mercoledì 29 marzo 2023

MAHAKAAL




(1994)  

Regia Shyam e Tusi Ramsay  

Genere Horror, commedia, romantico  

Cast Archna Poora Singh, Karan Shah, Johny Lever  

Parla di “demone copiato da Freddy Kruger insidia studentesse tra cloni di Michael Jackson e siparietti musicali che ucciderebbero i diabetici”  

Non è semplicemente l’atto di assistere ad un film, quando si guarda una pellicola indiana è come vivere un’esperienza mistica, almeno fino a quando reggono i coglioni. L’estenuante durata (una media di due ore a film), l’intermezzo di zuccherosi balletti e canzoncine che sembrano rievocare il liscio romagnolo, i siparietti comici che non fanno ridere e le finte scazzottate sono tutti elementi costanti di questo particolare modo di fare cinema che è poi diventato un genere a sé stante, quello bollywoodiano. Mahakaal dei fratelli Ramsay (dei quali avevo già avuto il “piacere” ma soprattutto il coraggio di vedere Purani Haveli) si contraddistingue dal solito polpettone indiano per il semplice fatto di essere un evidente plagio di Nightmare – Dal profondo della notte con tanto di demone dal volto ustionato e guanto dotato di affilati rasoi praticamente uguale a quello di Freddy Krueger. 

Ma le somiglianze non si fermano qui, il mostro perseguita a sua volta una studentessa di nome Anita (Archna Poora Singh) che sembra un po la Pausini indiana, inseguendola in sogni ambientati in edifici industriali dove svolazzano catene arrugginite e cassettiere in metallo che sbattono i portellini in sincronia, mentre il commento musicale in sottofondo è un plagio evidente  della colonna sonora originale del capolavoro di Wes Craven. Assistiamo di seguito al balletto di coppia tra lei e il fidanzato Prakash (Karan Shah) mentre cantano felici d’amore, completamente sommersi dalle polluzioni dell’impianto di irrigazione di un elegante giardino tropicale. Come se non bastasse entra in scena Johny Lever, famoso comico della televisione indiana, che si veste con una tutina arancione della Puma e cerca di scimmiottare Michael Jackson dando vita a gag e balletti di discutibile efficacia. 

Lever alza poi il tono sdoppiandosi nel ruolo di un albergatore maniaco che fa delle espressioni in stile Franco Franchi, naturalmente prima di assistere a questo orribile doppelganger ci si deve sorbire un altro balletto, stavolta in stile Grease con gli studenti che fanno il trenino dell’amore sul letto di un fiume. Finalmente dopo tanto odio, spunta una scena horror con l’uccisione dell’amica di Anita, Seema (Kunika Sadanand) da parte del demone che sbuca con almeno una decina di mani guantate attraverso il tappeto dell’hotel mentre il suo fidanzato assiste impotente all’eccidio. Il culmine totale del trash però lo si raggiunge nella delirante scena dell’omicidio nel letto, scena che i Ramsay realizzano in una curiosa variante, il letto diventa un materasso ad acqua e quando si scoprono le lenzuola diventa un vero e proprio acquario dove Anita galleggia mollemente prima di trasformarsi (perché nel frattempo viene posseduta) nel mostro. 

Quello dei fratelli Ramsay è un concentrato degli anni ’80 a livello visivo, con citazioni de La Casa di Raimi e curiosamente anche una simpatica rievocazione del finale de La Chiesa di Michele Soavi per la scenografia del rito demoniaco finale. Ma soprattutto il concentrato è a livello musicale, tant’è che non esitano a buttarci dentro persino il Love Theme di Giorgio Moroder, rubato direttamente da Flashdance.  L’apparato tecnico non è disprezzabile e la regia, tolte alcune inquadrature schizofreniche (con vertiginose quanto inspiegabili rotazioni a 180°) è efficace. Diciamo che, se si eccettuano le peculiarità tipiche del cinema indiano, potremmo equipararlo ad un’onesto B - Movie da videoteca, ma questa è Bollywood, ovvero intrattenimento completo per grandi e piccini, dove la parola d’ordine è “esagerare” sempre e comunque.

mercoledì 22 marzo 2023

LA CASA 4: WITCHCRAFT

(1988) 

Regia Fabrizio Laurenti 

Cast David Hasselhoff, Catherine Hickland, Linda Blair 

Parla di “gruppo di personaggi improbabili si ritrova in albergo abbandonato su isola deserta in compagnia di vecchia strega piuttosto incazzata” 

Solo in Italia si riuscivano a realizzare i seguiti apocrifi di un film di successo come “Evil Dead” a profusione e, nel caso specifico, buttare dentro al cast un’improbabile accoppiata come il mascellone televisivo David Hasselhoff e la bambina posseduta de “L’Esorcista”, Linda Blair. Un progetto nato sull’onda del successo del precedente terzo capitolo (che è poi il primo di una serie sulla Casa scollegato dalla saga di Raimi) diretto da Umberto Lenzi e prodotto dalla Filmirage di Joe D’amato che, nonostante la povertà dei mezzi, riuscì comunque a fare un horror dignitoso (con tanto di pagliaccetto inquietante). Nel numero quattro il produttore è lo stesso ma il regista, che all’origine doveva essere Luigi Cozzi, venne sostituito dall’esordiente Fabrizio Laurenti. 

Il risultato di questa scelta si sente, soprattutto nella scrittura che risulta piatta e noiosa per almeno i sessanta minuti iniziali dove praticamente non succede nulla. Nell’ultima mezz’ora si scatena il finimondo ma sono pochi i momenti azzeccati mentre il resto sconfina purtroppo nel solito trash all’italiana ovvero esagerato, rozzo e francamente imbarazzante. Sottotitolato Witchcraft, il film ottenne un buon successo a livello estero e, stranamente, ottenne buoni incassi anche in Italia, merito forse degli attori di richiamo o di quel mix assurdo di elementi horror che passa da “Shining” fino a “Suspiria”, insomma un calderone pasticciato che aveva il suo perché. Nell’incipit dei titoli di testa c’è questa ragazza incinta col vestaglione inseguita da un gruppo di contadini armati di forcone, la donna entra in una grande casa per poi schiantarsi da una finestra. 

L’ambientazione è un vecchio albergo in disfacimento, su un’isola al largo del Massachussets dove troviamo questa coppietta di occupanti abusivi composta da Gary (David Hasselhoff) e Linda (Catherine Hickland) intenti a frugare nel ciarpame in attesa di vedere sulla costa la luce della strega che è poi la donna incinta di prima.  Nel frattempo approdano una coppia di vecchi affaristi che hanno acquistato l’albergo in compagnia di un’avvenente architetta che sembra più interessata al sesso che alle intercapedini, oltre ad un agente immobiliare talmente viscido e inetto che sembra lasciare scie di bava mentre cammina. Insomma, a parte qualche assurdo flashback dove c’è una tizia a cui viene cucita la bocca, non succede nulla. C’è questa vecchia vestita di nero che guarda alla finestra (interpretata dalla bravissima Hildegard Knef che avevo adorato ne La Nebbia degli Orrori) e il solito bambinetto scemo che gioca con una specie di registratore giocattolo in attesa che al pubblico venga propinata la solita voce satanica (stavolta in tedesco) uscita chissà da dove. 

Poi, senza alcun senso logico, architetta e agente immobiliare fanno sesso ma si ritrovano in un tunnel luminoso pieno di sbarre ricurve. Lei finisce impalata su un pesce spada imbalsamato (sic!) e lui crocefisso a testa in giù e arso vivo. Da qui in poi il film snocciola due scene interessanti, ovvero la morte di uno per esplosione delle vene e lo stupro onirico di Linda da parte di un assurdo personaggio con una specie di poltiglia bavosa sulla bocca. Nelle ultime scene Linda Blair (che era la sorella incinta del bambinetto) appare truccata da indemoniata con i capelli sparati verso l’alto e un trucco gothic sul viso contornato da un fintissimo sorriso satanico. Il tutto si conclude degnamente con l’espressione terrorizzata di Linda dopo aver scoperto di essere incinta. Un fermo immagine che riassume perfettamente lo spettatore all’uscita della sala. Laurenti ci delizierà successivamente con un’altra perla, ovvero le radici assassine di Contamination.7 ribattezzato senza alcun nesso 

giovedì 16 marzo 2023

FUGA DAL CARCERE FEMMINILE

(Bad Girl Dormitory, 1987) 

Regia Tim Kincaid 

Cast Donna Eskra, Teresa Farley, Rick Gianasi 

Parla di “carcere minorile attua un programma sperimentale ma siccome in questo film non si capisce un cazzo, noi non sapremo mai in cosa consiste…” 

Oggi parliamo del brutto cinematografico nella sua essenza più pura e da questo presupposto non può che scaturire un nome solo: Tim Kincaid, regista formatosi nell’ambiente gay porn con pseudonimi vari tipo Mac Larson o Joe Gage e approdato nella seconda metà degli anni ottanta al cinema di serie ultra-zeta di prevalenza horror fantascientifico per un breve periodo, salvo poi rientrare dalla porta di servizio nel mondo a luci rosse con l’avvento del nuovo millennio. Eppure nonostante i risultati pessimi delle sue produzioni il buon Kincaid mise a segno almeno un capolavoro, ricordato oggi come uno dei più brutti film mai realizzati al mondo, quel cult assoluto che rispondeva al nome di Robot Holocaust, una robaccia immonda ma divertentissima. Prima di arrivare a cotanta schifezza, Kincaid ci aveva già preannunciato di che pasta era fatto con le due opere precedenti, realizzate l’anno prima, ovvero l’horror Breeders e l’imbarazzante Bad Girl Dormitory uscito in videocassetta da noi con il titolo “Fuga dal carcere femminile”. 

In pratica Kincaid dirige con quest’ultimo una sorta di W.I.P. fuori tempo massimo ma realizzato con un’imperizia tecnica da far impallidire i cugini brasiliani, che su pessimi Woman in prison ci hanno costruito un impero, ma al cui confronto sembrano dei capolavori neorealisti. Gli antefatti ci mostrano una tizia appollaiata su un cornicione con un lenzuolo legato ai piedi, mentre non si sa da quale finestra, alcuni tizi la guardano con occhi sornioni. Dopo un tempo  che sembra eterno in cui la videocamera rimbalza da una faccia all’altra, finalmente la tizia si butta di sotto, schiantandosi contro il muro. Il film prosegue mostrandoci in modo piuttosto frettoloso gli arresti di un paio di ragazze, una che si spoglia ad un provino e un’altra a cui gli lasciano in mano il sacchetto della droga giusto un attimo prima che arrivi la polizia (insomma due geni!). Scopriamo poi la direttrice platinata e ipertruccata di un centro di riabilitazione per minorenni dove tutte le carcerate hanno invece gli anni di Noè, la quale vuole imbastire un non ben specificato programma sperimentale. 

In realtà tutto il resto del film lo passeremo a guardare le carcerate spogliarsi nelle docce, nei corridoi, nei sotterranei mentre flirtano con le guardie. Non manca l’infermiera lesbica ipertruccata ma stranamente, nel film non compaiono scene saffiche. In compenso Kincaid non lesina in scene di combattimenti, talmente ridicoli, lenti e montati approssimativamente che risulta difficile restare svegli durante la visione. L’unica scena forte è l’uccisione di una carcerata che viene strangolata con il fil di ferro fino a reciderle completamente il collo ma a parte questo la sceneggiatura è completamente pasticciata e il montaggio completamente privo di un filo logico. In particolare non si capisce quale sia il problema di questo carcere dove, a parte l’esterno che sembra un normale condominio ripreso da lontano, non si fa altro che ballare canzoni techno - pop anni ottanta (che peraltro plagiano i Depeche Mode) durante l’orario visite, trombare con i secondini nelle docce, fumare come ciminiere e snocciolare una profusione di improperi in mensa. Non c’è da stupirsi quindi che la protagonista, chiamata opportunatamente Rebel (Donna Eskra) dopo aver fatto fuori tutto il personale a fucilate, direttrice compresa, decida di rimanere nel carcere e diventare una sorta di boss della mala.  

mercoledì 8 marzo 2023

SEXUAL WITCHCRAFT

(1973) 

Regia Beau Buchanan 

Cast Levi Richards, Georgina Spelvin, Harding Harrison 

Parla di “Giovane arrapato torna in famiglia e scopre che i genitori si danno a riti satanici e festini sadomaso” 

Conosciuto anche come High Priestess of Sexual Witchcraft, questo hard degli anni settanta diretto da Beau Buchanan, si inserisce nel filone porn horror, lo stesso che ha sfornato capolavori come Hardgore, Thundercrack! e soprattutto The Devil in Miss Jones dal quale riprende la protagonista, la sexy star Georgina Spelvin, interprete di centinaia di film a luci rosse ma anche qualche filmaccio d’azione (per il mainstream fece una comparsata in Scuola di Polizia nella parte di una prostituta). Qui Georgina interpreta Evelyn, la madre del giovane Wayne (Levi Richards) in vacanza qualche giorno dai genitori con tutta l’intenzione di spassarsela. 

Lo vediamo fornicare al telefono con la sua ragazza e successivamente mettersi all’opera durante una festa con amici, al suo rientro a casa scopre che i genitori non stanno con le mani in mano, anzi si dedicano a pratiche sado maso dove ovviamente il padre subisce un trattamento da cane in calore mentre la mammina lo prende a frustate, il tutto si concluse con un onesto sessantanove, interrotto dall’ingresso del figlio, decisamente inopportuno. Ma le sorprese materne non finiscono qui, Wayne pedina in auto la madre fino ad un fatiscente palazzo dove assiste ad un vero e proprio rito esoterico, scoperto in flagrante, il giovane sarà costretto a partecipare all’iniziazione ma invero, non sarà poi così malaccio. E neanche il film, per essere un porno, è poi così male, la sceneggiatura, semplice e ben coordinata, si accorpa a sequenze di montaggio prese con la camera a mano per le vie di New York, la musica ossessiva traccia il solco per tutta l’esigua durata (62 minuti circa) e gli attori danno il meglio nelle performance hard che dal canto loro durano il giusto, senza eccessi e ripetizioni inutili. 

Il messaggio, neanche troppo velato, è un atto d’accusa nei confronti della bigotteria della classe borghese, capace di snocciolare frasi bibliche di giorno e scatenarsi nella peggiore perversione quando non vista. Buchanan, scomparso nel 2020, non ha un carnet registico molto affollato, solo 5 titoli tra cui il documentario Pornography in New York (non accreditato nei titoli) e la sexy commedia Happy Days uscita in contemporanea con la famosa serie televisiva ma seguendo ben altri canali distributivi.  

giovedì 2 marzo 2023

LE PORNO DETENUTE


(Presídio de Mulheres Violentadas, 1977) 

Regia Luiz Castellini e Antonio Polo Galante 

Cast Esmeralda Barros, Hugo Bidet, Shirley Steck 

Parla di “carcerate in camiciona e infradito che passano il tempo ad amoreggiare mentre ai vertici si trama alle loro spalle” 

Esmeralda Barros, sia a livello fisico che professionale, si potrebbe a tutti gli effetti considerare la Tura Satana brasiliana, purtroppo a livello di fama postuma (l’attrice è morta nel 2019 a 74 anni) non si può dire lo stesso, mancando nel suo curriculum un vero e proprio titolo di punta ma solo tanti B-Movie che spaziavano dall’horror al western, girati sia in Brasile che in Italia dove si trasferì nel 1966 fino 1977 quando, evidentemente delusa nelle sue aspettative sul bel paese, tornò raminga in Brasile per girare questo squallido W.I.P. diretto in tandem da due specialisti dell’erotico carioca come Luiz Castellini e Antonio Polo Galante.  Arricchito con l’aggiunta di scenette semi pornografiche visibilmente scollegate dal resto della pellicola, questo Presídio de Mulheres Violentadas narra le disavventure di due carcerate: Isidora (Eudósia Acuña) arrestata per spaccio nonostante sia incinta, e Maria (Shirley Steck) che si è fatta prendere a calci di pistola in faccia dal suo compare durante una rapina finita in omicidio. 

Le due vengono portate nel carcere di massima sicurezza detto “Il paradiso” dove la direttrice mette subito gli occhi su Maria e ordina alla prigioniera Nadir (Esmeralda Barros) di vegliare su di lei. Ovviamente Nadir prende in parola la direttrice e si assiste ad un improbabile rapporto saffico tra due controfigure fisicamente lontane mille miglia delle due protagoniste, il tutto mentre una terza detenuta assiste al rapporto scarrellando un bicchiere di latta sulle sbarre. Il resto del film prosegue su questo tono, snocciolando una congiura tra la sovrintendente e il medico del carcere interpretato da Hugo Bidet (un nome che è tutto un programma). Da segnalare tra le scene più imbarazzanti, quella in cui Maria e Nadir sono legate al palo, a gelare nel freddo notturno finchè Nadir si eccita e, non si sa come, sfila le catene e si butta su Maria, nonostante la temperatura sia sotto zero, le due si spogliano e amoreggiano. 

Nel film poi subentra anche un ispettore che sembra uscito da un poliziottesco di bassa lega, un politico disilluso, una carcerata psicopatica che scopre il piacere dell’omicidio e tante amenità del genere più o meno confuse. Il finale verte al massacro, indotto dalla ribellione delle carcerate che prendono a mazzate guardie e recluse senza distinzione, finchè ovviamente arriva la guardia nazionale a rimettere tutte in riga mentre il fotofinish finale le vede impegnate ad alzare la gamba destra per avviarsi verso il loro destino a passo d’oca. La cosa divertente di questi WIP (Women In Prison per chi si fosse collegato adesso) è che le detenute hanno sempre la stessa divisa, rigorosamente composta da una camiciona azzurra e infradito, praticamente un abbigliamento da post spiaggia caraibica.