mercoledì 26 ottobre 2022

GOING NUTS – GRITOS EN EL PASILLO

(2007) 

Regia Juan José Ramírez Mascaró 

Genere : Animazione, Horror, Commedia 

Cast: Luis Jiménez, Gonzalo Navas, Jaime Vaca 

Parla di “noccioline che interpretano un horror ambientato in un ospedale per malati mentali” 


Gli strumenti per girare film d’animazione sono veramente infiniti (ed io ne so qualcosa), ci sono animazioni coi calzini (Dolcezza Extrema, autocit.), con le marionette (Gutboy), con i ritagli di carta (Acid Space) ma solo la follia del regista indie spagnolo Juan José Ramírez Mascaró poteva dare vita ad un film interpretato da noccioline. Lanciato come il primo film di “animazione con frutta secca al mondo” , Gritos en el pasillo è un horror dai toni cupi che richiama , per ambientazioni e fotografia, il gotico spagnolo degli anni settanta, anche se la trama sembra più derivare da un horror americano che in Italia uscì con il titolo “Non guardare in cantina”. Le scenografie sono realizzate con modellini che sembrano uscitì da un incubo di Salvador Dalì utilizzando però la melma secca per costruire le pareti e le stanze dell’ospedale per malati mentali dove viene assunto un giovane illustratore di libri per bambini. 

Il suo compito è ridipingere gli oscuri corridoi del sanatorio al fine di migliorare l’umore dei pazienti, anche in considerazione di un alto numero di suicidi che si sono verificati negli ultimi tempi. Il giovane si mette subito al lavoro ma durante le sessioni notturne sente delle grida misteriose all’interno delle pareti. La strana atmosfera del luogo lo convincerà che il sanatorio nasconde un orribile segreto. Mascaró non cerca di fingere che le nocciole zompettanti per tutto il film siano personaggi umani, e infatti i protagonisti si chiamano fra di loro cacahuetes (arachidi in spagnolo). Con molta pazienza il team di lavoro del film si mette a dipingere centinaia di spagnolette con espressioni diverse, vestiti e uniformi disegnate sulla buccia dell’arachide, frutto principale di tutta l’opera anche se nelle scene di inseguimento finali, verranno impiegati dei gusci di noci per rappresentare i terribili cani da guardia dell’ospedale. Non mancano scene efferate con centinaia di spagnolette sgusciate in modo orribile e al culmine del film interviene anche un vero e proprio esercito con berretti sul guscio e mitragliatrici in miniatura appiccicate alle noccioline. 

Le difficoltà nel rendere credibile l’intera operazione sono piuttosto evidenti, soprattutto per la mancanza di gambe e braccia che rendono difficile alle povere cacahuettes il compiere semplici azioni, la produzione ci prova a compensare, attaccando oggetti come pennelli, sigari, armi e altri attrezzi necessari alla scena, un montaggio nei punti giusti riesce poi a mitigare i limiti ma sono soprattutto i dialoghi l’unico perno dato allo spettatore per seguire le vicende. La mancanza di azione si stempera alla fine con un rocambolesco inseguimento nei boschi, scontri fra noccioline che si prendono a testate e saltano come grilli da tutte le parti ma non si riesce a evitare l’effetto noia che questo tipo di sperimentazione contiene nel suo DNA. Un film che sulla carta stuzzicherà molto la vostra curiosità ma che alla fine, come tutta la frutta salata, lascia solo una gran sete irrisolta. 

mercoledì 19 ottobre 2022

CEMETERY HIGH

(1988) 

Regia Gorman Bechard 

Cast Debi Thibeault, Karen Nielsen, Lisa Schmid 

Genere: Commedia, Horror 

Parla di “gruppo di studentesse diventano vendicatrici contro molestatori maschili e trasformano la città in un incubo per i maschietti” 

Autore di un autentico cult quale è la commedia caciarona in salsa horror “Psychos in Love”, il regista Gorman Bechard ha più volte tentato di disconoscere questa sua prova successiva, distribuita da Charles Band. Assistendo a questo vero e proprio misfatto cinematografico non si stenta a credere a Bechard. Qualunque regista che voglia fregiarsi di tale appellativo si vergognerebbe di questo lavoro, che parte pur bene con un tentativo di rievocare i gimmick di William Castle attraverso didascalie minacciose che invitano il pubblico più sensibile a coprirsi gli occhi, la bocca e le orecchie al suono del gore-gong nelle sequenze più splatter del film. Peccato che di tali scene il film non abbia traccia e che quando appare il temibile gong, la scena successiva risulti visibilmente tagliata se non mancante. Va meglio con la trombetta, che segnala le scene più osè anche se nello specifico suona una volta sola prima di mostrarci le candide nudità di una studentessa intenta a farsi una bella doccia sexy. 

Con un piglio metacinematografico (che dovrebbe far sorridere ma nella realtà è imbarazzante) assistiamo alle avventure di un gruppo di liceali armate e pericolose che decidono di farsi giustizia da sè nei confronti dei maschi, in particolare quelli violenti e stupratori come, ad esempio, un trio di bulletti della scuola intenti a molestare tutte le sottane che incontrano. Dopo aver seccato a colpi di pistola i teppistelli, il gruppo di ragazze inizia la scalata verso una fama sempre più crescente, diventano le Scum Busters ovvero le acchiappa monnezza e partoriscono proseliti tra tutte le appartenenti al genere femminile della città. Vediamo quindi che tristi avances maschiliste nel locale cittadino vengono calmierate con pistole puntate alla testa, molestatori importuni vengono appiccicati al muro a colpi di cofano d’auto e poi evirati a pistolettate. 

Non manca persino una sequenza con la sega a motore e la punizione per il gestore di videoclub che non esita a proporre videocassette pedopornografiche. Bechard non si fa scrupolo di autocitare il suo precedente successo definendolo un mix tra Woody Allen e Non Aprite quella porta ma il pubblico non può che concordare con lui sulla pessima riuscita di questa sua seconda prova, fallimentare come commedia, improponibile come horror, lento, ripetitivo e mal recitato. Si salva giusto il finale che riesce a strappare una pur timida risata ma per il resto siamo dalle parti del peggior catalogo della Troma con situazioni surreali e ridicole dove allo spettatore non rimane neanche la consolazione di vedere cosa succede dopo il suono del gong.  

mercoledì 12 ottobre 2022

ANTHROPOPHAGUS 2000

(1999) 

Regia Andreas Schnaas 

Cast Achim Kohlhase, Andre Sobottka, Joe Neumann 

Parla di “Incapace regista tedesco tenta di rifare senza soldi e senza capacità tecniche, uno dei capisaldi del cinema horror italiano” 

E’ bello sapere che da qualche parte in Germania c’è un tipo come Andreas Schnaas innamorato pazzo del cinema di genere italiano e in particolare di Joe D’amato. Un po' meno bello quando Schnaas, che non è certamente un regista con la erre maiuscola (di maiuscolo ha la P di poveraccio!), cerca di mettere mano allo script originale di Luigi Montefiori e Aristide Massacesi per tirare fuori un remake alla buona, con un budget la cui spesa massima è rappresentata dalla benzina del furgoncino dei protagonisti. Certo chi si avvicina al cinema del filmmaker teutonico sa cosa aspettarsi, considerando che, ancora oggi, è conosciuto per quella fetecchia amatoriale di Violent Shit. Giunto al sesto film della sua corposa filmografia (fortunatamente interrottasi dieci anni fa) Schnaas si fa prendere dall’ambizione e gira quello che, nelle sue pur migliori intenzioni, dovrebbe essere una versione aggiornata di un titolo cult nel nostro cinema, tant’è che gli piazza nel titolo la parola 2000. 

Ma quello che sulla carta sembra un progetto tutt’altro che disprezzabile, nella realtà e soprattutto nelle mani del regista tedesco, si trasforma in una schifezza amatoriale senza possibilità di appello. Il film parte dal ritrovamento, da parte di un gruppo di agenti in borghese (ma con il distintivo sul petto sennò non si capisce), di alcuni cadaveri scarnificati all’interno di una grotta. Uno degli sbirri tira fuori dalle viscere di un corpo un quaderno straordinariamente nuovo e intonso, da cui si può avviare il flashback della storia. Si parte da quello che Massacesi lasciò come colpo di scena finale, ovvero la genesi del mostro, su una barca a vela naufragata nel mare. Successivamente siamo su una spiaggia dove un grosso capellone e una ragazza di colore tutta tatuata si infrattano in tenda (senza neanche togliersi le scarpe, sic!). Dopo una scena di sesso alquanto malrecitata in cui la tipa fa l’amore senza togliersi il costume da bagno, arriva ovviamente il massacro e alla tizia viene letteralmente strappata la pelle di dosso. Poi l’azione si sposta su un gruppo di turisti tedeschi in viaggio sul pulmino presso una località toscana chiamata Borgo San Lorenzo dove scopriranno, da ritagli di un giornale, che tutta la popolazione è stata sterminata. 

Il resto del film è un pout pourri di scene splatter alquanto risibili in cui Schnaas si diverte a omaggiare Fulci (l’estrazione degli intestini dalla bocca come in Paura nella città dei morti viventi) e Deodato (l’impalamento come in Cannibal Holocaust) il tutto con effetti di make up anche discreti se si considerato il tipo di produzione. In realtà chi sceglie Schnaas lo fa perché sa di trovare intestini sviscerati, spellamenti sanguinosi, decapitazioni e mutilazioni senza limiti. Del resto, per il regista, doversi approcciare alla mitica scena di cannibalismo fetale del film originale (ai danni della povera Serena Grandi), è un vero e proprio invito a nozze. Nella sua Versione Schnaas opta per il cesareo a mani nude, estrae il bambino insanguinato che lo guarda piuttosto perplesso prima di essere divorato a morsi. L’effetto, che nel prototipo di D’amato raggiungeva vette estreme alquanto insostenibili, in questa versione raggiunge invece l’esatto contrario, ovvero cade in una apoteosi del ridicolo che suscita nello spettatore colpevoli risate che non dovrebbero esserci alla vista di un infante maciullato. Ma la scena è talmente comica che non si può resistere. Tolto però l’elemento splatter, si può stendere un velo pietoso su fotografia (questa sconosciuta), montaggio e recitazione per i quali Schaas, sebbene godesse all’epoca, di una certa esperienza dietro la macchina da presa, sembrano essere un inutile orpello attorno alla sua personalissima orgia di budella masticate e corpi martoriati. 

giovedì 6 ottobre 2022

DREAMANIAC – SOGNO MANIACALE

(Dreamaniac, 1986) 

Regia David DeCoteau 

Cast Thomas Bern, Sylvia Summers, Ashlyn Gere 

Parla di “ragazzino metallaro per sbaglio, invoca nei sogni demonessa azzannauccelli con cui fa strage a festa scolastica” 

Nonostante qualche effimero letterato imbolsito possa dire il contrario, questo blog ha principalmente lo scopo di fare informazione, e l’informazione che vorremmo darvi oggi è che quando vedete nei titoli di testa il nome di David DeCoteau potete stare certi di assistere ad un filmaccio. Non fa eccezione questo Dreamaniac che in Italia uscì in VHS tradotto letteralmente in “Sogno Maniacale” che già fa ridere così. In questa sorta di Teen Horror in linea con gli stilemi dell’epoca ma tradotto in una confezione poverissima, DeCoteau, che nella sua lunghissima carriera ci ha regalato perle come “Tragica notte al Bowling” e soprattutto il capolavoro (nel senso inverso del trash) “Creepozoids”, ci propone la solita accoppiata Heavy Metal + Satanismo narrandoci le gesta del giovane Adam, musicista da cameretta intento a fare metal ma, come vedremo nel film, si limita a fare giusto un paio di accordi strimpellati con la chitarra acustica. 

Adam (Thomas Bern) è preda di incubi terrificanti dove viene evirato a morsi da una tizia di nome Lily (Sylvia Summers) che starebbe poi per Lilith ovvero la prima donna dell’Eden che rifiutò, per l’appunto, di assoggettarsi ai comandi di Adamo e viene punita da Dio trasformandola in un demone. Caso vuole che Pat, la ragazza di Adam (Ashlyn Gere) decide di fare una festa a casa sua e tra gli invitati spunta, non invitata, questa Lily dallo sguardo psicopatico e un’orrendo vestito blu elettrico. In breve la festa si trasforma in un massacro, la donna lega ad un palo un tizio in mutande e lo frigge con la corrente elettrica, poi infilza un altro con una racchetta da sci e, dulcis in fundo, pratica una fellatio con distacco sanguinolento di uccello. Il tutto mescolato con rapporti sessuali più o meno espliciti, scene di nudo mai troppo integrale che ci ricordano comunque che DeCoteau veniva dal porno e questo era il suo primo film “serio” sotto l’egida di Charles Band, il quale rimase particolarmente colpito da quest’opera inserendo successivamente DeCoteau nella sua scuderia. Il film, nella maggior parte del tempo, non è neanche malaccio, ci sono alcune scene decisamente splatter tra cui il fracassamento di un cranio ben realizzato, il tutto fotografato in un tripudio di colori ipersaturi in pieno stile eighties. 

Tutto questo però non migliora il giudizio sull’opera, che oltre ad avere un finale tra i più idioti mai visti sullo schermo, ci rivela situazioni imbarazzanti dove l’inverosimile prende il sopravvento, come nella scena dove una ragazza sta leccando panna montata dai capezzoli del suo boyfriend e nel pieno dell’amplesso, lui si alza per andare a bere. Non parliamo poi di una delle prime vittime che si rialza come morto vivente in mutande e comincia a camminare in una maniera talmente surreale da trascendere la comicità. Dulcis in fundo la cosiddetta final girl, in compagnia della sorella ubriacona, negli ultimi minuti ci insegna che in qualsiasi casa americana si può trovare un trapano dalla punta gigante con cui perforare le mani ai posseduti, arrivando persino a decapitarli. E rimanendo in tema di Final Girl, l’esordiente Ashlyn Gere lavorò ancora per DeCoteau e negli anni novanta riuscì persino a entrare nel cast di Basic Instinct ma verrà ricordata principalmente per la miriade di film porno con cui ha costellato la sua miseranda carriera.