mercoledì 22 marzo 2023

LA CASA 4: WITCHCRAFT

(1988) 

Regia Fabrizio Laurenti 

Cast David Hasselhoff, Catherine Hickland, Linda Blair 

Parla di “gruppo di personaggi improbabili si ritrova in albergo abbandonato su isola deserta in compagnia di vecchia strega piuttosto incazzata” 

Solo in Italia si riuscivano a realizzare i seguiti apocrifi di un film di successo come “Evil Dead” a profusione e, nel caso specifico, buttare dentro al cast un’improbabile accoppiata come il mascellone televisivo David Hasselhoff e la bambina posseduta de “L’Esorcista”, Linda Blair. Un progetto nato sull’onda del successo del precedente terzo capitolo (che è poi il primo di una serie sulla Casa scollegato dalla saga di Raimi) diretto da Umberto Lenzi e prodotto dalla Filmirage di Joe D’amato che, nonostante la povertà dei mezzi, riuscì comunque a fare un horror dignitoso (con tanto di pagliaccetto inquietante). Nel numero quattro il produttore è lo stesso ma il regista, che all’origine doveva essere Luigi Cozzi, venne sostituito dall’esordiente Fabrizio Laurenti. 

Il risultato di questa scelta si sente, soprattutto nella scrittura che risulta piatta e noiosa per almeno i sessanta minuti iniziali dove praticamente non succede nulla. Nell’ultima mezz’ora si scatena il finimondo ma sono pochi i momenti azzeccati mentre il resto sconfina purtroppo nel solito trash all’italiana ovvero esagerato, rozzo e francamente imbarazzante. Sottotitolato Witchcraft, il film ottenne un buon successo a livello estero e, stranamente, ottenne buoni incassi anche in Italia, merito forse degli attori di richiamo o di quel mix assurdo di elementi horror che passa da “Shining” fino a “Suspiria”, insomma un calderone pasticciato che aveva il suo perché. Nell’incipit dei titoli di testa c’è questa ragazza incinta col vestaglione inseguita da un gruppo di contadini armati di forcone, la donna entra in una grande casa per poi schiantarsi da una finestra. 

L’ambientazione è un vecchio albergo in disfacimento, su un’isola al largo del Massachussets dove troviamo questa coppietta di occupanti abusivi composta da Gary (David Hasselhoff) e Linda (Catherine Hickland) intenti a frugare nel ciarpame in attesa di vedere sulla costa la luce della strega che è poi la donna incinta di prima.  Nel frattempo approdano una coppia di vecchi affaristi che hanno acquistato l’albergo in compagnia di un’avvenente architetta che sembra più interessata al sesso che alle intercapedini, oltre ad un agente immobiliare talmente viscido e inetto che sembra lasciare scie di bava mentre cammina. Insomma, a parte qualche assurdo flashback dove c’è una tizia a cui viene cucita la bocca, non succede nulla. C’è questa vecchia vestita di nero che guarda alla finestra (interpretata dalla bravissima Hildegard Knef che avevo adorato ne La Nebbia degli Orrori) e il solito bambinetto scemo che gioca con una specie di registratore giocattolo in attesa che al pubblico venga propinata la solita voce satanica (stavolta in tedesco) uscita chissà da dove. 

Poi, senza alcun senso logico, architetta e agente immobiliare fanno sesso ma si ritrovano in un tunnel luminoso pieno di sbarre ricurve. Lei finisce impalata su un pesce spada imbalsamato (sic!) e lui crocefisso a testa in giù e arso vivo. Da qui in poi il film snocciola due scene interessanti, ovvero la morte di uno per esplosione delle vene e lo stupro onirico di Linda da parte di un assurdo personaggio con una specie di poltiglia bavosa sulla bocca. Nelle ultime scene Linda Blair (che era la sorella incinta del bambinetto) appare truccata da indemoniata con i capelli sparati verso l’alto e un trucco gothic sul viso contornato da un fintissimo sorriso satanico. Il tutto si conclude degnamente con l’espressione terrorizzata di Linda dopo aver scoperto di essere incinta. Un fermo immagine che riassume perfettamente lo spettatore all’uscita della sala. Laurenti ci delizierà successivamente con un’altra perla, ovvero le radici assassine di Contamination.7 ribattezzato senza alcun nesso 

giovedì 16 marzo 2023

FUGA DAL CARCERE FEMMINILE

(Bad Girl Dormitory, 1987) 

Regia Tim Kincaid 

Cast Donna Eskra, Teresa Farley, Rick Gianasi 

Parla di “carcere minorile attua un programma sperimentale ma siccome in questo film non si capisce un cazzo, noi non sapremo mai in cosa consiste…” 

Oggi parliamo del brutto cinematografico nella sua essenza più pura e da questo presupposto non può che scaturire un nome solo: Tim Kincaid, regista formatosi nell’ambiente gay porn con pseudonimi vari tipo Mac Larson o Joe Gage e approdato nella seconda metà degli anni ottanta al cinema di serie ultra-zeta di prevalenza horror fantascientifico per un breve periodo, salvo poi rientrare dalla porta di servizio nel mondo a luci rosse con l’avvento del nuovo millennio. Eppure nonostante i risultati pessimi delle sue produzioni il buon Kincaid mise a segno almeno un capolavoro, ricordato oggi come uno dei più brutti film mai realizzati al mondo, quel cult assoluto che rispondeva al nome di Robot Holocaust, una robaccia immonda ma divertentissima. Prima di arrivare a cotanta schifezza, Kincaid ci aveva già preannunciato di che pasta era fatto con le due opere precedenti, realizzate l’anno prima, ovvero l’horror Breeders e l’imbarazzante Bad Girl Dormitory uscito in videocassetta da noi con il titolo “Fuga dal carcere femminile”. 

In pratica Kincaid dirige con quest’ultimo una sorta di W.I.P. fuori tempo massimo ma realizzato con un’imperizia tecnica da far impallidire i cugini brasiliani, che su pessimi Woman in prison ci hanno costruito un impero, ma al cui confronto sembrano dei capolavori neorealisti. Gli antefatti ci mostrano una tizia appollaiata su un cornicione con un lenzuolo legato ai piedi, mentre non si sa da quale finestra, alcuni tizi la guardano con occhi sornioni. Dopo un tempo  che sembra eterno in cui la videocamera rimbalza da una faccia all’altra, finalmente la tizia si butta di sotto, schiantandosi contro il muro. Il film prosegue mostrandoci in modo piuttosto frettoloso gli arresti di un paio di ragazze, una che si spoglia ad un provino e un’altra a cui gli lasciano in mano il sacchetto della droga giusto un attimo prima che arrivi la polizia (insomma due geni!). Scopriamo poi la direttrice platinata e ipertruccata di un centro di riabilitazione per minorenni dove tutte le carcerate hanno invece gli anni di Noè, la quale vuole imbastire un non ben specificato programma sperimentale. 

In realtà tutto il resto del film lo passeremo a guardare le carcerate spogliarsi nelle docce, nei corridoi, nei sotterranei mentre flirtano con le guardie. Non manca l’infermiera lesbica ipertruccata ma stranamente, nel film non compaiono scene saffiche. In compenso Kincaid non lesina in scene di combattimenti, talmente ridicoli, lenti e montati approssimativamente che risulta difficile restare svegli durante la visione. L’unica scena forte è l’uccisione di una carcerata che viene strangolata con il fil di ferro fino a reciderle completamente il collo ma a parte questo la sceneggiatura è completamente pasticciata e il montaggio completamente privo di un filo logico. In particolare non si capisce quale sia il problema di questo carcere dove, a parte l’esterno che sembra un normale condominio ripreso da lontano, non si fa altro che ballare canzoni techno - pop anni ottanta (che peraltro plagiano i Depeche Mode) durante l’orario visite, trombare con i secondini nelle docce, fumare come ciminiere e snocciolare una profusione di improperi in mensa. Non c’è da stupirsi quindi che la protagonista, chiamata opportunatamente Rebel (Donna Eskra) dopo aver fatto fuori tutto il personale a fucilate, direttrice compresa, decida di rimanere nel carcere e diventare una sorta di boss della mala.  

mercoledì 8 marzo 2023

SEXUAL WITCHCRAFT

(1973) 

Regia Beau Buchanan 

Cast Levi Richards, Georgina Spelvin, Harding Harrison 

Parla di “Giovane arrapato torna in famiglia e scopre che i genitori si danno a riti satanici e festini sadomaso” 

Conosciuto anche come High Priestess of Sexual Witchcraft, questo hard degli anni settanta diretto da Beau Buchanan, si inserisce nel filone porn horror, lo stesso che ha sfornato capolavori come Hardgore, Thundercrack! e soprattutto The Devil in Miss Jones dal quale riprende la protagonista, la sexy star Georgina Spelvin, interprete di centinaia di film a luci rosse ma anche qualche filmaccio d’azione (per il mainstream fece una comparsata in Scuola di Polizia nella parte di una prostituta). Qui Georgina interpreta Evelyn, la madre del giovane Wayne (Levi Richards) in vacanza qualche giorno dai genitori con tutta l’intenzione di spassarsela. 

Lo vediamo fornicare al telefono con la sua ragazza e successivamente mettersi all’opera durante una festa con amici, al suo rientro a casa scopre che i genitori non stanno con le mani in mano, anzi si dedicano a pratiche sado maso dove ovviamente il padre subisce un trattamento da cane in calore mentre la mammina lo prende a frustate, il tutto si concluse con un onesto sessantanove, interrotto dall’ingresso del figlio, decisamente inopportuno. Ma le sorprese materne non finiscono qui, Wayne pedina in auto la madre fino ad un fatiscente palazzo dove assiste ad un vero e proprio rito esoterico, scoperto in flagrante, il giovane sarà costretto a partecipare all’iniziazione ma invero, non sarà poi così malaccio. E neanche il film, per essere un porno, è poi così male, la sceneggiatura, semplice e ben coordinata, si accorpa a sequenze di montaggio prese con la camera a mano per le vie di New York, la musica ossessiva traccia il solco per tutta l’esigua durata (62 minuti circa) e gli attori danno il meglio nelle performance hard che dal canto loro durano il giusto, senza eccessi e ripetizioni inutili. 

Il messaggio, neanche troppo velato, è un atto d’accusa nei confronti della bigotteria della classe borghese, capace di snocciolare frasi bibliche di giorno e scatenarsi nella peggiore perversione quando non vista. Buchanan, scomparso nel 2020, non ha un carnet registico molto affollato, solo 5 titoli tra cui il documentario Pornography in New York (non accreditato nei titoli) e la sexy commedia Happy Days uscita in contemporanea con la famosa serie televisiva ma seguendo ben altri canali distributivi.  

giovedì 2 marzo 2023

LE PORNO DETENUTE


(Presídio de Mulheres Violentadas, 1977) 

Regia Luiz Castellini e Antonio Polo Galante 

Cast Esmeralda Barros, Hugo Bidet, Shirley Steck 

Parla di “carcerate in camiciona e infradito che passano il tempo ad amoreggiare mentre ai vertici si trama alle loro spalle” 

Esmeralda Barros, sia a livello fisico che professionale, si potrebbe a tutti gli effetti considerare la Tura Satana brasiliana, purtroppo a livello di fama postuma (l’attrice è morta nel 2019 a 74 anni) non si può dire lo stesso, mancando nel suo curriculum un vero e proprio titolo di punta ma solo tanti B-Movie che spaziavano dall’horror al western, girati sia in Brasile che in Italia dove si trasferì nel 1966 fino 1977 quando, evidentemente delusa nelle sue aspettative sul bel paese, tornò raminga in Brasile per girare questo squallido W.I.P. diretto in tandem da due specialisti dell’erotico carioca come Luiz Castellini e Antonio Polo Galante.  Arricchito con l’aggiunta di scenette semi pornografiche visibilmente scollegate dal resto della pellicola, questo Presídio de Mulheres Violentadas narra le disavventure di due carcerate: Isidora (Eudósia Acuña) arrestata per spaccio nonostante sia incinta, e Maria (Shirley Steck) che si è fatta prendere a calci di pistola in faccia dal suo compare durante una rapina finita in omicidio. 

Le due vengono portate nel carcere di massima sicurezza detto “Il paradiso” dove la direttrice mette subito gli occhi su Maria e ordina alla prigioniera Nadir (Esmeralda Barros) di vegliare su di lei. Ovviamente Nadir prende in parola la direttrice e si assiste ad un improbabile rapporto saffico tra due controfigure fisicamente lontane mille miglia delle due protagoniste, il tutto mentre una terza detenuta assiste al rapporto scarrellando un bicchiere di latta sulle sbarre. Il resto del film prosegue su questo tono, snocciolando una congiura tra la sovrintendente e il medico del carcere interpretato da Hugo Bidet (un nome che è tutto un programma). Da segnalare tra le scene più imbarazzanti, quella in cui Maria e Nadir sono legate al palo, a gelare nel freddo notturno finchè Nadir si eccita e, non si sa come, sfila le catene e si butta su Maria, nonostante la temperatura sia sotto zero, le due si spogliano e amoreggiano. 

Nel film poi subentra anche un ispettore che sembra uscito da un poliziottesco di bassa lega, un politico disilluso, una carcerata psicopatica che scopre il piacere dell’omicidio e tante amenità del genere più o meno confuse. Il finale verte al massacro, indotto dalla ribellione delle carcerate che prendono a mazzate guardie e recluse senza distinzione, finchè ovviamente arriva la guardia nazionale a rimettere tutte in riga mentre il fotofinish finale le vede impegnate ad alzare la gamba destra per avviarsi verso il loro destino a passo d’oca. La cosa divertente di questi WIP (Women In Prison per chi si fosse collegato adesso) è che le detenute hanno sempre la stessa divisa, rigorosamente composta da una camiciona azzurra e infradito, praticamente un abbigliamento da post spiaggia caraibica. 

mercoledì 22 febbraio 2023

IL DIAVOLO ABITA NEL TEXAS

(Through the fire, 1988) 

Regia Gary Marcum 

Cast Tamara Hext, Tom Campitelli, Linda Tatum 

Parla di “coppietta male assortita indaga su sorella scomparsa e deve affrontare una creatura diabolica” 

La fine del periodo delle videocassette ha avuto anche dei risvolti positivi, se si accantona per un momento l’aspetto affettivo nei confronti della VHS e si passa alla visione di questo pessimo esempio di cinema indie americano anni ottanta, ci si rende conto che la caduta nell’oblio di certi nastri non è poi necessariamente un male. Unica prova registica di Gary Marcum (cineoperatore in perle underground come Interface e Night Vision), questo Through the Fire è un raffazzonatissimo thriller in salsa satanica che a livello di confezione, cast e make up, potrebbe anche risultare gradevole, ma crolla miseramente nel comparto effetti speciali e soprattutto in quello narrativo dove il pasticcio di sceneggiatura non perdona il povero spettatore, da una parte tramortendolo di noia, dall’altra stordendolo con situazioni al limite dell’imbarazzo. 

A voler trovare qualche motivo di interesse, possiamo segnalare la presenza dell’avvenente Tamara Hext nel ruolo della protagonista (Miss Texas 1984) che troviamo all’inizio in un bar mezza ubriaca a lanciare noccioline contro il barista che si rifiuta di servirla. Poi entra in scena quel bellimbusto di Tom Campitelli nel ruolo di un poliziotto inverosimilmente gentile che si offre di aiutarla, fuori dal lavoro, alla ricerca della sorella scomparsa misteriosamente. Nell’intreccio ci sono un po' di morti ammazzati da una creatura diabolica che non si vede mai, le morti sono ridicole e vengono letteralmente macellate da un montaggio frettoloso in cui non si aspetta manco che finisca una sequenza prima di passare a quella successiva. La presenza maligna si manifesta successivamente con l’ingresso di allucinanti effetti speciali creati con un commodore 64 che fa apparire una serie di fuochi fatui digitalizzati molto simili a grossi spermatozoi e cominciano a roteare sui protagonisti in un tripudio di luci fiammeggianti e ventilatori impazziti. Ma quando spuntano due diverse fazioni, una setta votata al male e un gruppo di combattenti virati al bene, la situazione dal punto di vista narrativo diventa sempre più incasinata. 

Si riesce a percepire, anche dall’altro lato dello schermo, la viva difficoltà di Marcum nel tenere in piedi quest’assurda baraonda, oltretutto penalizzata da una fotografia che nel diurno si presenta piatta e televisiva e nel notturno rifiuta persino di palesarsi lasciando lo schermo buio e attraversato da forme indefinite e indecifrabili all’occhio umano. Nel finale la protagonista verifica che il suo compagno non sia stato posseduto dal diavolo obbligandolo a recitare il padre nostro, questi ovviamente non se lo ricorda ma va tutto bene e i due eroi possono uscire di scena sani e salvi mentre, ovviamente il pubblico rimane lì a pregare al posto loro di non dover mai più sorbirsi una simile bruttura cinematografica. 

mercoledì 15 febbraio 2023

BLOODSUCKERS FROM OUTER SPACE

(1984) 

Regia Glen Coburn 

Cast Thom Meyers, Laura Ellis, Dennis Letts 

Parla di “ventaccio oltrespaziale trasforma odiosi contadini razzisti del texas in odiosi contadini razzisti vampiri”  

Uscito da noi direttamente in Home video con una bella copertina arancione che non c’entrava un cazzo con l’argomento trattato ed un titolo (Transformer???) che c’entrava ancora meno, il film di Glen Coburn si è ritagliato, soprattutto in America, una discreta aura da cult movie di mezzanotte convincendo così il regista, nel 2008, a realizzare una sorta di documentario backstage di 30 minuti intitolato “Bloodsuckers reunion”. La pellicola, invero, è un raffazzonatissimo low budget movie realizzato nelle squallide province agricole texane dove una specie di vento proveniente dall’oltrespazio trasforma i contadini in vampiri color verde acqua. La prima sequenza vede la mutazione della prima vittima con un collage di montaggio della comparsa (un demenziale contadino) che fa le piroette per strada, si mette a sputare sangue e crolla sul selciato in una pozza rossastra salvo svegliarsi di colpo con la faccia colorata di azzurro e striata di rosso. 

Dopo la divertente canzoncina iniziale (che ricorda quella di Killer clowns from outer space) parte la demenzialità dei dialoghi in cui però si annida la satira sociale che il regista riversa soprattutto sull’ignoranza provinciale fatta perlopiù di razzisti imbolsiti per i quali oltre gli Stati Uniti e i macho di pelle bianca non esiste altra ragione di essere. Satira che si sviluppa nel divertente dialogo tra il protagonista Jeff (Thom Meyers) e lo zio adottivo, classico americanoide che siede in salotto con indosso gli stivali da cowboy, mentre cerca di convincere il nipote che arte e cultura sono merda secca e che il suo unico futuro è nell’aratura dei campi. Uscito di casa Jeff buca uno pneumatico dell’automobile e in un impeto di rabbia finisce di sfondarla a colpi di crick. Viene poi raccolto dalla bella Julie (Laura Ellis) con cui iniziano a farsi di elio in bombola mentre nelle case vicine l’epidemia di vampirismo si sviluppa vorticosamente. 

Dulcis in fundo Coburn non risparmia scienziati ed esercito che, in una base militare, si scontrano su come affrontare la crisi. Ovviamente la spunteranno le forze armate con un demenziale Generale Sanders (Dennis Letts) che si farà dare l’autorizzazione al lancio dell’atomica nel circondario da un Presidente degli Stati Uniti più impegnato a palpare le tette della sua segretaria che a monitorare i problemi della nazione. Immancabile anche l’omaggio a Psycho con la trasformazione dietro le tende del fratello poliziotto di Jeff arricchito da dettagli sanguinolenti nello scarico della doccia come vuole la buona tradizione Hitchcockiana. Per il resto gli attori sembrano sempre sul punto di ridere, gli effetti gore sono un tripudio di moncherini di plastica e pompatine di sangue finto, il montaggio spesso risulta imbarazzante almeno quanto i dialoghi e soprattutto i doppi sensi nell’uso della parola “Suck” con cui si cerca, senza riuscirvi, di trasformare in commedia questa patetica baracconata agreste.  

giovedì 9 febbraio 2023

SEXCULA

(1974) 

Regia John Holbrok 

Cast Jamie Orlando, Debbie Collins, John Alexander 

Parla di “scienziata pazza crea toy boy per lussuriosa vampira infilando siringoni nel pene” 

Incredibile ma vero, esistono pellicole porno dove anche togliendo le scene hard, rimarrebbe comunque un bel film, ovviamente contestualizzato alla media dei prodotti usciti nelle sale a luci rosse a cavallo tra gli anni settanta e i primi anni novanta, ovvero fino alla scomparsa dei cinemini porno a favore del web a tripla X. E’ il caso di questo Sexcula, che sulla carta sembra una versione hard di Dracula ma che poi, in realtà, è più affine al mostro di Frankenstein, rivolgendosi in particolare ad un pubblico strafatto di acidi e tempestato di testosterone. Siamo in campagna, due ragazzi in auto raggiungono una casa in disfacimento, o più verosimilmente uno scheletro di cantiere mai completato. La ragazza afferma che è la casa dei nonni ed infatti, al suo interno trova un libro antico contenente un’assurda storia che i due si mettono a leggere nel prato, a guisa di sexy picnic, visto che lei è completamente nuda. La storia è quella del dottor Fallatingstine (interpretata da Jamie Orlando che purtroppo per noi non ha avuto fortuna nel cinema, peccato perché meritava!) che nel suo laboratorio tiene legati sul lettino un uomo e una donna. 

La scienziata in vestitino verde, infila una siringa nel pene dell’uomo, che si chiama Frank ed è una sorta di creatura costruita appositamente per essere un toy boy per lei e per la contessa Sexcula (Debbie Collins) che vediamo nelle prime scene, impegnata a darci dentro tra sesso e fellatio. Apprendiamo comunque che il povero Frank ha una disfunzione erettile ed è per questo che gli viene somministrata la cura di iniezioni peniche. Di seguito assistiamo ad una serie di sequenze bizzarre dove l’immancabile servo gobbo cerca di trombarsi la donna sul lettino, una giunonica prosperosa con un assurdo elmetto di metallo in testa che comunica telepaticamente. Purtroppo per il servo, i suoi tentativi vengono sempre interrotti, prima dallo scienziato e successivamente, da una comparsa mascherata da scimmione perennemente infoiato. Lo stesso scimmione che vediamo stuprare un efebica ballerina in una sorta di spettacolo di danza e drammaturgia che alla fine riceve anche applausi. 

Seguono altre scenette assurde tra cui un rapporto saffico in carrozza (che non si vede mai all’esterno perché probabilmente costava troppo il noleggio) e soprattutto una virata nel metacinema con la produzione di un film porno dove si mette in scena un matrimonio con orgia finale, il tutto davanti allo sguardo esterefatto del prete che “esterefatto” non lo è poi tanto visto che alla fine partecipa anche lui ai rapporti. Recitazione marmorea a parte, il film ha il suo fascino psichedelico, merito di una fotografia satura e alcuni giochi di colori che puntano soprattutto sul rosso e il blu. Si potrebbe quindi considerare un antesignano a colori di quel capolavoro del porno che uscì l’anno successivo, il bizzarro Thundercrack! di Curt McDowell, in entrambi troviamo infatti lo stesso scimmione mascherato (che del resto troveremo anche anni dopo in Una Poltrona per due). Sexcula è l’unica prova registica di John Holbrok che fece carriera come operatore di camera in film come Rambo o Scary Movie 3. 

lunedì 30 gennaio 2023

THE REGENERATED MAN

(1994) 

Regia Ted A. Bohus 

Cast Arthur Lundquist, Pete DeLorenzo, James Benvenuto 

Parla di “scienziato viene obbligato a bere un frullato di farmaci e diventa un mostro con la faccia da Freddy Krueger che spara ossicini dalle dita” 

Non c’è niente da fare, ci sono film che sembrano nati per la videocassetta, in particolare quelli realizzati tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta. Nel caso di questo The Regenerated Man si potrebbe dire che “è la videocassetta”. Non potrebbe esserci altro formato più adatto per questo sciagurato B-Movie diretto da un certo Ted A. Bohus che l’anno successivo ci riproverà con un sexy-sci-fi dal sordido titolo Vampire Vixens from Venus. L’ambientazione scarna e casalinga, composta da tre ambienti che si ripetono costantemente (laboratorio, abitazione e un angolo di strada giusto per dare una parvenza di esterno), le illuminazioni ipersature di colore tipiche degli eighties, una recitazione che oscilla tra il serio e il faceto ma sempre rigorosamente sopra le righe, una trama sbilenca e sciocchina e soprattutto il mostrone con una maschera gommosa che, nello specifico, sembra ispirarsi neanche troppo velatamente a Freddy Krueger. 

La storia vede il pacioso dottor Clarke (Arthur Lundquist) che pasticcia coi vetrini nella speranza di trovare una cura per rigenerare i tessuti umani al fine, scopriremo in seguito, di ricostruire due dita del piede mancante. Una sera due buontemponi mascherati penetrano nel laboratorio e lo costringono a bere un coktail di tutti i sieri disponibili trasformandolo in un mostro, dotato di camicia e pantaloni ma con fattezze ripugnanti, occhi alieni e la fronte pulsante. Il mostro diventa per il dottore una sorta di Mr. Hyde che se ne va in giro a sparare falangi come missili. Un rude detective indaga sulle morti misteriose e le prove raccolte rivelano a Clarke la mostruosa origine della creatura. Se sul piano degli effetti di make-up troviamo buoni risultati con parti del corpo che si aprono per sparare ossa assassine (fantastica la scena del tizio che muore con un ossicino conficcato sulla fronte) o lanci di strani filamenti organici per succhiare gli umori alle vittime, ad un certo punto il regista ci regala un mirabile esempio di rozza CGI con l’apparizione di una creatura che sembra una brutta copia di quella realizzata per Howard e il destino del mondo

Per fortuna è un’apparizione di pochi secondi, quanto basta per alzare l’asticella del trash ai massimi livelli, con l’aggiunta di effetti visivi di stampo televisivo che ogni tanto fanno capolino tra le sequenze del film. Spassoso comunque il fatto che ogni assalto del mostro sia preceduto da una gustosa scenetta (Il ciccione che viene taglieggiato dai due gangster, il tentato stupro di tre balordi ai danni di una passante) per non parlare poi dell’irresistibile dialogo tra due homeless prima che uno dei due sugga una fialetta trovata per caso e scambiata per whisky. In generale, nella sua stupidità, il film non è neanche poi così male, qualche scena splatter risulta azzeccata e un paio di risate ci scappano senz’altro, ma soprattutto è un film che non annoia più di tanto e visto il fiume di schifezze fuoriuscite dal cinema di cassetta di quegli anni, questo è comunque un buon risultato.  


mercoledì 18 gennaio 2023

GLI OCCHI DENTRO

(1994) 

Regia Bruno Mattei 

Cast Monica Seller, Antonio Zequila, Gabriele Gori 

Parla di “gnocca fumettista perseguitata da serial killer che ricalca le gesta del suo personaggio” 

La conoscenza è potere ma a volte l’ignoranza è più salutare. Infatti quando mi sono approcciato a questo film non ne sapevo praticamente nulla e, al termine, avrei preferito rimanere nell’oscurità. Si tratta di un thriller a basso costo girato nel 1994 da Bruno Mattei sotto pseudonimo, una rarità se si vuole trovare un punto positivo, considerato che in Italia non approdò mai nelle sale ma uscì in un’edizione molto limitata con il titolo Occhi senza volto senza nulla da spartire con il capolavoro Les Yeux sans visage di Georges Franju. Il film comincia con un delitto assurdo, girato in soggettiva nello stile argentiano ma con l’aggiunta dell’elemento trash che contraddistingue la totalità dell’opera. La vittima infatti (ovviamente una donna) si nasconde dietro una rete metallica ma, incredibilmente, il misterioso assassino fa sgusciare la sua terribile arma (un miserrimo taglierino) tra le maglie, la ruota un po' nell’aria riuscendo comunque a sgozzare la tipa...e siamo solo all’inizio!  

Si prosegue con una rassegna stampa per lanciare il fumetto del Doctor Dark, esperto di riti pagani di giorno, serial killer di notte. Il fumetto viene duramente contestato da un giornalista esagitato di nome Calligari (Fausto Lombardi) mentre la fumettista Giovanna (Monica Seller) è turbata, anche perché c’è in giro un assassino che ricalca le gesta del suo personaggio. Come se non bastasse anche la polizia si interessa al fumetto e  noi possiamo fare la conoscenza del Commissario Callistrati, interpretato da quell’attorone di Antonio Zequila, main star di roba come Cento Vetrine o Carabinieri e soprattutto nel cast di opere di grande spessore come Prigionieri di un incubo o Parentesi Tonde. Dotato dell’espressività di Alberto Tomba e della marmorea prestanza di Jimmy il fenomeno, Zequila ci regala un antieroe duro, che si ciuccia il cigarillo in continuazione e cerca di immedesimarsi nell’assassino per scoprire che: 

  la vittima aveva le mani sporche di inchiostro  

+

una penna per terra  

+

un blocknotes vuoto sul tavolo  

=

la vittima voleva (forse) scrivere qualcosa.  


Anche la Seller è al top della sua intensità, ondeggiando come una barca sulle rapide, avanti e indietro, cercando di simulare attacchi di panico che il suo fidanzato, lo sceneggiatore Nico (Gabriele Gori) cerca di sedare urlandole contro come un pazzo e prendendola a ceffoni (sistema infallibile direi!). Per fortuna Mattei è sempre Mattei e per scusarsi dell’immonda cagneria degli attori, ci regala un secondo omicidio molto efferato anche se decisamente goffo come messa in scena. Il killer, vestito con cappottone, cappellaccio e Superga nere, omaggia 6 donne per l’assassino di Mario Bava, la casa editrice che pubblica il fumetto (peraltro disegnato malissimo!) è la Lovecraft Edizioni, le citazioni dunque si sprecano come altrettanto si sprecano i buchi nello script di Lorenzo De luca (esperto di cinema orientale nonché autore del soggetto) che nel misero spiegone finale cerca di rattoppare come meglio può la situazione. Ambientazioni e fotografia sono di taglio televisivo, la fotografia praticamente non esiste e, dulcis in fundo, la musica è riciclata in giro da varie library per cui si passa da minacciosi stornelli al synth in stile Phantasm fino a intere suite orchestrali che sembrano uscite da qualche classico gotico di Margheriti. 

mercoledì 11 gennaio 2023

IL NANO E LA STREGA

 (1973) 

Regia Gioacchino Libratti (Francesco Maurizio Guido aka Gibba) 

Cast (voci) Rosetta Calavetta, Vittorio Stagni, Carlo Romano 

Parla di “nano superdotato deve scamparla alle inesauribili voglie di una vecchia strega assatanata” 

Una delle tendenze del cinema cosiddetto “per adulti” italiano è sempre stata quella di trasformare le favole dandone una propria versione a luci rosse, basti pensare a “Biancaneve sotto i nani” di Luca Damiani o la versione porno di Robin Hood realizzata da Joe D’amato. Insomma sarà l’influenza di Boccaccio, sarà il desiderio di stravolgere le fiabe che ci hanno confortato da bambini, ma il porno in cappa e spada, pur presagendo un notevole dispendio finanziario (quando non si riusciva a riciclare i costumi da qualche altro set), era gettonatissimo fino ai tardi anni novanta prima che Pornhub prendesse il sopravvento relegando il voyeurismo spinto alla propria cameretta personale (ma in quello era stato già preceduto dall’avvento dell’home video). 

E fra i titoli dedicati alla sessualità medioevale spunta nei primi anni settanta questa curiosa pellicola diretta dal disegnatore e animatore Francesco Maurizio Guido, conosciuto come Gibba, il quale per problemi legati alla censura, non firmò la regia nei titoli lasciando il posto a Gioacchino Libratti. Di fatto l’intero lungometraggio di animazione fu realizzato ad opera di Gibba, compresa la direzione cinematografica. La storia inizia con un notabile che non riesce a soddisfare la sua formosa mogliettìna a causa delle minuscole dimensioni del suo pene. Da parte sua la donna conserva in una cassapanca una sorta di toyboy che estrae alla bisogna. Disperato il notabile chiede aiuto alla strega Merlina, una laida vecchiaccia perennemente arrapata. Come compenso il notabile gli dona il suo servo Pipolo, un nanetto attrezzato con un enorme pene che risalta dalla calzamaglia per tutto il film,  (anche durante i coiti). La fattucchiera scopre, grazie alla sua sfera, che potrà recuperare la bellezza perduta facendosi penetrare 100 volte dal nano. Il problema rimane convincere Pipolo che, durante la fuga, si unirà ai ribelli di Robin Hood. 

Contraddistinto da una verve comica dai toni caciottari e uno sviluppo narrativo ai limiti dell’anarchia, Il nano e la strega è un esperimento nello stile di Ralph Bakshi e il suo Fritz il gatto senza però il sottotesto di denuncia sociale dell’autore americano e vede soprattutto nell’animazione arcaica il suo maggior difetto. Il film di Gibba cede poi agli schemi narrativi del cinemino porno sotto casa dove le donne sono tutte vogliose e gli uomini sono per la maggioranza dei guardoni. In ogni caso il film regala qualche momento divertente (la scena dell’elefante che caga pallettoni) e tanti altri momenti surreali, ci si diverte (poco) ma alla fine l’assenza di un messaggio o comunque di un contenuto ne relega lo status ai livelli di una qualsiasi commediola sexy dell’epoca. I dialoghi, tutti rigorosamente in rima, sono a cura di Oreste Lionello ed Enrico Bomba. Il film è conosciuto anche con il titolo “Zi Zi…pan pan”