pratica giornaliera, lavorano sui legamenti, sulla pelle, sul grasso, sulle costole, segando e tagliando, affettando interiora come tranci di scottona in un tripudio di corpi bianchicci,braccia e mani tumefatte, scroti, vaginee peni alla deriva in un mare nostrum di anatomia umana che pende come un serpente accusatore sulle nostre pupille, letteralmente ipnotizzate da uno spettacolo ributtante ma da cui non osiamo distogliere lo sguardo. L'assenza di audio, poi, sembra urlare in testa scarnificazioni ed eviscerazioni che non sentiamo ma di cui possiamo testarne l'essenza come parte interiore della nostra anima qui ridotta a involucro da supermercato con frattaglie mescolate e raccolte in sacchi di cellophane. 

Eppure, nonostante la visione insostenibile, chi guarda The Act sa benissimo di essere lontano anni luce da situazioni create ad hoc per il facile shock ad uso e consumo del pubblico, qui l'occhio della cinepresa indaga come testimone silente e discreto, al punto che spesso l'inquadratura è coperta dalla presenza confortante del camice di qualche coroner, o del volto stanco dell'uomo delle pulizie che passa lo spazzolone, oppure dalle mani dell'addetto alla pulizia che passa con cura la spugna sui corpi aperti, contorti in pose impossibili quasi a formare opere d'arte che narrano un cronenberghiano linguaggio della carne. Difficile concedersi una seconda visione, difficile cancellare quanto ci viene proposto, difficile a suo modo, giudicare il reale valore dell'opera, se non attraverso un confronto con la visione della morte stessa. Il film fa parte della cosiddetta trilogia di Pittsburgh, tre documentari girati da Brakhage nel 1971 di cui Eyes all'interno di un comando di Polizia e Deus Ex in un ospedale.

giovedì 10 marzo 2016

MONSTER FROM GREEN HELL

(Id. 1958)
Regia
Cast  , ,


Lo scienziato Quent Brady (Jim Davis) è un vero amico degli animali, difatti ne spedisce qualcuno nello spazio per testare gli effetti delle radiazioni cosmiche. Il risultato sarà una enorme ed incazzatissima vespa gigante che atterra sulle coste africane seminando terrore e morte tra le popolazioni locali.In breve il plot di questa raffazzonatissima pellicola realizzata con materiale di recupero fra documentari di branchi di elefanti e gazzelle all'abbeverata, animazioni a passo uno di un ridicolo vespone di cartapesta rassomigliante più ad un moscone (l'entomologia doveva essere una branca sconosciuta negli anni '50 in america almeno per quanto riguarda gli addetti agli effetti speciali). 


Un monster movie fra i più ridicoli ch'io abbia mai visto, con attacchi di indigeni ai danni della spedizione del dottor Brady , rubati praticamente da Stanley and Livingstone (1939). La parte centrale del film vede gli scienziati americani che, nell'intento di raggiungere l'accampamento del Dr. Lorentz (Vladimir Sokoloff) devono affrontare il sole africano e le pioggie torrenziali, pozze d'acqua avvelenate e fatiche inumane. La cosa divertente è che dopo averci fatto vedere le indicibili fatiche nel raggiungere il campo con un gruppo di portantini neri che trasportano materiale scientifico, cosa ci fa trovare al campo il regista, colpevole dell'opera ovvero il sedicente Kenneth G. Crane ? Un pianoforte! Si avete capito bene, la figlia del dottor Lorentz (Barbara Turner) si mette a suonare un piano in una capanna nella foresta! Si resta basiti se si pensa a quanti sacrifici sia costato ai poveri indigeni il trasporto di codesto strumento. Del resto la pellicola ha più di una connotazione razzista e colonialista tipica dell'epoca.

Il Dr. Brady sviene travolto dalle fatiche ma appena riavutosi dal trauma, il suo collega (Robert Griffin) gli accende subito una bella sigaretta. La ragazza passa il tempo a coprirsi il volto con il petto dell'aitante scienziato (ed è pure sdentata, come ci illustra un bel primo piano di questa negatissima attrice), poi  il moscone lotta con un serpente di gomma: ogni tanto l'insetto sembra alto come un palazzo ma può venir strangolato da un normalissimo boa constrictor dal momento che, per tutto il film, non ci è dato di capire le esatte dimensioni della creatura. In tutto questo il finale celebra la distruzione del mostro e della sua progenie con un'eruzione del vulcano sotto il quale la vespa gigante ha avuto la malaugurata idea di andare a fare le uova. Questo per concludere spettacolarmente quest'indegna gazzarra in bianco e nero con una serie di riprese di repertorio allietate in sottofondo dallo stridio sofferente dell'ape che assomiglia tanto al verso di un maiale!
 

martedì 1 marzo 2016

THE WEREWOLF OF WOODSTOCK

(Id. 1975)
Regia
Cast  , ,


Tutti siamo più o meno consapevoli del valore storico e artistico rappresentato da quel mitico happening di tre giorni che si svolse a Woodstock nel lontano 1969, pochi invece sono consapevoli dell'esistenza di questo assurdo Tv movie prodotto da Dick Clark, storico personaggio radiotelevisivo americano. Eppure esiste ed ha una trama che supera di poco la sua realizzazione, in quanto a livelli estremi di weirdo. Pochi fotogrammi della 3 days of love and peace (si sentono giusto un paio di note della chitarra di Santana) introducono il film che è ambientato subito dopo il festival, quando i terreni sono pieni di cartacce e altra immondizia varia, ma, sopratutto, c'è un palco da smontare. Ovviamente i contadini di zona non hanno gradito la manifestazione e in particolare uno, che nottetempo sale sul palco e comincia a sfasciarlo urlando in continuazione "Freaks!!".

Il poveretto viene letteralmente fulminato dalla corrente elettrica del palco e si ritrova nel suo letto completamente bendato. A questo punto interviene l'assurdo, l'enorme accumulo di elettricità lo trasforma in un lupo mannaro con tanto di cresta leonina e pelazzi che fuoriescono da braccia e gambe. Però attenzione! Attenzione! Non è tutto così assurdo come sembra, anzi nella pellicola ci provano pure a dare una spiegazione all'inspiegabile trasformazione (Si, vabbè, una maschera di gomma, peraltro bruttarella, e via!): in pratica l'accumulo di ioni elettrici mescolato con l'energia negativa sprigionata dal contadino mentre sfasciava tutto, hanno generato la mutazione. Proseguendo nella visione, osserviamo la bestia mentre accoppa il cagnolino di una ragazza hippie che girovaga in zona con una band probabilmente in ritardo sulla tabella di marcia del festival, e dopo aver aggredito alcuni poliziotti, se ne torna a letto bendato come prima. Così anche per le notti successive il licantropo esce dalla stanza e rapisce la ragazza, la quale, dopo i primi momenti di terrore si intenerisce e arriva a medicare le ferite del lupo. 

 
Alla fine vedremo il licantropo  che viene attirato in trappola facendo suonare la Band sul palco (a quanto pare i lupi mannari odiano il rock), accortosi del tranello il lupo non trova nulla di meglio che saltare su una dune buggy e guidarla fino raggiungere una centrale elettrica dove verrà accoppato da un cacciatore. In cotanta fregnaccia, troviamo uno degli attori più amati da Quentin Tarantino, ovvero Michael Parks ma per il resto c'è da ringraziare il prolifico regista televisivo John Moffitt di non averla tirata tanto alla lunga ed averci dato un taglio a questa imbarazzante commedia degli orrori dopo poco più di un'oretta d'agonia.