lunedì 4 novembre 2019

GRIDA DI ESTASI

(Cries of Ecstasy, Blows of Death, 1978)

Regia Antony Weber

Cast Sandy Carey, Michael Abbott, Uschi Digard

Genere: PostAtomico, Fantascienza, Erotico

Parla di “Sopravvissuti catastrofe nucleare in bolle di ossigeno, danno sfogo a turpetudini varie in vista dell’apocalisse

Alla prima visione di questo soft-core fantascientifico di Antony Weber pensavo ad un difetto della videocassetta, tutto questo per il viziaccio brutto che ho di non leggere mai di un film per il quale mi accingo alla visione, onde evitare spoiler e manomissioni del mio libero arbitrio nel giudicare. Solo dopo aver attinto le dovute informazioni ho compreso di avere tra le mani l’edizione italiana, dove, per qualche misterioso fine a noi sconosciuto, è stato aggiunto un prologo di 10 minuti rubato senza alcuna vergogna da La Città verrà distrutta all’alba di George A. Romero, oltretutto montato alla cazzo. Il tutto per giustificare le esplosioni atomiche che susseguono prima dei secondi titoli di testa (quelli veri) e che danno l’avvio al film effettivo. A parte il fatto che sulle prime sequenze del capolavoro romeriano viene appiccicato il titolo originale (Cries of Ecstasy, Blows of Death) con la peggior grafica di video della prima comunione all’epoca del VHS-C, nei frame successivi spunta anche un primo allucinante titolo italiano (Sesso Delirio) e quello seguente che traduce pedissequamente la prima parte di quello originale (Grida di estasi).  

Insomma se le premesse sono queste c’è poco da stare allegri, per fortuna c’è una tranquillizzante voce fuori campo che ci spiega quello che è successo dopo. Praticamente la terra è diventata un deserto sterile dove l’aria è completamente avvelenata, al punto che i superstiti devono andare in giro con le maschere antigas. Ma c’è poco da gironzolare, vista anche la presenza di bande di motociclisti assassini e stupratori. I sopravvissuti sono confinati in bolle di plastica trasparente almeno fino a quando anche quest’ultimo scampolo di ossigeno presente nelle tende non si esaurirà e con esso la completa estinzione del genere umano. Una situazione pessimistica che però dà modo ai pochi rimasti di sfogare le proprie perversità sessuali, in vista dell’olocausto finale. Ma soprattutto da modo al regista di puntare l’obiettivo su un tripudio di corpi nudi che si agitano, fremono e copulano in queste bolle ad ossigeno arredate con design tipicamente anni settanta. 

Protagonista (per quanto non sia proprio necessario un protagonista in questa vicenda) è un militare vestito come un capo villaggio africano, armato di arco che gironzola con una tizia incontrata fuori dalla tenda, mentre la sua convivente, una Milf bionda e isterica che si strugge nel terrore di una morte imminente e chiede insistentemente al militare di ucciderla. Poi c’è un maniaco sessuale che continua a sollevare in alto una sgarzellina nuda che si agita e squittisce come una lontra arrapata e, dulcis in fundo, una coppietta giovane che affronterà i teppisti in motocicletta a colpi di Kung Fu imparato per corrispondenza. Alla fine, com’era prevedibile, l’apocalisse avrà la meglio, si salverà solo la voce narrante, giusto per dare una degna conclusione a questo pastrocchio post-atomico. Nel cast una breve parte per Uschi Digard, nordica popputa aficionadas del cinema di Russ Meyer. 

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