giovedì 14 novembre 2013

NIGHT OF FEAR

(Id. 1972)
Regia
Cast , ,

Quello che caratterizza maggiormente il cinema exploitation australiano (detto anche Ozploitation) è il rapporto con gli spazi e la natura da parte dell'uomo, in particolare nel cinema horror/thriller dove l'interazione tra natura e civiltà assume connotati drammatici, questo a partire da quel capolavoro del 1977 che si intitolava "Long Weekend" ma già, qualche anno prima, se ne intravedevano i primi segnali grazie a perle come questo piccolo titolo diretto da Terry Bourke, misconosciuto regista la cui fama non supererà mai i confini australiani. Peccato perchè in appena 50 minuti, questo thriller riesce a condensate tutti gli elementi propri di un genere che anni dopo straborderà sopratutto in quantità cinematografica grazie a roba come "Wrong Turn", "Le colline hanno gli occhi" fino a quel gioiellino di "Wolf Creek" che ben prosegue il discorso qui affrontato. Del resto una terra dove la maggioranza dei serpenti è dotata di veleno mortale, dove i coccodrilli nuotano in mare, dove gli squali azzannano i surfisti e dove anche certi uccelli (leggasi i Casuari) sono particolarmente aggressivi, non poteva che partorire ottimi esempi di survival horror.
 
Il punto di partenza di "Night of Fear" è sicuramente Tobe Hooper, infatti qui il protagonista è un maniaco farmense che ansima come un gorilla in orgasmo, porta sulla spalla un topastro bianco e zoppica con una scarpa ortopedica dotata di supporti in metallo. Il suo hobby preferito è torturare gatti tristemente prigionieri in una gabbia ma sopratutto inseguire giovani donna che hanno la sventura di avvicinarsi troppo alla sua proprietà. Tutto il film si svolge nell'arco temporale di 24 ore, non vengono pronunciati nomi anche perchè non ci sono praticamente dialoghi, a parte un breve monologo radiofonico subito interrotto dall'incidente stradale che porterà alla terribile evoluzione nella giornata di una giovane discinta.
 
 
Bourke si scatena in inquadrature bislacche, un montaggio che sembra un frappè di flashback e flashforward, con un altalenarsi piuttosto fastidioso di scene che devono ancora accadere, primi piani di gatti e topi che rosicchiano e angolazioni che si fatica a capire da dove partano. La follia del progetto, tuttavia, da una marcia in più all'insieme e le atmosfere malsane che si vengono a creare superano in degrado e malattia anche quel "brutes & savages" (da noi conosciuto come "Quel motel accanto alla palude") a cui il film si ispira maggiormente. La brevità del racconto e la crudezza della narrazione in sè concludono in grandezza l'opera che, se non disturba uno spettatore ormai abituato a queste cose, di sicuro non lascia indifferenti.

1 commento:

  1. Pur non essendo explitation, anche Picnic ad Hanging Roc, tratta il rapporto uomo/natura, o almeno così io lo ho interpretato.

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