lunedì 19 febbraio 2018

OLGA'S HOUSE OF SHAME

(Id. 1964)
Regia
Cast , ,





Accompagnati da una musica sinfonica drammaticamente ossessiva vediamo un'auto che si ferma in un bosco, scende un uomo che indossa occhiali scuri e regge in mano una ragazza legata, la schiaffeggia ma la recitazione è talmente approssimativa che gli schiaffi non raggiungono mai il viso della ragazza limitandosi a muovere un po di aria sul viso. Ci troviamo in una serie di fabbricati in legno, un vecchio villaggio di minatori abbandonato, la ragazza che indossa vistose calze a rete, viene trascinata in una casupola dove, legata ad una sedia inizierà a subire una serie di torture ben dettagliate con primi piani espliciti di morse e saldatori sui seni, panoramiche generose di lingerie anni cinquanta con mutandoni giganti che ai giorni nostri non ecciterebbero neanche un bonobo in astinenza da mesi.

Così si presenta il primo capitolo della famigerata trilogia di Olga la dominatrice, seguito dal quasi contemporaneo Slave girls of Chinatown e dal successivo Olga's Girls, tutti e tre interpretati da Audrey Campbell e girati nel 1964 dal famigerato Joseph P. Mawra, regista che ha dato corpo al suo delirio misogino attraverso una serie di pellicole sexploitation dove la donna era poco più di un oggetto, dove l'emancipazione era vista come un morbo e la devianza come una malattia. Successivi a questa trilogia appartengono anche due titoli apocrifi interpretati da altre attrici in sostituzione della Campbell M.me Olga Massage Parlor e Olga's Dance Hall Girls. Lo stile, tipico del genere, oscillava a metà tra documentario e fiction, ed in questo era di certo un buon anticipatore di quello che in futuro verrà chiamato Mockumentary e soprattutto del cosidettol Torture Porn, ma non sono solo questi due generi che verranno ispirati dal ciclo di Olga, è riconosciuto infatti il debito che il personaggio della Nazi Dominatrice Ilsa (Ilsa la belva delle SS e altri seguiti più o meno simili) ha nei confronti della dominatrix di Mawra. Di certo qua non manca la fantasia nello snocciolare prove di sadismo gretto e malsano, si usa un pò di tutto, anche una spatola che pratica un dolorosissimo scrub alla pelle di una malcapitata, e poi frustini, gogne medioevali, sedie elettriche, il tutto seguendo una corrente logica per cui le torturate di oggi diventeranno torturatrici di domani oltre alla solita morale anti-gay di Mawra per cui le lesbiche sono tutte pervertite (e in questo caso anche sadiche).

Tutto questo accompagnato da una buona dose di tettone che indossano bustini antistupro, legate agli alberi, danzatrici del ventre, scene di sesso saffico abbozzate, masturbazioni sia concettuali che fisiche, recitazioni che neanche al teatrino della scuola erano così approssimative (per dare un'idea, la vittima della sedia elettrica, per simulare la scossa si mette a ballare seduta!) e makeup con sangue finto spennellato a casaccio. La protagonista Audrey Campbell, nonostante la glorificazione del trittico cinematografico dedicato al suo personaggio, non avrà mai fortuna nel mondo del cinema, del resto questo accade quasi sempre quando un titolo assume valore nel tempo solo a livello iconografico e mai a livello qualitativo. Di certo, questi bondage movies, pur nella loro grettezza, sono una parte fondamentale di un circuito underground che in passato sostituiva la pornografia e rappresentava per migliaia di arrapati voyeur l'unica valvola di sfogo a un sistema moralistico e castratore.  


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