venerdì 24 maggio 2019

THE NAIL GUN MASSACRE

(1985)
Regia Bill Leslie e Terry Lofton
Cast Rocky Patterson, Ron Queen, Beau Leland

E’ sicuramente apprezzabile, per gli amanti dello slasher, che qualcuno cerchi nuove idee su come trasformare attrezzi da lavoro o elettrodomestici in micidiali armi con le quali lo psicopatico di turno può sfogare le sue turpi passioni su vittime più o meno ignare. Certo sarebbe d’uopo richiedere un minimo di credibilità nell’uso dell’arma stessa. Non è che se prendo in mano uno sbattiuova e cerco di uccidere una donzella a cucchiaiate posso poi pretendere che la gente non rida quando va a vedere il film. Di sicuro è stato questo l’effetto ottenuto dalla sparachiodi assassina ideata da Bill Leslie e Terry Lofton, sfigata coppia di registi alle prime armi (uno sceneggiatore e l’altro direttore della fotografia) che, armati di quattro dollari a testa si sono lanciati nel genere, con effetti disastrosi.

Siamo dalle parti del genere Rape & Revenge dove una giovane violentata da un gruppo di operai edili, viene vendicata da un misterioso quanto ridicolo figuro, vestito in mimetica color caki, con un casco da motociclista tutto rattoppato dal nastro adesivo ed una sparachiodi che sembra un Uzi, dotata di bomboletta compressore sulle spalle. Ma al nostro serial killer non basta presentarsi in maniera così ridicola, ci regala anche una voce amplificata non si sa da cosa e delle risate sguaiate che sembrano state filtrate da un fonico in crisi d’astinenza. L’assassino guida poi un carro funebre coloro Mango e, come se non bastasse, è dotato di una mira terrificante. Le vittime infatti vengono colpite un po alla cazzo, ma sicuramente non in parti vitali eppure muoiono tutte immediatamente (uno addirittura dopo essere stato ferito al braccio) al che è lecito sospettare che gli infernali chiodi contengano un veleno misterioso, ma durante il film non si fa spiegazione del mistero se non per il fatto che le vittime muoiano dissanguate. 

All’improbabilità della vicenda si aggiunge l’inesistenza di una pressoché minima indagine poliziesca, rappresentata verso la fine da un’interminabile telefonata tra il medico del villaggio e un primario dell’ospedale della contea (il film è ambientato in Texas).  Parlare di fotografia sarebbe un azzardo, i dialoghi sembrano realizzati in stato di ipnosi (ma probabilmente è solo droga) e la recitazione sarebbe più convincente se a interpretare il cast ci fosse l’intero canile municipale. Dulcis in fundo la musica di accompagnamento è tutta realizzata con un pianoforte stonato che ogni tanto svicola fuori dalle sette note. Fortunatamente la carriera di Lofton&Leslie terminò dopo questo capolavoro di insensatezza cinematografica il cui insuccesso, per l’appunto, li convinse ad appendere la telecamera al chiodo.  

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