giovedì 14 settembre 2023

MANDINGA

(1976) 

Regia Mario Pinzauti 

Cast Antonio Gismondo, Paola D’Egidio, Maria Rosaria Riuzzi

Parla di “fattoria schiavista della Louisiana dove bianchi e neri copulano senza alcuna distinzione di razza e religione” 

Nonostante il grande successo di pubblico, in parte dovuto alle numerose polemiche emerse all’epoca, il film Mandingo ce lo siamo dimenticati un po' tutti, cosa può esserci di meglio, allora, che rievocarne la memoria con la risposta italiana diretta da Mario Pinzauti? Ovviamente l’erotismo appena accennato nella pellicola di Richard Fleischer, qui trova spazio in abbondanza per potersi esprimere al meglio, senza scadere nel porno ma andandoci mooolto vicino. Contraddistinto da una fotografia piatta e televisiva che richiama “La schiava Isaura”, Mandinga è un polpettone imbarazzante dove si narrano amori e intrecci di famiglia all’interno di una piantagione della Louisiana in cui la bella e spregiudicata Rhonda (Paola D’Egidio) tenta un escalation con Hunter (Serafino Profumo) il padrone della fattoria, si sdruscia su un mandingo legato alle travi. 

Ad un certo punto, però, dopo aver preso una manica di frustate il mandingo non deve aver sicuramente provato un grande piacere a sentirsi le unghie della cavallona sulle ferite alla schiena. Poi entra in scena la schiava Mandinga, una mulatta con le treccine da villaggio turistico, che viene violentata da Hunter e muore dopo aver partorito Mary (Maria Rosaria Riuzzi) che, stranamente è bianchissima e a sua volta cresce come figlia del pastore Foster, il quale cela al mondo la provenienza materna. Ma il mescolamento di razza si rivelerà anni dopo quando Mary si sposa con Clarence (Antonio Gismondo), figlio di Hunter e quindi fratello a sua insaputa, e partorisce un maschietto nero (gulp!). Alla fine la vediamo correre inseguita dal marito incazzato con il piccolo in braccio, si becca una fucilata e muore, quindi il vecchio Hunter, dopo aver scoperto che Mary è in realtà sua figlia, si china sul cadavere di Mary e, sofferente, stringe al petto il bimbetto in un tripudio di buoni sentimenti a basso costo. 

Insomma se la trama è un po' incasinata, la recitazione marmorea dei protagonisti non aiuta di certo, le scene erotiche sono costituite per lo più da sdrusciamenti e schiave/i legate/i al palo che sembrano accettare di buon grado le avances dei padroni, avances che si concludono ovviamente con la coppia di schiavisti che fa sesso davanti agli sconsolati prigionieri. Il tutto viene poi incorniciato da una musichetta ossessiva, composta dallo specialista Marcello Giombini, che oscilla tra il beat caraibico, l’elettronica minimalista e il romanticismo struggente. Siamo di fronte alla classica operazione di exploitation italiana, costruita in fretta e furia per sfruttare la scia del successo del blockbusterone americano di turno, buttandola sul sesso che va sempre bene al cinema.  

Nessun commento:

Posta un commento