lunedì 26 febbraio 2018

WHITE SLAVES OF CHINATOWN

(Id. 1964)
Regia
Cast  , ,



Secondo capitolo, benchè primo in ordine di distribuzione, sulla saga della dominatrice Olga, il film si sviluppa più o meno sulla falsariga del primo "Olga's House of shame" con la giunonica Audrey Campbell a farla da padrone in una storiaccia improntata sulla messa in schiavitù di giovani bianche,  spesso e volentieri di costumi non proprio virtuosi quando non dedite alla tossicodipendenza. Il tutto ambientato nel quartiere di Chinatown o meglio le inquadrature di repertorio ci mostrano immagini esterne del celebre quartiere di New York mentre la storia si svolge quasi tutta in anonime stanze e squallidi scantinati dove la nostra protagonista prima travia le sue vittime e poi le sottopone a torture varie con lo scopo di trasformarle in schiave di piacere per il suo boudoir. Anche in questo capitolo il regista Joseph P. Mawra utilizza la tecnica della voce narrante fuori campo, questo per evitare probabilmente l'utilizzo di un fonico in presa diretta (i dialoghi sono praticamente assenti) e di limitare la cagneria degli attori  talmente elevata che, in alcune scene,li vediamo sghignazzare come matti invece di  esprimere la sofferenza richiesta dal copione. 

La Campbell strabuzza gli occhi compiaciuta di fronte alle sue prede, legate alla cazzo di cane (i nodi con cui vengono serrate ai polsi e alle gambe sono praticamente sciolti), alcune vengono infilate tra un paio d'assi modello "palo della vergogna medioevale", ad una tizia cercano di schiacciarle la mano sotto ad una pressa anche se l'effetto scenico è talmente rozzo che la pressa si ferma a 5 cm dalla mano lasciandola libera di fingere visibilmente di venir schiacciata. Ogni tanto qualche ragazza butta fuori una tetta in modo peraltro gratuito mentre striscia per una stanza dove c'è quasi sempre lo stesso coglione che sembra essersi svegliato da poco, mentre altre giovincelle si dedicano a fumare oppio o a iniettarsi eroina nelle vene, senza peraltro darsi la pena di infilare l'ago nel braccio.  

Insomma il film va avanti così per poco più di un'ora senza particolari guizzi se non quelli espressi dalla rozzaggine della messa in scena, con un ritmo lento e agonizzante ed una colonna sonora che cambia pezzo in mezzo alla stessa sequenza senza alcun nesso logico, come se uno ad un certo punto si accorgesse che il disco è finito ed è necessario girarlo sul piatto. Abbiamo  anche un abbozzo di scena lesbica ma rimane un abbozzo e basta, poi ci sono le solite tipe appese a testa in giù o crocefisse mentre la telecamera indugia vogliosa cercando parti del corpo proibite. Procediamo quindi stancamente verso la fine del film ansimando con terrore nell'ipotesi di spararci anche il terzo capitolo Olga's Girl con almeno la consolazione che il quarto capitolo "Olga Massage Parlor" si considerato perduto (ma forse perchè nessuno si è mai dato la briga di cercarlo). Produce George Weiss (che fa anche un piccolo cameo psichiatrico) il quale ci aveva già regalato un'altra perla dell'exploitation americana con il mitico "Glen or Glenda" esordio alla regia di un uomo che non ha bisogno di presentazioni: Ed Wood.

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