giovedì 4 luglio 2024

DIARIO PROIBITO DI UN COLLEGIO FEMMINILE (Horror Hospital, 1973)


Regia Antony Balch 

Cast Michael Gough, Robin Askwith, Vanessa Shaw 

Parla di “nonostante il titolo, non si parla di sesso ma di un mad doctor che riduce in schiavitù giovani capelloni e affetta teste con machete attaccato all’auto” 

Già me li immagino i bavosi pipparoli italiani attratti in massa da un titolo che evoca libidinosi incontri saffici, addensati in un cinemino di provincia col patello in mano, sconvolti dalla delusione dopo i primi minuti del film. Non assisteranno infatti alle pratiche erotiche di dolci teenager in calore, in compenso si godono quel mascellone diabolico di Michael Gough che insegue sulla sua limousine attrezzata con machete attaccato ad una portiera (a guisa di biga romana) due ragazze bendate e intrise di sangue. Sfrecciando accanto, l’auto stacca di netto la testa alle due poverelle, che vengono raccolte in un cestino attaccato anch’esso al veicolo (full optional!!!!). Insomma a stò giro i distributori italiani hanno ordito una colossale truffa al pubblico nazionale, trasformando questo horror inglese, condito da robuste dosi di humor e soprattutto di trash, in una sorta di porcellonaggine falsata. 

Titolato in originale più appropriatamente come “Horror Hospital”, il film di Antony Balch è una stranezza cinematografica che non lascia indifferenti, soprattutto gli amanti del weirdo, perché qui c’è ne in abbondanza. Si parte con un esibizione rock a metà tra The Rocky Horror Picture Show e Il fantasma del palcoscenico, con un tipo vestito da donna che fa il morto. Tra il pubblico il sosia di Mick Jagger, Jason (Robin Askwith), autore del brano, si lamenta per come viene trattata la sua musica, ma il lamento giunge alle orecchie del morto sul palco che risorge e lo prende a pugni. Stressato da questa vicenda Jason decide di prendersi una vacanza e si affida all’agenzia Hairy Holidays (vacanze per capelloni!) gestita da un viscido ometto (Dennis Price) che lo invia ad una magione gestita dal dottor Storm, sul treno incontra Judy (Vanessa Shaw) che si reca anch’essa alla clinica per raggiungere sua zia. 

Dopo una serie di dialoghi assurdi i due raggiungono una stazione ferroviaria deserta in cui l’unica presenza umana è un capotreno dagli occhi spiritati che chiede il biglietto due ore dopo che sono scesi dal treno. Raggiunta la clinica la coppia non tarda a scoprire le stranezze del luogo, anzi gliele si sbatte in faccia subito senza preamboli. Una vecchia ipertruccata (la zia di Judy interpretata da Hellen Pollock), un nano bistrattato, un gruppo di guardie del corpo vestite come motociclisti ed il volto perennemente nascosto nel casco, una serie di giovani pazienti lobotomizzati e, dulcis in fundo, l’uomo merda, ovvero uno strano mostro che sembra proprio ricoperto di una bella spalmata di cacca marroncino chiaro. Sfuggito alle maglie del comunismo sovietico ed accanito sostenitore delle teorie pavloniane (come ci viene gentilmente spiegato in un inutile flashback dove non si vede un cazzo), il dottor Storm (interpretato da un Gough decisamente mefistofelico) si diverte a trasformare giovanotti e signorine in zombie obbedienti ai suoi voleri che, scopriremo sul finale, sono puramente sessuali. 

Decisamente ilare la scena degli schiavi che fanno palestra, ridicoli i corpo a corpo tra Jason, Abraham (il fidanzato di una vittima venuto a cercarla) e i motociclisti, che vengono comicamente lanciati giù dalle balaustre come se fossero stracci vecchi. Non manca anche un bel pantano ribollente di sabbie mobili miste ad acido che ingoieranno i cattivi nel finale. Tra l’altro il film si chiude con una scena enigmatica (che non vi rivelo) che sinceramente non avrà compreso neanche il regista. Scorrevole, adorabilmente camp e assurdo nel suo insieme Horror Hospital è comunque un film che si lascia guardare a occhi e bocca aperti dallo stupore, probabilmente gli spettatori italiani, visto il titolo, si aspettavano di guardarlo anche a patta aperta, pazienza! 

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