giovedì 28 dicembre 2023

THE MEATEATER

(1979) 

Regia Derek Savage (David Burton Morris) 

Cast Peter Spitzer, Arch Joboulian, Dianne Davis 

Parla di “venditore di scarpe apre un cinema ma ci trova dentro un mostro assassino” 

Beh, dalla forchetta impressa sul manifesto e dal titolo originale (letteralmente Il carnivoro) ci si sarebbe aspettato, quanto meno, un film su un mostro cannibale,  invece l’unica cosa che questo addenta per tutto il film (tolte ovviamente le quintalate di Hot dog divorate dagli spettatori del cinema) è un topo morto a inizio della pellicola. Del resto The Meateater non risulta annoverato tra i film cult del cinema horror e il suo regista David Burton Morris (opportunatamente accreditato sotto lo pseudonimo di Derek Savage) non rientra fra gli autori considerati del genere ma proseguirà la sua carriera soprattutto nella realizzazione di scialbe commediole per la televisione. 

Il protagonista è Mitford (Peter Spitzer), un onesto padre di famiglia stanco di percorrere chilometri in giro per l’America come piazzista di calzature. A risolvere le sue frustrazioni è una lettera di un’agenzia immobiliare che gli comunica l’accettazione della sua offerta per acquistare un vecchio cinema abbandonato in un altro paese. Trasferitosi con tutta la famiglia, Mitford mette moglie e figli all’opera  nella ristrutturazione e gestione della sala e assume anche un giovane nerd come proiezionista. Alla prima, dove si proietta un assurdo documentario intitolato Grizzly Safari (qui vengono citati i carnivori del film), un essere misterioso (misterioso mica tanto infatti altri non è che l’addentatopi a inizio film) fulmina il giovane proiezionista e fa spuntare un cadavere essiccato appeso dietro lo schermo. 

La polizia (un paio di ciccioni perennemente affamati di merendine) indagano senza molta solerzia e alla seconda proiezione spariscono anche un ragazzino con una assurda capigliatura e la figlia di Mitford, il quale, invece di preoccuparsi, passa tutto il tempo del film a farsi spuntini e salmodiare sui giovani che sono tutti fatti a modo loro (per giustificare la loro sparizione insomma…). Il colpevole è un vecchietto sfregiato e psicopatico che scambia la figlia di Mitford per l’attrice Jean Harlow, di cui è follemente innamorato. Film a tratti bizzarro e sconclusionato dove l’attore Arch Joboulian interpreta il doppio ruolo del killer sfregiato e del fratello ritardato, ma siccome la qualità vale più della quantità, l’attore non ha più fatto uno straccio di film. Per il resto, tolta la fotografia pessima, le inquadrature sballate e le location deprimenti, The Meateater non si salva nemmeno per la sceneggiatura che progressivamente si riempie di buchi peggio di un gruviera (Tipo la madre che trova la porta del cinema chiusa con il lucchetto e si dispera ma dopo pochi minuti è in sala a salvare la figlia senza darci modo di sapere come ha fatto ad entrare). Fortunatamente nel finale Mitford decide di tornare a vendere scarpe e lasciare perdere il mondo del cinema, cosa auspicabile per tutta la crew del film.  


giovedì 21 dicembre 2023

MY LOVELY BURNT BROTHER AND HIS SQUASHED BRAIN

(1988) 

Regia Giovanni Arduino e Andrea Lioy 

Cast John J. Bridge, Nick Tortone, Bernie Burnt 

Parla di “igienista dentale pazza manovra fratello ustionato per vendicarsi dei pazienti bulli” 

Quando si dice che il tempo migliora la qualità delle cose ci si potrebbe riferire in modo preciso a questo film amatoriale datato 1988 e realizzato in 16 mm da due pazzi (almeno all’epoca) di nome Giovanni Arduino e Andrea Lioy. Il miglioramento ovviamente non riguarda certo la qualità dell’opera stessa quanto l’aura di cult che, negli anni ha smosso l’interesse verso questo assurdo pasticciaccio gore punk underground. Realizzato in maniera rozza e improvvisata, con attori che danno il peggio di loro stessi, effetti artigianali realizzati con quello che si trovava lì in giro, una trama scritta in due paginette che ha il solo scopo di dare un senso all’accozzaglia di immagini disturbate da una pessima copia in vhs che gira da anni sul tubo e che rimane purtroppo l’unica testimonianza di un’opera comunque unica nel suo genere. Già il trovare un Lewis Waters nel cast dei titoli di testa (ovviamente pregno di nomi finti e inventati alla cazzo) fa capire subito il genere di cinema a cui i due schizzati registi e produttori vogliono riferirsi, un cinema povero, poverissimo ed estremo, shockante e ultra gore. 

Purtroppo nemmeno in questo il film centra il bersaglio, il gore e lo shock infatti latitano se non in qualche scenetta dove vengono spruzzate generose dosi di sangue finto. Dove invece il film funziona è il reparto follia e cattivo gusto, sin dalle prime inquadrature vediamo quasi un fermo immagine del produttore (o chi per esso) che ad un certo punto muove le labbra solo per dire che “il film fa schifo” e da qui in poi non c’è possibilità di fraintendimento riguardo agli intenti dell’opera. La storia,  o perlomeno il collante che tenta di dare un senso al tutto, si incentra su Jenny, un’igienista dentale impiegata nello studio di un medico perennemente attaccato alla bottiglia. Capelli a caschetto, occhialoni scuri e risata satanica tirata via con le tenaglie, Jenny  viene bullizzata da un gruppo di deficienti e decide di vendicarsi con l’aiuto di Bernie, il fratello deforme, la cui faccia è celata dietro un cappuccio bianco del Ku- Klux – Klan, al quale la ragazza regala generose dosi di Novocaina per lenire il dolore delle ustioni. Vediamo quindi susseguirsi sullo schermo una serie di originali quanto rozzi omicidi. La prima vittima viene massacrata mentre amoreggia con una bambola gonfiabile, il secondo, che è un tossico, viene ucciso con una multipla overdose che gli fa schizzare sangue fuori dal corpo fino a ricoprirlo completamente. 

Il terzo, dedito a divorare popcorn e guardare un donnone che fa il bagno nuda in televisione, cerca di fuggire ma Bernie, prima gli versa il caffè bollente sulla mano, e poi gli piazza la faccia dentro un’affettatrice di salumi, il tutto con dovizia di particolari ma con una tale imperizia registica da rendere ogni sequenza goffa e assurda. Il momento clou è quando una tizia (una venditrice porta a porta di prodotti da bagno che periodicamente importuna Jenny) muore nella vasca da bagno divorata da anguille assassine con tanto di intervento dello scienziato di turno che interrompe la scena e cerca di spiegarci la natura di questi animali. A indagare sugli omicidi una punk detective alla quale hanno ucciso il padre (che si vede in vari flashback mentre qualcuno, fuori campo, tenta grossolanamente di farlo fuori). Nel finale vedremo le fattezze reali di Bernie, al quale hanno piazzato un’assurdo mascherone realizzato, probabilmente, con la cartapesta, che lo fa sembrare un’enorme cotoletta alla milanese. Ad allungare il brodo del metraggio ogni tanto spuntano esibizioni in sala prove del gruppo post punk The Sick Rose, forse il momento migliore del film. Inedita in Italia, la pellicola ha avuto una piccola distribuzione all’estero ma oggi, come confermatomi da Arduino stesso in una recente chiacchierata su Facebook, il master video è andato perduto per cui, non ci resta che goderci quest’assurda follia in un’unica pessima edizione che, se non altro, enfatizza l’aspetto vintage dell’opera. 

giovedì 14 dicembre 2023

LA GUERRA DEI MUTANTI

(Mutant Hunt, 1987) 

Regia Tim Kincaid 

Cast Rick Gianasi, Bill Peterson, Mary Fahey 

Parla di “cattivone del futuro prossimo impoverito dalla mancanza di budget, tenta di trasformare androidi in assassini ma questi invece iniziano a sorridere come deficienti” 

Se pensavate che con “Robot Holocaust” il regista Tim Kincaid avesse detto l’ultima parola in fatto di trash movie, vi siete sbagliati di brutto. Si perché mentre il regista americano, oggi divenuto un nome di punta nel genere porno gay, spennellava mostriciattoli di gomma e improbabili robot di cartapesta, in contemporanea preparava un altro capolavoro del brutto,  se possibile anche peggiore. Parliamo di Mutant Hunt, altra perla imperdibile per chi pensa che gli anni ottanta siano stati il canto del cigno del peggior cinema trash di genere, uscito da noi in sordina con il titolo “La Guerra dei Mutanti”, “Mutant Hunt” tenta di sfruttare la corrente filmica sulla scia del successo di “Terminator” ma senza il becco di un quattrino, e purtroppo per lui, non tenta neanche di mascherare questa pochezza di intenti. Nelle prime scene c’è Z (Bill Peterson) una sorta di imprenditore del futuro con un vestito assurdo che estremizza la moda delle spalline gonfiate degli eighties. 

Il viscido manager scopre che una certa sostanza inserita nei pacifici androidi operai (chiamati, almeno nel doppiaggio italiano, inspiegabilmente mutanti), li trasforma in assassini e confeziona così un’arma da vendere in giro per il mondo. A contrastarlo ci sono un gruppo di cacciatori di androidi (Blade Runner docet) vestiti con orrende tutine verdi e muscolazzi in bella mostra. Dal canto loro gli androidi hanno tutti un taglio di capelli a zazzera e occhiali da sole mentre sfoderano assurdi sorrisi da deficienti. La cosa divertente è che per tutto il film i robot ammazzano solo le donne mentre i maschi riescono sempre a fargli il culo con improbabili mosse di kung fu. Poi quando gli androidi afferrano una vittima sembra che effettuino una mossa di balletto sollevando in alto per i fianchi le persone per poi buttarle contro il muro o lanciarle fuori dalla finestra. Siccome poi al peggio non c’è mai fine, ai robot viene dato anche il potere di allungare gli arti con sequenze oltre ogni comicità ragionevole. 

C’è anche un cyborg tutto sgarruppato che riesce a parlare e pensare meglio degli altri colleghi più in forma, lo vediamo con la bocca staccata e un lampeggiante in gola che ricorda uno stronzo penzolante. Il tutto si svolge all’interno di una specie di capannone pieno di finestre e balconi in cemento grezzo, un set probabilmente riciclato in qualche ex carcere o roba del genere. Le scene di action, se fossero girate da tartarughe (non ninja ovviamente) sarebbero poi più adrenaliniche, ma Kincaid da comunque il meglio nei dialoghi assurdi del tipo “Ti ho messo una bomba nel collo, se non parli ti faccio esplodere” – “Parlo ma solo se mi togli la bomba dal collo” – “D’accordo ti tolgo la bomba ma poi parli eh!” (Vi lascio immaginare la conclusione della scena più cretina al mondo). Nel finale arriva anche l’apoteosi del ridicolo con un mostruoso androide bendato come una mummia e spacciato inizialmente come la quintessenza dell’erotismo che si rivela di una bruttezza assurda con un faccione da mangiatore di hamburger. Diciamocela tutta, pochi registi hanno osato regalare al cinema tanta pochezza e povertà, fra questi Kincaid è un vero e proprio diamante grezzo. Del resto dai diamanti non nasce niente mentre dalla merda…