lunedì 11 novembre 2019

SEXANDROIDE

(Les SexAndroides, 1987)

Regia Michel Ricaud

Cast Denis Dubois, Compagnia del piccolo Mescal

Genere: Estremo, Splatter, Horror, Commedia

Parla di “Tre episodi pretestuosi per mostrare un po' di carnazza e qualche budella

Una cosa è certa! Qualora mi trovassi a corto di spazio nello scrivere questa recensione, saprei cosa omettere: il nome del regista! Grande assente di questa ridicola pagliacciata semiamatoriale girata in 8 mm ai bei tempi della VHS Generation. Per girare come il francese Michel Ricaud è sufficiente piazzare una cinepresa in mezzo alla stanza, mettere due faretti, qualche tendina come scenografia e lasciare che gli attori (a questo punto però meglio lo stesso attore a interpretare più ruoli così si risparmia) facciano un po come cazzo gli pare! Il risultato? Un goffo tentativo di riesumare il Grand Guignol con tre mini episodi assolutamente privi di trama e di sceneggiatura dove l’attore Denis Dubois interpreta di volta in volta il ruolo da protagonista. Nel primo episodio c’è un mago voodoo che si diletta a strappare i vestiti ad una bambolina e farne cose indicibili, il tutto ai danni di una avventrice di un locale impegnata a rifarsi il trucco nella toilette. In un tripudio di vomito e sangue si compirà l’insano destino della poveretta, il tutto senza alcun dialogo ma la scenetta in cui gli si strappano i vestiti da sola (in realtà si vede che c’è qualcuno dietro ad un angolo che gli tira i lembi) è la cosa più divertente del film.


Il secondo episodio è decisamente il più malato con una specie di orco con una ridicola maschera da Fantasma dell’opera con la mascella a becco d’aquila che si diverte a infilzare con lunghissimi aghi i seni di una poveretta legata alla sedia all’interno di una cantina talmente squallida da mettere realmente angoscia. Ma non solo, gli mette in bocca un ragno schifoso (di plasticaccia malfatta peraltro) e alla fine gli strappa un occhio con due mani in un tripudio di sangue e una dovizia di particolari da far invidia al miglior Lucio Fulci. La lentezza dei movimenti, l’assenza, anche qui, di dialoghi (se si esclude un’inutile voce fuori campo a inizio scena) e l’efferatezza delle torture rendono la visione decisamente estrema e disturbante. Di tutt’altro respiro il terzo episodio dove il ridicolo ammanta completamente l’atmosfera. Siamo anche qui in una specie di cantina dove una tizia vestita a lutto prega davanti ad una bara di cartone. Ad un certo punto si avvicina troppo e il cadavere risorge mordendola sul collo con zanne oscenamente ricoperte di bava biancastra.

Da qui in poi, la donna, seminuda, in un completo da sexy Morticia Addams, inizia a ballare in maniera assolutamente ridicola e scoordinata al suono di What’s love (got to do it) e I might have been queen di Tina Turner, alla quale dubito fortemente sia pervenuto un centesimo di diritti d’autore da questa assurda pantomima danzereccia. Oltre a Dubois, il regista mette in mostra una serie di donzelle quasi tutte seminude con un intento più teatrale che cinematografico con una spiccata predilezione per il macabro e l’orrido che si mescolano alla comicità involontaria (o volontaria?) e al cattivo gusto. Cult assoluto per gli amanti del cinema estremo, la cui visione viene decisamente alleggerita dalla sua brevissima durata e dal continuo impatto shock con il gore che rende quantomeno divertente e doveroso dargli un’occhiata.

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