Regia Stan Brakhage
In greco con la parola Autopsia
si indica propriamente "l'atto di
vedere con i propri occhi", frase con cui il filmmaker sperimentale Stan
Brakhage ha intitolato una delle opere cinematografiche più disturbanti e
insostenibili della storia del cinema. La pellicola, girata in 16 mm presso
l'obitorio di Pittsburgh ci trasporta direttamente in una giornata tipo
all'interno dell'istituto, giornata fatta di misurazioni con un righellino di
plastica, rivoltamenti, tagli, aperture ed estrazioni, lavorazioni dedicate molto
simpaticamente a dei veri cadaveri sui quali l'obiettivo asettico e imparziale
di Brakhage ostenta per circa mezz'ora di proiezione in una vera e propria
esplorazione della materia umana. Qui l'atto di vedere diventa una prova di
resistenza sopratutto per l'occhio dello spettatore che deve godersi primi
piani ben definiti di cervelli estratti, polmoni marcescenti e intestini
rivoltati.
La pelle viene arrotolata sul viso mentre la sega circolare traccia
i solchi attorno alla scatola cranica; mani veloci e sicure, evidentemente
abituate a quella pratica giornaliera, lavorano sui legamenti, sulla pelle, sul
grasso, sulle costole, segando e tagliando, affettando interiora come tranci di
scottona in un tripudio di corpi bianchicci,braccia e mani tumefatte, scroti,
vaginee peni alla deriva in un mare nostrum di anatomia umana che pende come un
serpente accusatore sulle nostre pupille, letteralmente ipnotizzate da uno
spettacolo ributtante ma da cui non osiamo distogliere lo sguardo. L'assenza di
audio, poi, sembra urlare in testa scarnificazioni ed eviscerazioni che non
sentiamo ma di cui possiamo testarne l'essenza come parte interiore della
nostra anima qui ridotta a involucro da supermercato con frattaglie mescolate e
raccolte in sacchi di cellophane.
Eppure, nonostante la visione insostenibile,
chi guarda The Act sa benissimo di essere lontano anni luce da situazioni
create ad hoc per il facile shock ad uso e consumo del pubblico, qui l'occhio
della cinepresa indaga come testimone silente e discreto, al punto che spesso
l'inquadratura è coperta dalla presenza confortante del camice di qualche
coroner, o del volto stanco dell'uomo delle pulizie che passa lo spazzolone,
oppure dalle mani dell'addetto alla pulizia che passa con cura la spugna sui
corpi aperti, contorti in pose impossibili quasi a formare opere d'arte che
narrano un cronenberghiano linguaggio della carne. Difficile concedersi una
seconda visione, difficile cancellare quanto ci viene proposto, difficile a suo
modo, giudicare il reale valore dell'opera, se non attraverso un confronto con
la visione della morte stessa. Il film fa parte della cosiddetta trilogia di
Pittsburgh, tre documentari girati da Brakhage nel 1971 di cui Eyes all'interno
di un comando di Polizia e Deus Ex in un ospedale.
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