venerdì 11 dicembre 2020

FRANKENSTEIN 80

(1972)

Regia: Mario Mancini

Cast: John Richardson, Gordon Mitchell, Dalida di Lazzaro

Genere: Horror, Fantascienza

Parla di “dottore pazzo crea mostro a botte di trapianti ma questi si rivela una specie di maniaco sessuale”

Il mito di Frankenstein e della sua leggendaria creatura è una di quelle storie che il cinema ripropone pedissequamente per ogni decade a partire dal capolavoro di James Whale del 1931 (anche se tutti sappiamo che la prima pellicola sul celebre mostro è il cortometraggio del 1910 diretto da J. Searle Dawley). Tra tutti gli adattamenti del romanzo di Mary Wollstonecraft  Shelley non potevano mancare anche le versioni all’italiana che, a differenza del cinema d’oltreoceano, sono costituite unicamente da B Movie di estrema povertà tra cui qualche episodio riuscito come il decoroso Lady Frankenstein, coproduzione italo americana che godeva della splendida presenza di Rosalba Neri, ed episodi decisamente disastrosi come questo Frankenstein 80 di Mario Mancini, operatore di ripresa in Operazione Paura e 6 donne per l’assassino di  Mario Bava e direttore della fotografia di alcuni titoli tra cui Terror! Il Castello delle donne maledette. 

Nonostante il titolo, il film è girato otto anni prima richiamando in qualche modo il Frankenstein ’70  girato a sua volta 12 anni prima della data apposta nel titolo. Insomma un gran miscuglio di date e una trama pasticciatissima che sfrutta, a livello fantascientifico, i progressi della medicina di quegli anni e in particolare i primi fruttuosi interventi di trapianto del cuore operati dal Dottor Barnard. In questo frangente si narra addirittura di un miracoloso siero che permette di eliminare i problemi di rigetto degli organi trapiantati. Il siero però viene rubato dal dottor Otto Frankenstein (interpretato da un sempre più allucinato Gordon Mitchell dotato di baffoni dorati) per il suo esperimento, ovvero la costruzione di un essere umano composto di organi riciclati in giro un po' qua e un po' là. Il risultato è una specie di omone chiamato appropriatamente Mosaico (interpretato dall’ex pugile Ciro Papa con lo pseudonimo grecheggiante Xiro Papas) dalle sopracciglia congiunte, completamente ricoperto di rivoltanti cicatrici e dotato di una spiccata tendenza all’omicidio, soprattutto ai danni di giovani donne che passeggiano solitarie. Ad indagare ci pensa l’aitante giornalista Karl (John Richardson) che vuole vendicare la morte della sorella che non ha potuto effettuare il trapianto a causa del furto del siero. 


Il giornalista passa le serate a cercare il dottor Otto che non è mai in casa e intanto ne approfitta per circuire l’avvenente figlia (interpretata da un’esordiente Dalida di Lazzaro). Mosaico zoppica, fa versacci strani e riesce persino ad andare con una prostituta che evidentemente non si era accorta delle sue cicatrici (per quanto la faccia era comunque un buon avvertimento) salvo poi scoprire l’orrore del suo corpo nudo solo quando è troppo tardi. La sceneggiatura abbozza troppe situazioni che vengono puntualmente disattese, la presenza del siero diventa così un pretesto iniziale che scompare quasi subito così come scompare velocemente dalle scene anche la sorella di Karl. I personaggi poi sono i classici stilemi del cinema popolare italiano come il detective impegnato nella sua lotta contro il sigaro che non deve accendere fino alla conclusione delle indagini.  Considerata poi la sorprendente presenza di Carlo Rambaldi agli effetti speciali ci si aspettava qualche mostruosità almeno nel finale e invece anche il make-up si riduce a qualche brutta cicatrice incollata sulla pancia del mostro e a qualche fegato spappolato tra le mani  del chirurgo. Insomma considerato che quello italiano del 1920 a opera di Eugenio Testa (Il mostro di Frankenstein) è stato il terzo adattamento cinematografico del romanzo della Shelley, ci aspettavamo maggior considerazione da parte di Mancini riguardo alla storia del moderno Prometeo.

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