venerdì 31 gennaio 2025

NECROMANIA – A TALE OF WEIRD LOVE! (1971)

Regia Edward D. Wood Jr. 

Cast Rene Bond, Maria Aronoff, Ric Lutze 

Parla di “coppia in crisi si reca in casa stregata affinchè la magia faccia il miracolo ma il film scompare e il cast decide di rimanere anonimo” 

Quando un film si presenta già dai titoli con la frase  “Our cast wish to remain anonymous” la dice tutta sulla qualità dei suoi contenuti, se poi a girarlo è il famigerato Edward D. Wood Jr. pure lui sotto falso nome (Don Miller) allora siamo sicuri che quanto stiamo per vedere sia una vera manna per gli amanti del genere weird. In realtà il film non è altri che un pornazzo decisamente soft (non ci sono penetrazioni), antico reperto di un’epoca d’oro per le sale a luci rosse che stava muovendo i primi timidi passi nel mondo del cinema. 

Una giovane coppia con problemi sessuali si reca in una vecchia magione dove pare facciano miracoli con il sesso, in realtà il luogo presenta strani simbolismi esoterici, bare e teschi di peltro che una mistresse piuttosto vogliosa si passa sui capezzoli. Lasciati in una stanza i due ci riprovano ma senza successo, le scene hard si limitano a ampie slinguazzate sui corpi pelosi dei due attori ma, in effetti, il membro maschile, nonostante le stimolazioni tarda ad erigersi, e non è il solo, anche un altro ospite, decisamente ossessionato dal sesso, non mostra segni di indurimento. Chissà forse una scelta registica per evitare la censura estrema che per l’epoca doveva essere piuttosto pesante. In ogni caso la ragazza, delusa dal fidanzato (si spacciano per sposati ma si scopre che non lo sono…brrrr!) si consola con amori saffici offerti da una delle intrattenitrici del posto mentre la mistress tenta invano di far rinvigorire il maschio. 

Portati al cospetto della padrona di casa, Madame Heles, trovano una bara chiusa da cui esce la donna per il verdetto finale, la ragazza (si è laureata!) può andarsene mentre lui deve fare ripetizioni, ed infatti lo ficcano nella bara con la donna affinchè impari qualcosa di più sul sesso. Wood non manca nei dialoghi iniziali di citare il suo amato Bela Lugosi, gira con un budget di appena 7000 dollari su un soggetto scritto da lui stesso (The Only House). Considerata una pellicola perduta per anni, fu casualmente ritrovata e rieditata verso la fine degli anni ottanta dalla Something Weird (che Dio li benedica!). In realtà il film è ben poca cosa, come si può ben immaginare, gli attori sono inguardabili (sia nudi che vestiti), la storia è abbastanza idiota e la durata di appena 50 minuti non lo elegge manco a lungometraggio. Rimane comunque un titolo indispensabile per i completisti del tanto vituperato “peggior regista del mondo”. 

venerdì 17 gennaio 2025

LADRI DI CADAVERI

(Ladron de Cadaveres, 1957) 

Regia Fernando Méndez 

Cast Wolf Ruvinskis, Crox Alvarado, Columba Domínguez 

Parla di “scienziato pazzo mescola lottatori di Wrestling e scimmioni per creare super razza ma genera soltanto un filmaccio super trash!” 

Sappiamo tutti che la Lucha Libra è lo sport più apprezzato in Messico, lo dimostrano centinaia di film realizzati nel dopoguerra, dove la commistione di generi prevedeva quasi sempre un incontro sul ring tra due luchadores mascherati, all’interno di una trama spesso e volentieri dai connotati horror. Un po come se da noi avessero mescolato calciatori e vampiri o partite di calcio giocate nei cimiteri tra zombi. Strano a dirsi, noi non siamo mai arrivati a questi livelli mentre i messicani, invece, ci sguazzavano sul serio come dimostra quest’ennesimo filmaccio diretto da Fernando Méndez. 

In realtà Ladron de Cadaveres non è neanche il peggiore della categoria, come dimostra il fatto che fu distribuito e doppiato anche in Italia. La trama, quella certo, è scombiccherata, con elementi scientifici ridotti a teorie bislacche buone per un pubblico da terza elementare. Abbiamo l’ennesimo scienziato pazzo che, con l’aiuto di un complice piuttosto inquietante, scava nei cimiteri per rubare i cadaveri di lottatori di wrestling per un non ben definito esperimento. I corpi vengono operati al cervello e poi messi sotto una specie di macchina per il transfer cerebrale su un povero scimpanze ma l’esperimento fallisce. Nel frattempo lo scienziato si traveste da vecchietto che vende biglietti della lotteria all’interno di una palestra di lucha libre dove ordisce i rapimenti dei lottatori più in salute. Dalle campagne giunge il buon Guglielmo Santana (Wolf Ruvinskis) un sempliciotto che invita la segretaria a cena e finge di essersi fatto rubare il portafoglio per non dover pagare. Il suo amico Carlos (Crox Alvarado) che è anche capitano della polizia, lo convince a fare da esca travestendolo dal lottatore mascherato “il vampiro” e facendogli vincere una serie di incontri truccati. Con una serie di diabolici stratagemmi (da non crederci, chi ha scritto stà roba è un genio!), Guglielmo viene ucciso con un veleno scambiato dallo scienziato pazzo con un disinfettante che il medico della palestra usa per curare la ferita al braccio procurata a Guglielmo da un complice del mad doctor nella doccia. Il lottatore muore improvvisamente durante un incontro e il suo cadavere viene rubato dall’obitorio. Stavolta l’esperimento riesce e Guglielmone diventa una sorta di zombie fortissimo agli ordini dello scienziato, il quale, dopo questo successo, sogna di creare una razza di uomini perfettissimi e se la ride da matti (“adesso sono anch’io un creatore! Aahahaha!”). 

Peccato che il nuovo schiavo, vestito anch’esso da lottatore di wrestling, esageri con salti, saltelli e mosse di lotta e scaraventa letteralmente il suo sfidante in platea come se fosse una marionetta (che in effetti nella realtà è visibilmente un pupazzo a grandezza d’uomo). Togliendosi la maschera, poi, rivela le sue orrende fattezze che scatenano il panico generale nell’Arena. All’inizio Guglielmo sfodera solo un paio di zannacce ma poi, gradualmente, si riempie di pelazzi e finisce, come King Kong, a rapire la sua bella segretaria (che nel frattempo si era distrutta dal dolore per la perdita del suo amato con cui, se va bene, era uscita un paio di volte!) e finire miseramente la sua carriera di mostro precipitando da un palazzone. Le atmosfere non sono malvagie, i combattimenti tra lottatori sono avvincenti e la narrazione è oltremodo scorrevole, peccato che tutto l’impianto sia semplicemente demenziale e sfocia, nel catastrofico finale, in un’orgia di trash come solo il cinema messicano di genere riesce a regalarci ogni volta. 

venerdì 10 gennaio 2025

TURKISH I SPIT ON YOUR GRAVE

(Intikam Kadini 1979) 

Regia Naki Yurter 

Cast Zerrin Dogan, Cesur Barut, Recep Filiz 

Parla di “giovane e bella contadinotta violentata da quattro agenti immobiliari diventa seduttrice che pianifica la sua mortale vendetta”  

Raschiando nel fondo del barile delle produzioni turche degli anni settanta si trova anche un remake non autorizzato del cult di Meir Zarchi, uno dei maggiori esponenti del genere Rape & Revenge. Se da un lato può sorprendere l’allegra baldanza della Birlik film che ne finanziò la lavorazione, dall’altro appariva palese come questa fosse l’occasion
e giusta per spingere l’accelleratore verso il softcore, con ampia esposizione di corpi femminili nudi e scene di sesso (mal) simulato. Se l’originale “I spit on your grave” calcava la mano, infatti, verso la violenza sia nell’atto dello stupro che nelle sue crudeli conseguenze (evirazioni, maciullamenti con eliche di motoscafo, ecc.) qui sangue e ammazzamenti sono decisamente edulcorati mentre invece Intikam Kadini si mostra generoso con il sesso e la carnazza. 

Su una strada di campagna, quattro agenti immobiliari rimangono senza benzina e decidono di passare la notte in una piccola fattoria abitata dalla giovane contadinotta Aysel (Zerrin Dogan) e dal suo vecchio padre. Il mattino dopo, mentre la ragazza sta lavorando nel fienile, uno degli ospiti le salta addosso, la picchia e la violenta, lo raggiunge il collega Osman (Cesur Barut) che gli da il cambio. Gli altri due immobiliaristi, svegliatisi senza trovare traccia degli amici, ammazzano di botte il vecchio padre (così senza motivo) salvo poi accodarsi anche loro allo stupro di gruppo. La povera Aysel, resasi conto di quanto accaduto, decide prima di suicidarsi e qui il regista Naki Yurter si diverte un mondo a mandare avanti e indietro lo zoom della macchina da presa in una sequenza a dir poco psicotica. Ritroviamo Aysel poco dopo, trasformata in una sciantosa seduttrice pronta alla vendetta, ma non prima che Osman ci regali una piccola scena di sesso con la sua segretaria. Il poveretto incontra in un bar Aysel ma non la riconosce (tutti gli stupratori comunque dichiarano di averla già vista da qualche parte), peggio per lui, perché una volta giunti in camporella, Aysel lo travolge con l’auto facendolo cadere sugli scogli. Tocca poi al collega ciccione e deficiente, che viene sgozzato in barca. Il terzo, sinceramente, non si capisce bene cosa gli accade, perché ad un certo punto lo troviamo annegato in piscina con una bottiglia che gli galleggia a fianco. 

Con l’ultimo stupratore (che poi è stato il primo a violentarla) le cose vanno un po’ più per le lunghe perché la vendetta è un piatto che si consuma freddo. E infatti Aysel si concede con lui una lunga ed estenuante (almeno per lo spettatore) scena di sesso sugli scogli dove possiamo ammirare le forme giunoniche della bella Zerrin in tutto il suo splendore mediterraneo. Il finale lascia decisamente a desiderare quando Aysel si rivela al suo carnefice mettendosi semplicemente un fazzoletto in testa e pigliandolo a forconate nella pancia. Il poveretto, morente, si pente del male che ha fatto alla povera Aysel dicendogli semplicemente “Hai fatto bene!” prima di schiattare in mezzo alla paglia. Pur nella sua grettezza il film ha almeno il pregio di durare un’oretta scarsa in cui è impossibile annoiarsi (se non per le ridicole scene di sesso). Attenzione alle musiche, che passano dal latino americano alla dance elettronica primordiale, alcuni brani sono palesemente copiati (com’è noto nel cinema turco) ma sinceramente non saprei dire dove.   


venerdì 3 gennaio 2025

IL GIGANTE DELL’ HIMALAYA

(The Mighty Peking Man, Goliathon; 猩猩王, Gorilla King, 1977) 

Regia Ho Meng-hua 

Cast Danny Lee, Evelyne Kraft, Ku Feng 

Parla di “gorillone orientale segue bella bionda a Hong Kong ma finisce in catene e giustamente si incazza” 

Nello stesso anno in cui in Italia si produceva Yeti il gigante del XX Secolo, a Hong Kong usciva la versione orientale del King Kong di John Guillermin, il cui successo aveva riattivato l’interesse generale per il gigantesco scimmione spaccatutto. Rispetto agli altri due titoli già citati, qui non è ben chiaro a quale famiglia di mostri appartenga The Mighty Peking Man, il corpo peloso è sicuramente quello di una scimmia ma il volto (o meglio la maschera) ha dei tratti umani, vagamente orientali. Quello che invece appare certo è che il film è un esplosione di trash senza pari, con picchi cruenti e momenti da imbarazzo totale. 

Nelle prime sequenze un gruppo di scienziati si accorge che una scossa di terremoto ha provocato la rottura di una montagna in zona Himalaya risvegliando una gigantesca creatura che fa strage dei villaggi vicini, schiacciando uomini a più non posso con i suoi orrendi piedoni che ostentano orgogliosi le cuciture del costume. Un gruppo di spietati affaristi organizza la spedizione per catturare l’essere mettendovi a capo un povero derelitto di nome Johnny che sembra non aver più niente da perdere (scopriremo infatti che ha beccato la fidanzata a letto col fratello). Nella foresta gli esploratori vengono decimati da tigri staccabraccia, sabbie mobili e dirupi pericolosi, come se non bastasse il perfido manager che accompagna Johnny, ha pure la brutta abitudine di abbattere i portantini che vengono feriti dalle belve. Fatto sta che Johnny si perde nella giungla ma viene salvato da Samantha, una supergnocca biondissima che si atteggia a tarzan, mostrandoci spesso e volentieri normalissime mutandine sotto gli stracci di pelle che indossa e la punta del capezzolo birichina che attira sempre qualche spettatore in più. 

Sopravvissuta da bambina ad un incidente aereo (classica motivazione per la nascita di tutte le tarzanidi femminili, da Gungala a Tarzana a seguire), Samantha è cresciuta nella foresta grazie alle amorevoli cure del mostruoso Utam a cui obbedisce come un cagnolino. Non a caso quando un cobra la morde nelle cosce (e dove se no?) il gigante arriva con mezza foresta di foglie medicamentose mentre Johnny si trastulla a succhiargli godurioso il veleno dalla coscia. Segue una sequela di scene pseudo romantiche dove Johnny e Samantha amoreggiano in compagnia di un leopardo che viene trattato peggio del gattino di casa, poi Johnny decide che è ora di portare Utam nella città e contatta i suoi. Sulla nave però Utam viene legato a catenazze ma nonostante questo salva la nave da un pericoloso naufragio. Arrivati a Hong Kong la produzione, probabilmente per incentivare la distribuzione all’estero inizia a piazzarci un po’ di attori occidentali, compreso il bastardissimo capo della polizia. 

Samantha scopre che Johnny ci ha riprovato con la ex fugge, Utam stanco di giocare con modellini di ruspe, si libera e comincia a spaccare tutto, si piglia una marea di proiettili, Samantha idem e tutti quanti salgono su una torre dove vengono fatti esplodere dei serbatoi distruggendo definitivamente il povero mostro che, a parte qualche marmellata di passante e qualche treno distrutto, non faceva nulla di male. Il film non è fatto per niente male, gli effetti, per l’epoca sono buoni, ma l’intreccio di situazioni è portato a livelli talmente estremi che si fatica a non rotolarsi dalla sedia per il gran ridere. Il pregio di tutta l’operazione è comunque quello di eludere ogni forma di consolazione o di buonismo, mostrando senza mezzi termini quanto sia bastarda la razza degli uomini.