venerdì 21 febbraio 2025

L’ AMANTE DI DRACULA

(La Fiancée De Dracula, 2002) 

Regia Jean Rollin 

Cast Cyrille Iste, Brigitte Lahaie, Sandrine Thoquet 

Parla di “coppia di occultisti a caccia di Dracula, devono salvare la vittima sacrificale che un gruppo di suore malvagie vogliono offrire in sposa al vampiro” 


Giunto all’alba del nuovo millennio, il cinema surreale, pazzo e sensuale di Jean Rollin si perde nei meandri delle produzioni home video, cedendo parte del suo fascino ad una sorta di autocelebrazione. Questo La Fiancée De Dracula, terz’ultima opera prima della dipartita del regista francese, avvenuta nel 2010, si potrebbe definire un compendio sragionato della sua arte cinematografica, spesso ai limiti della pornografia mescolata con una sorta di surrealismo pseudo autoriale che non ha mai attecchito molto nei confronti della critica più blasonata, mentre invece si è costruito un’aura di regista cult da parte degli estimatori del cinema di serie zeta come il sottoscritto. 

La trama vede un vecchio professione e il suo tamarrissimo aiutante che giungono alle porte di un castello dove spunta una vampira ignuda (Sandrine Thoquet) che prima morde il nano Triboulet (Thomas Smith) e poi si sdraia su una tomba. Dietro indicazioni del nano (che appartiene alla razza dei “paralleli”, sorta di congiunzione tra vampiri e umani) i due si recano in un assurdo convento governato da monache pazze che fumano pipa e sigaro e fanno discorsi ancora più assurdi. L’intento è quello di liberare la bella Isabel (Cyrille Iste) promessa sposa nientepopomeno che al conte Dracula. Ma i buoni propositi dei due eroi vengono messi a dura prova da una serie di donne più o meno sciroccate, tra cui una specie di cannibalessa detta “La Louve” (Brigitte Lahaie) che pasteggia con un neonato in culla.  Per chi si avvicinasse con quest’opera al cinema del regista d’oltralpe, l’impressione sarebbe quella di aver a che fare con un pazzo assoluto o un genio. 

Purtroppo gli estimatori del maestro si trovano di fronte ad un filmetto scialbo, recitato male e girato anche peggio, dove la sensazione generale è quella di riciclare i topoi classici del cinema rolliniano come l’ossessiva presenza dell’orologio a pendolo (recapitato direttamente da Le Frisson des Vampire, suo capolavoro del 1971) che assume, in questo frangente, la funzione di portale verso multiversi paralleli quali ovviamente il buon Rollin, penalizzato come sempre da budget inesistenti, non prova nemmeno a mostrarci. Del resto anche gli effetti speciali latitano, al punto che la trasformazione finale della vampira, bruciata dal sole, sembra un’accozzaglia di make up dozzinale buttato a casaccio, sulla faccia della poveretta. 

Quello che poi fa veramente rimpiangere il passato, è la mancanza quasi totale della componente sessuale, vero e proprio marchio di fabbrica del buon Jean Rollin, qui ridotto a qualche sprazzo di nudo relegato alla sola performance di Sandrine Thoquet (La Iste si accontenta di indossare una specie di vestaglia trasparente ricoperta di fiori da cui s’intravede generosamente). Nonostante qualche buon momento di allegra follia trash (la suora che si mette in testa un imbuto, un’altra che getta il proprio cuore sanguinolento nel fuoco) il ritmo è fiacco, la narrazione si mostra talmente altalenante che risulta quasi impossibile arrivare al finale senza che la noia ci abbia definitivamente sopraffatto. 

venerdì 14 febbraio 2025

LA TOMBA

(The Tomb, 1986) 

Regia Fred Olen Ray 

Cast Cameron Mitchell, John Carradine, Michelle Bauer 

Parla di “profanatore di tombe risveglia divinità egizia vampira che gli infila uno scarabeo nel cuore mentre il regista infila qualcos’altro agli spettatori” 

Uno dei primi film del chilometrico (filmograficamente parlando) Fred Olen Ray, regista, attore, produttore e lottatore professionista, ispirato molto alla lontana al celebre romanzo “Il gioiello delle sette stelle” (da non confondere con La croce dalle sette pietre, eh!) di Bram Stoker. Da molti considerata la sua miglior produzione, il che la dice lunga sulla qualità delle sue opere che purtroppo conosciamo benissimo e, nonostante tutto, non ne abbiamo mai abbastanza. Il cinema di Ray, infatti, è uno di quei guilty pleasure che fa partire l’entusiasmo dal titolo, alza l’asticella quando vedi il poster, godi come un riccio con il trailer e…tutto si sgonfia durante la proiezione del film, che puntualmente, si rivela una poracciata inimmaginabile. 

Regola questa a cui aderisce anche questo “The Tomb”, filmetto insulso, noioso e privo di emozioni. Inizia con un inseguimento aereo/automobile che sembra voler richiamare “Intrigo Internazionale” di Alfred Hitchcock, ma poi spunta Sybil Danning con il viso opportunamente mascherato con un paio di occhialoni da sole che incontra il profanatore di tombe Banning (David Pearson) in quella che sembra essere un’intro alla Indiana Jones con assurda sparatoria. Di seguito il tombarolo e il suo socio si fanno convincere da un vecchio egiziano a entrare nella tomba di Nefratis (interpretata da Michelle Bauer, vera icona del B movie anni ottanta che si divideva equamente tra i peggiori registi in circolazione come appunto Fred Olen Ray o David DeCoteau), una specie di divinità vampiro sepolta viva in circostanze misteriose. Come da copione troveranno l’egizia viva e vegeta con una faccia da zombie e canini allungati. Stranamente però non vedremo mai Nefratis mordere qualcuno per succhiargli il sangue, a Banning gli infila uno scarabeo nel cuore per sottometterlo al suo controllo, al povero Cameron Mitchell gli scaricherà una serie di fulmini fuoriusciti dalla mano (nel finale invece la donna sparerà una serie di raggi laser manco fosse il Millennium Falcon) mentre un’ignara ragazza abbordata in un bar, verrà spinta in un letto pieno di serpenti. 

Pasticciato e confusionario, pieno di dialoghi noiosi, The Tomb alletta nei titoli di testa mettendo in rilievo un cast che sembra di prim’ordine dove, oltre alla Danning e a Mitchell, compare anche John Carradine con un’apparizione talmente effimera da rasentare il ridicolo. Inoltre per essere un horror manca completamente il sangue e le scene Gore ma soprattutto le scene di nudo che hanno fatto la fortuna (si fa per dire) del regista americano. Qui, a parte una piccola sequenza dove un’attrice si toglie la maglietta, sembra di essere alle prese con un film per educande. Se non altro possiamo ammirare, anche se per pochissimo, la grande Kitten Natividad (musa e attrice simbolo del cinema di Russ Meyer) nel cameo in cui (s)veste i panni di una spogliarellista immersa in un tripudio di musica synth-pop anni ’80 con cui il regista ammorba praticamente tutta la colonna sonora del film. 

venerdì 7 febbraio 2025

DEATH WARRIOR

(Ölüm Savasçisi, 1984) 

Regia Cüneyt Arkin 

Cast Cüneyt Arkin, Osman Betin, Funda Firat 

Parla di “superpoliziotto spaccatutto con fisico da pensionato, sgomina banda di ninja aggregati alla mafia italiana, che appaiono alla cazzo con scimitarre di cartone” 

Cüneyt Arkin, che i più strenui seguaci del cinema di serie Z, idolatrano come se fosse il loro messia, produce e dirige (e naturalmente anche interprete assoluto) questo assurdo filmaccio in cui la Turchia diventa Hong Kong e il poliziotto Murat una sorta di superguerriero invincibile incaricato di sgominare una banda di ninja mafiosi in Italia (meno male che ci sono gli ottomani a salvarci!). Il fisico di Cüneyt sembra più quello di un pensionato ultrasettantenne in vacanza, mentre si sbraccia sul bel corpicino in costume della biondissima fidanzata, ovviamente preoccupatissima delle sorti del suo uomo. 

Nel frattempo assistiamo agli allenamenti di questa specie di scuola di karate in cui un cattivissimo vagamente somigliante a Chuck Norris mena fendenti a destra e a manca arrivando addirittura a sgozzare uno con una carta da gioco lanciata di piatto. Le scene di kung Fu sono debitamente accellerate rendendo le sequenze piuttosto simili alle comiche anni ’30, tra urlacci a profusione messi alla rinfusa, musiche rubate senza pietà dalla colonna sonora di 1997: Fuga da New York e zompi acrobatici in cui non si fatica a vedere l’elasticone che fa sobbalzare le comparse. Poi ci sono i ninja, che ovviamente non usano la Katana ma una bellissima scimitarra turca rigorosamente di cartone pressato mentre scompaiono e riappaiono da tutte le parti con esplosioni di fumo che il sonorizzatore del film cerca di spacciarci per esplosioni atomiche. Tutto questo in appena un’oretta e 10 minuti di assoluta confusione, che già recuperare certi film in buono stato è un’impresa (di cui ringraziamo il grande sito Cinema Zoo per il fantastico lavoro di ricerca e sottotitolatura), se poi consideriamo che il film è stato girato con gli avanzi del girato di un precedente action di Cüneyt, intitolato Son Savasci (1982), allora potete ben capire quanto poco coerente sarà la narrazione. 

Infatti, soprattutto nel finale, non si capisce niente ma vale la pena di arrivare fino in fondo, se non altro per godersi l’assoluta unicità dello scontro tra il cattivissimo e Cüneyt. Quest’ultimo, tra una manata e un calcione accellerato, dà fuoco al nemico ma questi, in un maldestro tentativo di copiare anche Terminator, si solleva dalle fiamme per continuare a combattere, peccato che al suo posto, gli effettisti (a tempo perso anche agricoltori immagino) utilizzino una specie di spaventapasseri tirato coi fili e con il quale tentano, senza riuscirci, di concludere con un epico scontro, questo scherzo su pellicola. La lotta tra Cüneyt e il manichino è qualcosa di epocale, non potete dire di aver vissuto pienamente se non dopo aver visto tutto questo!