mercoledì 24 maggio 2023

MEN BEHIND THE SUN

(Hai Tai Yeung 731, 1988) 

Regia Tun Fei Mou 

Cast Gang Wang, Runshen Wang, Dai Yao Wu 

Parla di “Divisione giapponese in Cina utilizza prigionieri per terribili esperimenti batteriologici” 

Non ho una gran passione per il cinema estremo, in particolare quello dove morte, violenza e sangue restano comunque fini a sè stessi, pur magari scagliando allo spettatore un deciso pugno allo stomaco. Altro discorso per quei film dove il pugno nello stomaco viene lanciato con un preciso scopo di denuncia sociale come ad esempio fu il bellissimo Soldato Blu di Ralph Nelson che, in un turbine finale di ultra violenza ricordava agli americani le loro colpe sui nativi e in particolare il raccapricciante massacro di Sand Creek. Ed è proprio la denuncia storica a giustificare le efferatezze di Men Behind the Sun, fortunato film di guerra che rivelava al mondo, pur se in chiave exploitation, gli orrori perpetrati, alla fine della seconda guerra mondiale, dall’Unità 731, famigerata divisione militare giapponese dislocata in Manciuria allo scopo di sperimentare nuove forme di guerra batteriologica. 

Guidata dal generale Shiro Ishii e da uno stuolo di soldati e medici, l’Unità 731 portò alla morte, tra sperimentazione, torture ed esecuzioni sommarie, la bellezza di 3000 vittime di nazionalità cinese e russa, chiamati Marut (lett. Tronchi). Il regista cinese T. F. Mou Tun-Fei si sbizzarrisce in una serie di morti grottesche, frutto di una crudeltà scientifica aberrante che ricalca le efferatezze compiute dagli alleati teutonici nei campi di concentramento, ma con una fantasia ancora più malata, se possibile. Vediamo quindi una madre con figlia che vengono avvelenate con il gas assieme ad una colomba, un uomo rinchiuso in una stanza iperbarica e sottoposto ad una pressione talmente forte da fargli espellere gli intestini, una donna a cui vengono congelate le mani e successivamente immerse nell’acqua calda finchè la pelle e la carne non si sfilano come guanti lasciando in bella mostra le ossa, fino alle scene più estreme divenute ben presto famose nell’immaginario collettivo. 

Parliamo del gatto divorato progressivamente da un nugolo di topi affamati (scena che fu per presa per reale anche se il regista dichiarò di non aver ucciso nessun felino utilizzando dieci gatti in una progressione di montaggio) e la tremenda operazione ai danni di un ragazzino muto a cui vengono asportati gli organi, sequenza per la quale fu accertato l’utilizzo di un vero cadavere (con l’approvazione dei parenti). In realtà di questa tremenda autopsia, a scioccare non è la dissezione delle interiora che rasenta la bassa macelleria, ma la straordinaria quanto inquietante dolcezza del ragazzino che si presta a sedersi, ignaro, sul tavolo operatorio, sorridente con un acerbo pene puntato verso il cielo mentre i medici lo sollecitano con una diabolica gentilezza. 

Il resto del film mescola crudeltà e propaganda, denigrando l’ottusità dei nipponici e l’eroismo dei prigionieri che tentano di fuggire nei campi inseguiti dalle camionette giapponesi, ci mostra un gruppo di giovani soldati che rimane sconcertato dagli orrori del campo, il generale Ishii che scopre, da un fortuito incidente, il sistema per diffondere le sue armi batteriologiche attraverso proiettili di ceramica (scena che si conclude con un maestosamente grottesco applauso globale), poi la disfatta, il massacro finale dei prigionieri gassati, l’ultimo marut che riesce miracolosamente a nascondersi in mezzo ai giapponesi in ritirata e viene scovato e ucciso a colpi di bandiera nipponica, il neonato soffocato nella neve con un semplice spostamento del piede di un soldato. La cosa più terrificante del film è forse la percezione che il regista non si è inventato nulla, anche se degli orrori del 731 non esistono documenti ufficiali, complice anche un colpevole occultamento da parte degli alleati al termine dei conflitti. Men Behind the Sun è diventato un cult anche da noi, per pochi, non essendo mai stato distribuito. Un titolo al quale seguirono altre tre pellicole, una serie quindi affine, per certi versi a quella giapponese di Guinea Pig, ma dotata di un sottotesto didattico che illustrava anche troppo dettagliatamente una delle tante vergogne nascoste del più tremendo conflitto bellico che ha segnato la storia dell’umanità.   

mercoledì 17 maggio 2023

FATHER’S DAY

(2011) 

Regia Astron-6 

Cast Adam Brooks, Amy Groening, Kevin Anderson 

Parla di “Assassino di padri di famiglia deve vedersela con la vendetta dei figli incazzati” 

Fondato nel 2007 da Adam Brooks e Jeremy Gillespie, il collettivo di film-makers americano Astron-6 si è sviluppato nel nuovo millennio con una sua impronta cinematografica ben definita. Nel tempo la compagnia ha inglobato al suo interno anche Matt Kennedy, Conor Sweeney e Steven Kostanski dando vita a titoli molto interessanti come il pluri-acclamato The Void e il divertente quanto dissacratorio Psycho Goreman. Dall’incontro con la Troma in veste di produttore, nasce un folle progetto che mescola fumettone pulp, anarchia trash e gore estremo, ovvero Father’s day che la società di Lloyd Kaufman e Michael Herz sembra voler contrapporre al precedente Mother’s day con oltre trent’anni di ritardo. Ma la contrapposizione è solo di facciata perché i due film sono assolutamente diversi l’uno dall’altro ed anche in termini qualitativi la proposta di Astron-6 è decisamente vincente. 

Si parla di Chris Fuchman, un serial killer che ha il pessimo vizietto di uccidere padri di famiglia dopo averli stuprati, generando però un manipolo di orfani decisi a vendicare il proprio genitore. Il più fico è Ahab (Adam Brooks) dotato di giaccona in pelle, benda nera sull’occhio (che omaggia la vendicatrice di Thriller: a cruel story) e pistolona facile. Ritiratosi nelle foreste canadesi ad estrarre sciroppo d’acero da alberi che non sono aceri, Ahab viene richiamato da Padre O’Flynn (Kevin Anderson) per uccidere Fuchman. Già dieci anni prima Ahab pensava di averlo ucciso ma la vittima si rivelò innocente e Ahab venne incarcerato. Stavolta il vendicatore monocolo deve salvare la sorella spogliarellista Chelsea (Amy Groening) rapita dal serial killer; ad aiutarlo oltre al prete, c’è anche il giovane Twink, anche lui orfano di padre assassinato da Fuchman, che di professione si dedica a far pompini per strada. 

Tra inquadrature frenetiche, fotografia ultra-satura e montaggio ipercinetico, Father’s day passa da un’idea all’altra fregandosene delle convenzioni e purtroppo anche della coerenza narrativa che sballa spesso e volentieri spiazzando lo spettatore. Si passa dalla commedia al thriller attraverso il cinema estremo con una sequenza decisamente insostenibile (almeno per noi maschietti) fino all’action frenetica con duelli in pickup, sparatorie e ambientazioni degradate che passano da fetide cantine a locali per striptease di quart’ordine. Alla fine il trio di vendicatori si reca anche all’inferno per chiudere la faccenda con un grottesco e viscido demone che possiede la sorella di Ahab e qui appare il sempiterno Lloyd Kaufman che interpreta nientemeno che il Divin Creatore, vestito di bianco come il megadirettore galattico fantozziano. 

Le creature a passo uno realizzate da Steven Kostanski sono spassose (il diavolone panzuto in particolare), gli effetti di make-up convincenti, ma la troppa carne sul fuoco, soprattutto nella prima parte, finisce per annoiare ed il trash volontario, quando è troppo forzato, manca di centrare il bersaglio, ovvero divertire lo spettatore. Nella seconda parte le cose procedono meglio ed il finale fantastico riesce ad appagare la nostra sete di follia. Rimane comunque un fiore all’occhiello della Troma, che quando vuole, riesce anche ad investire nella qualità e non solo nel delirio della cinematografia più underground.   

giovedì 11 maggio 2023

PSYCHOS IN LOVE

(1987) 

Regia Gorman Bechard 

Cast Debi Thibeault, Carmine Capobianco, Patti Chambers 

Parla di “coppia di serial killers si incontra, si ama e continua ad uccidere” 

Regista di culto per molti ma non per tutti, Gorman Bechard ha esordito nel 1984 con il Thriller Horror Disconnected, salvo poi lanciarsi nella commedia di genere, mescolata con richiami horror e fantascientifici, il tutto rigorosamente a budget zero o quasi. Psychos in love rappresenta il suo canto del cigno, una black comedy di matrice demenziale incentrata sul rapporto d’amore tra due serial killer. Joe (Carmine Capobianco) è un barman all’interno di un stripclub di quart’ordine dove un grosso cinese viene a chiedere birra ogni dieci secondi. Nelle prime scene del film descrive la sua vita in bianco e nero mentre sullo schermo si alternano (brutte) sequenze dei suoi omicidi, incentrati soprattutto alla ricerca dell’anima gemella. Il regista, in questo frangente, tenta a modo suo di omaggiare la scena della doccia di Psycho, cercando di clonare le celebri inquadrature della morte di Marion Crane. Dopo svariati tentativi incontra Kate (Debi Thibeault) di professione manicure, anche lei serial killer. 

Entrambi oltre alla passione per l’omicidio, hanno una profonda avversione per l’uva in tutte le salse e derivazioni. Il loro è un colpo di fulmine quasi istantaneo che darà vita ad un rapporto dove l’ammazzamento si alterna ad un romanticismo quasi surreale, almeno fino a quando la loro voglia di uccidere non subirà una forte crisi confluendo nell’incontro con un terzo serial killer, un viscido idraulico con tendenze antropofaghe, il quale metterà a posto ogni cosa. La verve surreale del film si sposa perfettamente con una confezione scialba e semi amatoriale che permea ogni fotogramma, ma Bechard riesce comunque a tirare fuori qualcosa di decente grazie ad un montaggio vivace e soprattutto grazie alla spontanea recitazione dei due protagonisti, in particolare la Thibeault che, con il suo visetto d’angelo, rende decisamente più gradevole la visione. 

Peccato che la grossolanità delle battute sparse qua e là non strappi una risata manco a morire, persino i personaggi più strani (la tizia logorroica del bar che preferirebbe essere smembrata piuttosto di vivere nella noia) risultano grotteschi e privi di mordente, così come l’espediente del metacinema che si infratta ogni tanto tra le scene (con membri della troupe che compaiono e scompaiono) e qualche scenetta demente (la spogliarellista che non muore mai), sebbene cerchino di tirar su il morale, non fanno altro che peggiorare la situazione. Tuttavia, se si amano le trashate in stile Troma, Psychos in Love risulta godibile a patto di essere dell’umore adatto per sopportare le trovate imbarazzanti snocciolate da Bechard ma soprattutto l’orrenda canzoncina cantata dai due protagonisti con una tastierina in sottofondo . 

Il sangue e le frattaglie abbondano, la narrazione si sviluppa senza particolari impacci e qualche sorriso non particolarmente forzato lo riesce anche a strappare. Certo una volta basta e avanza, ed infatti nel seguente tentativo di riproporci l’horror demenziale a colpi di psicopatici, Berchard cadrà miseramente nella bruttezza assoluta in “Cemetery High”, sua ultima prova  con cui chiuderà provvisoriamente la sua carriera anni ottanta. Berchard riprenderà in mano la macchina da presa solo nel 2002 realizzando cortometraggi, video e documentari musicali, tutta roba lontana anni luce da capolavori weirdo come questo. 

giovedì 4 maggio 2023

MAUSOLEUM

(1983) 

Regia Michael Dugan 

Cast Bobbie Bresee, Marjoe Gortner, Norman Burton 

Parla di “ragazzina che entra in un mausoleo e viene posseduta diventando una milf platinata ammazzatutti” 

L’inizio è una bomba weird di rara potenza, siamo ovviamente in un cimitero (con un titolo così non poteva andare diversamente) dove Susan, una ragazzina di dieci anni piange disperatamente per la perdita della madre. Quando la zia vuole riportarla a casa, Susan fugge fra le lapidi e davanti a sé appare un mausoleo immerso in una nuvola di nebbia grottescamente disegnata su pellicola. Entrata nell’edificio vede una tomba che comincia a produrre strani colori, arriva un tizio di cui non sapremo nulla ne riusciremo mai a vederlo in faccia, il quale chiede alla giovinetta cosa ci faccia in quel posto, viene subito attaccato da un terribile dolore alla testa, esce nel prato e il cervello gli esplode. Nonostante questo incipit deflagrante, il resto del film si manterrà su un’onesta linea da cinema di serie B tipico del periodo videocassettaro anni ottanta, arricchito da effettoni splatter e trucchi di make up del bravo Roger George (L’ululato, Terminator e Repo Man) che è poi l’unica nota di merito del film di Michael Dugan, estemporaneo artigiano del cinema con una filmografia che si conta sulle dita di una mano. 

Il proseguo della trama vede Susan (interpretata da Bobbie Bresee) trasformatasi nell’età adulta in una seducente milfona che ogni tanto diventa una specie di demone dagli occhi verdastri e si diverte a far fuori tutti quelli che entrano in casa, a partire dalla zia antipatica che sfracassa a terra non prima di averla sbudellata, o il giardiniere sornione che passa il tempo a tentare di sedurla e quando alla fine ci riesce questa gli regala una rastrellata sulla faccia. Dopo circa un’ora di film, finalmente, quel tontolone riccioluto del marito Oliver (Marjoe Gortner) si accorge che la moglie ha qualcosa che non va, visto che ogni notte la trova seduta davanti alla finestra in trance. A questo punto Oliver si rivolge al medico di famiglia, il dottor Andrews (Norman Burton) che nel tempo libero è anche ipnotizzatore e riesce a portare in trance Susan semplicemente mettendogli davanti un pendolo senza neanche la fatica di farlo oscillare.

Dalla seduta ipnotica emerge quindi che la donna è posseduta e solo applicandogli la corona di spine contenuta nel mausoleo sarà possibile allontanare il demone. Insomma la storia cerca di ricalcare il tema delle possessioni in stile “Esorcista” ma senza i mezzi né lo spessore del capolavoro di Friedkin. Il ritmo è bislacco e la recitazione raggiunge punte di incompetenza tipiche del prodotto nato sotto l’egida del cestone delle offerte natalizie tutto pieno di filmacci in vhs a prezzo scontatissimo. La Bresse, nota anche per aver la sua presenza in Ghoulies (1985), tentava allora la carriera come scream queen platinata, purtroppo il non aver azzeccato un film che sia uno, fece naufragare miseramente la sua carriera.