Regia Jean Rollin
Cast Cyrille Iste, Brigitte Lahaie, Sandrine Thoquet
Parla di “coppia di occultisti a caccia di Dracula, devono salvare la vittima sacrificale che un gruppo di suore malvagie vogliono offrire in sposa al vampiro”
Giunto all’alba del nuovo millennio, il cinema surreale, pazzo e sensuale di Jean Rollin si perde nei meandri delle produzioni home video, cedendo parte del suo fascino ad una sorta di autocelebrazione. Questo La Fiancée De Dracula, terz’ultima opera prima della dipartita del regista francese, avvenuta nel 2010, si potrebbe definire un compendio sragionato della sua arte cinematografica, spesso ai limiti della pornografia mescolata con una sorta di surrealismo pseudo autoriale che non ha mai attecchito molto nei confronti della critica più blasonata, mentre invece si è costruito un’aura di regista cult da parte degli estimatori del cinema di serie zeta come il sottoscritto.
La trama vede un vecchio professione e il suo tamarrissimo aiutante che giungono alle porte di un castello dove spunta una vampira ignuda (Sandrine Thoquet) che prima morde il nano Triboulet (Thomas Smith) e poi si sdraia su una tomba. Dietro indicazioni del nano (che appartiene alla razza dei “paralleli”, sorta di congiunzione tra vampiri e umani) i due si recano in un assurdo convento governato da monache pazze che fumano pipa e sigaro e fanno discorsi ancora più assurdi. L’intento è quello di liberare la bella Isabel (Cyrille Iste) promessa sposa nientepopomeno che al conte Dracula. Ma i buoni propositi dei due eroi vengono messi a dura prova da una serie di donne più o meno sciroccate, tra cui una specie di cannibalessa detta “La Louve” (Brigitte Lahaie) che pasteggia con un neonato in culla. Per chi si avvicinasse con quest’opera al cinema del regista d’oltralpe, l’impressione sarebbe quella di aver a che fare con un pazzo assoluto o un genio.
Purtroppo gli estimatori del maestro si trovano di fronte ad un filmetto scialbo, recitato male e girato anche peggio, dove la sensazione generale è quella di riciclare i topoi classici del cinema rolliniano come l’ossessiva presenza dell’orologio a pendolo (recapitato direttamente da Le Frisson des Vampire, suo capolavoro del 1971) che assume, in questo frangente, la funzione di portale verso multiversi paralleli quali ovviamente il buon Rollin, penalizzato come sempre da budget inesistenti, non prova nemmeno a mostrarci. Del resto anche gli effetti speciali latitano, al punto che la trasformazione finale della vampira, bruciata dal sole, sembra un’accozzaglia di make up dozzinale buttato a casaccio, sulla faccia della poveretta.
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