giovedì 16 dicembre 2021

DOLLMAN

 (1991) 

Regia Albert Pyun 

Cast Tim Thomerson, Frank Collison, Kamala Lopez 

Genere Poliziesco, Drammatico, Fantascienza 

Parla di “Poliziotto alieno giunge per sbaglio sulla Terra e scopre di essere un nanetto nei confronti degli altri” 

Ispiratosi all’omonimo personaggio dei fumetti realizzati dalla Quality Comics (successivamente inglobato nell’Universo della DC Comics) Charles Band scrive e produce questo DollMan coadiuvato da Albert Pyun che aveva già distrutto, l’anno precedente, il mito di Capitan America, trasformando un possibile blockbuster in un fiasco colossale. Evidentemente le troppe aspettative distruggono l’estro creativo perché questo DollMan, realizzato con quattro soldi e poche pretese, non è affatto malaccio. Certo siamo relegati ad aeternum nell’olimpo del B Movie fracassone e scartavetrato, ma l’idea di base, che riprende dal fumetto originale solo il rimpicciolimento (in questo caso involontario), è quanto meno geniale. Il mix vincente infatti, è quello di mescolare fantascienza e gang movie con un pizzico di mechasplatter alla Robocop che non guasta mai. Siamo sul Pianeta Arturos, che si differenzia dal nostro pianeta grazie ad una serie di sfondi cartonati che riproducono una città futurista. Addentrandoci nei vicoli però scopriamo che ad Arturos ci sono lavanderie a gettoni gestite da una famiglia di ciccione come quella che viene presa in ostaggio da un criminale senza molta convinzione. 

Entra in scena Brick Bardo (Tim Thomerson), anziana mascella indurita, capelli cotonati bianchi e sempiterno cappottino indosso, ovviamente poliziotto messo a riposo per i suoi metodi poco convenzionali. Infatti dopo aver liberato gli ostaggi senza colpo ferire, viene additato come massacratore di bambini dalla stampa imbrogliona. Successivamente Bardo si ritrova in una specie di discarica dove il suo nemico numero uno, Sprug (Frank Collison), dopo aver sterminato la sua famiglia, vuole neutralizzarlo per sempre. Da notare che ci troviamo davanti uno dei villain più belli di sempre, praticamente una testa attaccata ad una specie di skateboard volante (il resto del corpo è stato disintegrato a puntate da Bardo). La colluttazione che ne segue vede i due nemici inseguirsi nello spazio con due astronavicelle e finire direttamente sul Pianeta Terra dove le dimensioni sono 6 volte maggiori. A questo punto Pyun si sbizzarrisce nel mostrarci edificanti scene di urbano degrado (il film è ambientato nel Bronx) per una decina di minuti, così per introdurci adeguatamente alla seconda parte del film.  


L’astronave di Bardo è incastrata in una discarica (Praticamente il film è tutta una discarica) dove il poliziotto spaziale assiste all’aggressione di Debi (Kamala Lopez) giovane latina in prima linea nella lotta contro il degrado e lo spaccio nel quartiere. Bardo riesce a salvare Debi la quale, sconvolta dalla presenza di questo miniuomo, si carica sotto il braccio l’intera astronave e se la porta a casa. Qui il fratellino Kevin pensa che l’astronave sia un giocattolo e non ha tutti i torti anche perché il veicolo, realizzato in estrema economia, sembra proprio un aereoplanino di cartone. Il proseguo della storia vede Sprug allearsi con il gangster Braxton Red (Jackie Earle Haley ) promettendogli una bomba in grado di distruggere il mondo. In realtà il terrificante ordigno non è altri che una scheda elettronica con un transistor saldato alla cazzo di cane e quando esplode a fine film, praticamente distrugge a malapena una stanzetta. Durata al minimo sindacale (81 minuti di cui gli ultimi dieci sono occupati dai titoli di coda), effetti speciali poverissimi ma la sceneggiatura dopotutto funziona e riesce a rendere godibile questa variante Sci-Fi de I Viaggi di Gulliver.

giovedì 9 dicembre 2021

L’ UOMO PUMA

(1980)


Regia: Alberto De Martino

Cast: Donald Pleasence, Sidney Rome, Walter George Alton

Genere: Supereroi, Fantascienza, avventura

Parla di: “Paleontologo scopre di essere supereroe che deve combattere contro cattivaccio alla conquista del mondo”

Considerarlo uno dei peggiori film di supereroi mai realizzati appare forse ingiusto, sarebbe meglio considerarlo invece uno dei peggiori film mai realizzati in generale. Inutile catalogare questa pellicola di Alberto De Martino limitandone le potenzialità espressive del brutto cinematografico quando si ha per le mani un simile capolavoro di incompetenza e povertà. Realizzato fuori tempo massimo,  sull’onda del successo del Superman con Christopher Reeve (in quell’anno uscì il secondo capitolo), l’Uomo Puma doveva essere la risposta italiana ai blockbusters hollywoodiani ed infatti lo fu, una risposta sbagliata, purtroppo che De Martino pagò con un fiasco clamoroso al botteghino oltre ad una valanga di recensioni negative (anche se, secondo il regista, ci furono anche quelle positive ma non ci è dato di sapere quali). 

Del resto un film che inizia con un palloncino intergalattico che svolazza su modellini di Dolmen e parla di civiltà azteche mentre la voce narrante urla a tutto spiano “Uomo Puma! Uomo Puma! Uomo Puma!” non lascia molte speranze. Se poi il cast comprende una Sidney Rome vestita con un ridicolo tutone in pelle nera che farfuglia nel suo italiano stentato e l’ingombrante presenza di Miguel Ángel Fuentes (massì che ve lo ricordate, era Gordon, il messicano tuttofare ne Il Triangolo delle Bermude) il quale, per scoprire l’identità dell’Uomo Puma, butta giovani americani dalla finestra (così se volano sono il supereroe, altrimenti schiattano!) allora potete stare certi che il capolavoro Cult è dietro l’angolo. 

Protagonista della vicenda è un giovane paleontologo (interpretato dall’americano Walter George Alton, appena uscito dal cast di 10 di Blake Edwards) che scopre di appartenere alla razza aliena degli uomini puma, in grado di vedere in notturna con occhi verdognoli e volare come se stesse nuotando a rana, lo vediamo infatti ondeggiare paurosamente su immagini in sovrimpressione ed ogni tanto camminare addirittura sulle gigantografia di megalopoli occidentali in un gioco di proporzioni assolutamente sbagliato. Gli effetti speciali sono realizzati con tecniche che Hollywood si sogna (negli incubi di ogni effettista americano c’è sempre “L’uomo Puma”), basti pensare che per simulare l’ipnosi dei personaggi soggiogati al volere della maschera d’oro, si usano specchi ondulati e oscene maschere di ceramica con tubicini arrotolati e attaccati sulle tempie. A concludere questa farsa supereroistica all’amatriciana troviamo il buon Donald Pleasence, ormai a chilometro zero nel territorio tricolore, nella consueta parte del cattivone di turno, il diabolico Kobras che, tanto per cambiare, vuole conquistare il mondo.

lunedì 29 novembre 2021

PTERODACTYL WOMAN FROM BEVERLY HILLS

 (1995) 

Regia Philippe Mora 

Cast Beverly D’Angelo, Brad Wilson, Brion James 

Genere  Commedia, Fantastico 

Parla di “Moglie di paleontologo viene maledetta da stregone con nome da artista e si trasforma in uno pterodattilo” 

Realizzato attorno alla figura, ai tempi discretamente famosa, dell’attice Beverly D’Angelo, questo film demenziale prodotto dalla Troma Entertainment e diretto dall’australiano  Philippe Mora, rappresenta uno sforzo produttivo notevole per Lloyd Kaufman e Michael Herz, forti della presenza di un’attrice di punta, conosciuta più che per le sue doti artistiche, per la sua partecipazione alla serie comica del National Lampoon's Vacation e per la sua relazione con Al Pacino a cui diede due figli. Il risultato è la dimostrazione pratica che non basta un’attrice di grido e qualche dinosauro buttato nella mischia (siamo nel periodo di coda dell'exploit di Jurassic Park) a generare un successo, soprattutto se ci si trova a combattere con uno script imbarazzante e completamente spogliato dell’umorismo di grana grossa che ha segnato le produzioni della casa distributrice nuovayorkese. 


Il tentativo di Kaufman e soci di fare il saltone di qualità epura totalmente sangue e frattaglie, violenza e cattivo gusto dal copione generando una commediola stupidotta e senza senso incentrata su un paleontolo  di nome Dick (che trova un uovo di dinosauro all’interno di una zona proibita (ispirandosi qui al classicone Valley of Gwangi con tanto di combattimenti tra dinosauri gommosi animati a passo uno) e viene maledetto da un assurdo stregone che si fa chiamare Salvador Dalì. La maledizione però non colpisce il ricercatore direttamente (interpretato da Brad Wilson) ma la moglie Pixie (Beverly D’Angelo) che nel frattempo se la spassa nella sua villa a Beverly Hills con i figli. Gradualmente la donna rifiuta le uova, si terrorizza davanti a pietanze a base di pollame e si ciba esclusivamente di pesce crudo mangiato direttamente alla fonte, inizia a starnazzare come una gallina finchè il marito non la ritrova all’alba appesa ad un albero. 

 


Dick (il cui nome genera la solita sequela di doppi sensi) non tarderà a scoprire che la moglie, di notte, si trasforma in un ibrido umano/pterodattilo il cui trucco (a metà tra un pollo e un vampiro) è probabilmente la cosa più costosa di tutto il film. Pixie arriva a generare pure un figlio, o meglio un ovetto da cui uscirà un piccolo pterodattilo, da qui la decisione di rivolgersi ad un santone (interpretato da Brion James che fa anche la parte dello stregone Dalì) ma senza risultato. L’unica soluzione al problema è quella di tornare nella zona desertica e chiedere scusa a Salvador Dalì. Con una trama infarcita di dialoghi senza senso per oltre 100 minuti, con effetti che oscillano tra un make-up decente a mutazioni  che neanche negli anni cinquanta erano così brutte, non si poteva certo sperare di fare il saltone di qualità. L’unica a saltare infatti  è la  D’Angelo che zompetta a gambe aperte e oscilla la testa tentando di imitare una gallina, ma per Kaufman e tutta la Troma non c’è neanche la speranza che questa faccia le uova d’oro.

lunedì 22 novembre 2021

THE GARBAGE PAIL KIDS MOVIE

 (1987) 

Regia Rod Amateau 

Cast: Mackenzie Astin, Anthony Newley, Katie Barberi 

Genere: Demenziale, Fantascienza, Commedia 

Parla di “mostriciattoli schifosi usciti da carte da gioco per bambini nerd, si trasformano in sarti per aiutare ragazzino nelle sue conquiste amorose” 

Ok, d’accordo che realizzare un film tratto da una serie di figurine non è cosa facile ma con un budget, tutto sommato cospicuo, di un milione di dollari si poteva pensare almeno di spremersi di più le meningi e tentare di scrivere una storia meno cretina di questa. The Garbage Pail Kids (lett. I ragazzi del bidone dell’immondizia) è una serie di figurine realizzate nel 1985 dalla Società americana Topps Company basate su personaggi mostruosi e demenziali che da noi arrivarono negli anni novanta con il nome di Sgorbions, fregiati da nomignoli come Donata Avariata, Riccardo Superlardo o Gustava la Sbava. Insomma il paradiso dei ragazzini in cerca di sensazioni trash, cosa potevamo dunque aspettarci da un film ispirato a cotanta bruttezza? Ecco quindi che il regista televisivo Rod Amateau (deceduto nel 2003), che da noi era conosciuto per la commedia “Dimmi dove ti fa male?” con Peter Sellers, ci confeziona una commedia fantascientifica tipicamente anni ottanta che sembra uscita dalla fucina della Full Moon Entertainment di Charles Band. 

Mostriciattoli realizzati con attori nani che indossano orribili mascheroni rotondi le cui misere espressioni facciali sono date da piccoli congegni meccanici sottopelle. La trama è incentrata sul folle amore del quattordicenne Dodger (Mackenzie Astin) per la bionda Tangerine (Katie Barberi) e per questo viene bullizzato dal suo fidanzato Juice e la sua combriccola di teppisti in tutina da aerobica colorata. Lavorando nel negozietto di cianfrusaglie del Capitano Manzini (Anthony Newley ovvero il dottor doolittle del 1967), scopre uno strano bidone che, analogalmente al vaso di Pandora, non deve essere mai scoperchiato. Purtroppo l’intervento dei bulletti rovescerà il bidone travasando fuori una specie di slime verdastro che libererà i sette mostriciattoli ovvero Greaser Greg (interpretato da uno dei “nani” più famosi dello schermo, Phil Fondacaro conosciuto per le sue interpretazioni di Willow e il primo Troll), Valerie Vomit, lo scureggione Windy Winston, Ali Gator (goloso delle dita dei piedi umane), l’orrendo bebè Phil Foul, il ciccione brufoloso Nat Nerd che si piscia sempre addosso e la bavosa Messy Tessie. 


A questo immaginerete una serie di situazioni al limite del buon gusto e del politically uncorrect, invece i mostriciattoli si rivelano essere dei grandissimi…sarti! E per aiutare il piccolo Dodger a conquistare Tangerine confezionano sbarluscenti abitini per organizzarle una sfilata di moda. Peccato che Tangerine, in combutta con Juice, ordisca alle spalle del ragazzino, lo fa sbattere in un cassonetto e fa rinchiudere i mostri in un assurdo Istituto per brutti in compagnia di nani, pagliacci e addirittura Babbo Natale. Tra battute penose, ambientazioni trash anni ottanta e un compendio narrativo che si snoda come un compitino da prima elementare, il film assume nella sua povertà creativa un’aura sfigata che lo rende un prodottino di culto (si paventava addirittura un reboot nel 2012 fortunatamente cancellato) soprattutto nel suo momento di topica bruttezza in cui il gruppo dei ragazzi del bidone canta in coro un’assurda canzoncina che sembra fuoriuscita da un musical organizzato in oratorio. A metà tra un prodotto “ricco” della Troma e la demenzialità assoluta del Troll 2 di Claudio Fragasso, The Garbage Pail Kids ha tutte le carte in regola per farvi innamorare, ma solo se siete puri e duri estimatori del brutto tout court. 

lunedì 15 novembre 2021

LA CASA DEL MALE

 (The House Where Evil Dwells, 1982)

Regia Kevin Connor

Cast Edward Albert, Doug McClure, Susan George

Genere: Horror

 Parla di “Famigliola Americana deve vedersela con ridicoli fantasmi dell’antico Giappone”

Negli anni di gioventù, quando si scovavano vecchi film nelle Tv private al pomeriggio, il nome di Kevin Connor girava abbastanza frequentemente, grazie a quegli splendidi film d’avventura tratti dai romanzi di Edgar Rice Burroughs come La Terra dimenticata dal tempo (The Land That Time Forgot, 1975) o Centro della Terra: continente sconosciuto (At the Earth's Core, 1976) e Gli uomini della terra dimenticata dal tempo (The People That Time Forgot, 1977), una sorta di trilogia avventurosa che si ispirava anche a Il mondo perduto di Sir Conan Doyle, ottimi prodotti di intrattenimento con tanti bei dinosauri a passo uno che divertivano noi piccini amanti dei mostri. Dulcis in fundo, Connor ha girato uno degli horror a episodi più belli che la Amicus abbia mai sfornato. Parliamo de La Bottega che vendeva la morte (From beyond the grave, 1973) interpretato da un magnifico Peter Cushing. 

Con queste premesse risulta assai doloroso parlare di questo The House Where Evil Dwells, incursione asiatica del genere Haunted House, perché se da un lato va elogiato un buon cast e il coraggio di portare il genere british horror in Giappone, dall’altro l’operazione fallisce miseramente nella sua realizzazione scadendo senza pietà nel trash più assoluto. Si inizia con un delitto passionale ambientato nel Giappone del 1840 dove Otami, una giovane donna invita a casa l’amante ma il marito Samurai li scopre e li affetta a colpi di Katana per poi fare Hara-kiri. Fin qui niente di speciale, la scena è ben fatta e dimostra senza alcun dubbio che il vecchio Connor ancora ci sa fare. Poi si torna ai giorni nostri quando il giovane reporter Ted (Edward Albert) si stabilisce con la famigliola proprio nella casa dell’eccidio che l’amico console Alex (Doug McClure) gli ha procurato a basso costo. E anche fin qui tutto ok, niente di nuovo sotto il Sol Levante ma almeno il film sembra decoroso. 

I problemi iniziano quando cominciano ad apparire i fantasmi dei tre morti, che vediamo in trasparenza bluastra mentre confabulano animatamente tra di loro in giapponese, ogni tanto uno dei tre si infila nel corpo della moglie di Ted, Laura (Susan George) per innescare una tresca tra la donna e Alex, qualche piatto (addirittura una maschera) salta dalla parete e si giunge allo zenith più estremo quando la figlia Amy (Amy Barrett) vede uno dei fantasmi giapponesi che fa le smorfie nella zuppa per poi degenerare con l’avvento di mostruosi granchi che borbottano comicamente come lottatori di Sumo. Non si capisce se l’intento comico del film è voluto, di certo le scene che si vorrebbero più terrificanti diventano invece quelle più esilaranti, come la sequenza di Ted che va a fotografare delle pescatrici in apnea e cade nell’acqua dove viene spinto giù da una nuotatrice in topless. La George ci sollucchera con nudi più o meno espliciti ma fa delle smorfie veramente buffe quando deve invece esprimere rabbia e dolore. Anche la scena dell’esorcismo da parte di un monaco zen raggiunge livelli di ilarità assoluta quando spinge fuori di casa i tre fantasmi a botte di acqua santa (o roba simile). Finale alla Bud Spencer e Terence Hill con botte da orbi e pareti che si smontano da tutte le parti con qualche sequenza di sangue che non salva comunque l’opera dal disastro totale.

venerdì 5 novembre 2021

BIANCANEVE E I SETTE NANI

(1995) 

Regia Luca Damiano 

Cast Ludmilla Antonova, Vicca, John Walton 

Genere; Fantasy, Porno, Commedia 

Parla di “Biancaneve scopre il sesso grazie ai nanetti mentre la regina cattiva cerca di avvelenarla, ma ci penserà il principe azzurro a darle una svegliatina” 

Negli anni mi sono dovuto convincere del fatto che per trovare dei veri cult all’interno del cinema trash bisogna andare a ricercarli nel mercato del porno, dove spulciando attentamente si trovano delle vere e proprie chicche. E’ il caso di questo imbarazzante capolavoro di Luca Damiano (pseudonimo del regista Franco Lo Cascio), conosciuto anche con il geniale titolo “Biancaneve sotto i nani” che replica in versione a luci rosse l’omonimo cartone animato della Disney. Prodotto tra Italia e Ungheria, il film vede il giusto confronto tra due indimenticabili pornostar dell’est europa come l’ungherese Ludmilla Antonova (conosciuta anche come Camilla Astori o Julia Larot) nel ruolo di Biancaneve e la russa Vicca, al secolo Viktoria Kokorina nel ruolo della regina cattiva. 

Come nell’omonima favola dei fratelli Grimm anche qui la regina malvagia costringe la principessa Biancaneve a fare la servetta per evitare che la bellezza di quest’ultima oscuri la sua, per questo la monarca consulta lo specchio magico in cui appare un assurdo vecchietto vestito come un monaco che parla in napoletano stretto. Nel frattempo Biancaneve, tra una pulizia e l’altra, scopre le gioie della propria vagina. Da parte sua la regina si gode non meno di quattro stalloni alla volta, coadiuvata dalle due ancelle che ne preparano i falli a colpi di fellatio. Sempre più gelosa della principessina, la malvagia regnante la fa condurre nel bosco dal cacciatore assassino che si chiama LAIDS, e qui si produce una delle più aberranti battutacce del film: 

Biancaneve “Oh no! Che vuoi fare? Non mi vorrai uccidere? Abbi pietà.”  

LAIDS” Accidentaccio! Non posso ucciderti” Biancaneve. Tu mi conosci. Che disdetta! Ed io conosco te.”  

Biancaneve: “L'AIDS. Se lo conosci non ti uccide”.  

Una scena del genere neanche gli Squallor erano riusciti a immaginarla, ma il meglio (o il peggio) deve ancora venire. Arricchita da effetti grafici da filmino delle vacanze, la fuga di Biancaneve trova la sua nemesi in una baita nel bosco dove scopre gli ormai arcinoti lettini dei nanetti. Nel frattempo il cacciatore LAIDS riceve il giusto premio sessuale dalla regina per la missione conclusa, recando alla donna il cuore di Biancaneve che non è altro che un gommino rosso di quelli che compri in cartoleria. A questo punto il geniale Lo Cascio si cimenta in un montaggio sdoppiato che vede da una parte l’educazione sessuale di Biancaneve da parte dei laidi nanetti che sono veri attori nani tra cui una specie di sosia di Roberto Marotta, allora conosciuto per lo spot “Ciribiribi Kodak” che infatti viene citato a dismisura.; dall’altra invece vediamo l’amplesso prolungato tra regina e cacciatore che si concluderà tragicamente quando la donna scoprirà l’inganno. La regina a questo punto invoca la magia nera in un altro tripudio di effetti grafici da prima comunione e diventa un vecchietto vestito da donna con un nasone enorme e un gigantesco neo in faccia. 

Il resto della fiaba lo conosciamo a menadito, c’è il principe azzurro che, incitato dal padre a trovarsi una consorte e sfornare un erede, gira per i campi a zomparsi le contadine fino a giungere alla baita della principessa dormiente, e non sarà solo un bacio a svegliarla! Incredibilmente lungo (dura quasi due ore), arricchito da costumi di carnevale, spadoni di plastica e la musichetta ossessiva di Eduardo Alfieri che sembra una marcia medievale in salsa synth-pop, il film è comunque godibile dall’inizio fino alla fine. La Antonova sembra sempre drogata fino al midollo con quel suo sorrisino ebete con cui cerca di convincerci della sua innocenza, la Kokorina invece mantiene inalterata la sua marmorea espressività russa. I nanetti, i cui nomi resteranno per sempre celati al mondo del cinema, invece sono spassosissimi nella loro anarchica caciara da bar dello sport. Insomma la fiaba più famosa del mondo trova qui una diversa connotazione cinematografica che ci fa rimpiangere i vecchi cinemini porno dove si andava a vedere veri film e non squallide soggettive amatoriali buone solo per una pugnetta. Tra le maestranze tecniche del film, a sorpresa, appare il nome di Joe D’amato come direttore della seconda unità. 

giovedì 28 ottobre 2021

TEENAGE SPACE VAMPIRES

 (1998) 

Regia Martin Wood 

Cast Robin Dunne, Mac Fyfe, James Kee 

Parla di “studentello assiste ad atterraggio di vampiri spaziali che contagiano i bulletti della scuola e vogliono oscurare la Terra” 

Ispirandosi al classico “Invaders from Mars” ma anche al più recente “Ammazzavampiri”, il regista Martin Wood, la cui carriera oscillerà prettamente tra documentari e serie televisive, confeziona un teen horror fantascientifico in linea con la moda dell’epoca. Stranamente però questo titolo non giungerà mai in Italia, stranamente dico perché in quel periodo veniva distribuito un po' di tutto e, dal punto di vista tecnico il film si presenta con una buona realizzazione e degli effetti speciali discreti. Allora perché Teenage Space Vampires è rimasto inedito da noi? Semplicemente perché, nonostante il tentativo di utilizzare effetti speciali all’epoca avveniristici come la VFX digitale, tutto il resto del film sa di mortalmente vecchio, visto e stravisto e terribilmente noioso. Il plot vede il solito studente appassionato di fantascienza che, svegliato di soprassalto da un misterioso bagliore notturno, è testimone dell’atterraggio di un’astronave aliena. 

Ovviamente nessuno vuole credergli anche se il misterioso veicolo spaziale è parcheggiato sfacciatamente in un giardinetto con tanto di piccoli Gargoyle di pietra appostati di lato. Il bello è che sembra, più che un’astronave aliena, una scultura moderna ovvero una sorta di rotellona in verticale fatta di metallo, una specie di opera in stile Gio Pomodoro, per intenderci. Nel frattempo che il giovane protagonista Bill (interpretato da Robin Dunne) cerca di toccare l’astronave e viene allontanato a colpi di ringhio da una vecchia rincitrullita, un team di ufologi si reca sul posto per analizzare l’UFO ma due dei tre ricercatori spariscono senza lasciare traccia. Il sopravvissuto si unirà a Bill per cacciare un’orda di vampiri spaziali che contamineranno tutti i bulletti della scuola con l’intento di oscurare la Terra e potersi cibare liberamente degli esseri umani. 

Uscito otto anni dopo quell’altra ciofeca de “I sonnambuli”, il film di Wood utilizza anch’esso i primi rudimenti della Visual Effect digitale con animazioni gargoylesche appena accennate e mutazioni facciali computerizzate che ci offrono un valido aperitivo delle orripilanti nefandezze compiute dalla Asylum qualche anno dopo. La narrazione si sviluppa con una lentezza devastante, seppur condensata in appena 80 minuti, con battute da collegiali stanchi e personaggi stereotipati al punto da risultare un compendio generico e malfatto di tutto il teen horror degli ultimi 10 anni. Sarà che il nuovo millennio era vicino, sarà la pochezza dei mezzi, sarà la poca esperienza cinematografica del regista (del quale questo titolo risulterà essere l’unica opera da grande schermo realizzata) ma la sensazione nel guardare questo Teenage Space Vampires è quella di un film nato già vecchio e invecchiato anche peggio.  

mercoledì 20 ottobre 2021

L'INVINCIBILE BATMAN

 (Yilmayan Seytan, 1973) 

Regia Yilmaz Atadeniz 

Cast Mine Mutlu, Kunt Tulgar, Erol Tas 

Genere: Azione, Thriller, Fantascienza 

Parla di “Poliziotto menaschiaffi indossa passamontagna e mascherina e diventa supereroe contro criminali e robottoni in cartapesta” 

Sembra incredibile a dirsi ma, nonostante la fama strameritata del cinema turco anni settanta, ovvero plagiare supereroi senza pagare mai uno straccio di diritto d’autore, in questo specifico caso l’unico plagio attribuibile a quest’opera diretta da Yilmaz Atadeniz è colpa dei distributori italiani, rei di averlo titolato come il celebre supereroe di Gotham City (in realtà il titolo italiano alternativo era "L'invincibile Bedman ovvero uomo-letto), che in questo frangente, non c’entra una beata fava. Il supereroe di questa ennesima trashata turca è, difatti, Testa di Bronzo, ovvero un poliziotto piuttosto manesco a cui il capo dona una specie di passamontagna pieno di lustrini dorati e un foulard rosso. Grazie a questo potentissimo escamotage, il nostro eroe riesce a correre, saltare addosso ai cattivi e menarli di brutto. 

Al centro della storia c’è il solito avveniristico esperimento bellico che dovrebbe telecomandare a distanza gli areoplani.Vediamo infatti il test eseguito attraverso improbabili filmati recuperati dal regista attraverso vecchi film di guerra. Non a caso gli aerei inquadrati sono Fokker della prima Guerra Mondiale. Tuttavia l’invenzione ingolosisce un certo Dottor Diabolicus interpretato dal macellaio turco sottocasa dotato di due assurdi baffoni alla Fu Manchu e immense sopracciglia attaccate con lo scotch. Siccome non c’è fine al peggio, lo scopo di Diabolicus è quello di comandare a distanza un delirante robottone ricavato da scatole di cartone pressato e dipinto d’argento che si muove come una foca imbizzarrita. A rincarare la dose del trash c’è pure il comprimario del protagonista, che nel doppiaggio italiano si chiama Malridotto, un assurdo vecchietto che fa battute terrificanti cercando di imitare Groucho Marx ma vestendosi come uno Sherlock Holmes in debito di kebab. 

A rincarare il deliro la colonna sonora passa improvvisamente dalla musica classica al rock psichedelico arrivando a plagiare persino “Oye como Va” di Santana. Durante tutto il film il protagonista Kunt Tulgar corre a destra e a sinistra menando schiaffazzi come se non ci fosse un domani, passando improvvisamente da una stanza chiusa ad uno spazio aperto grazie ad un montaggio che non conosce confini anche se, a onor del vero, risulta la cosa migliore del film e contribuisce a non far addormentare lo spettatore. Il finale raggiunge livelli estatici di demenzialità inquadrando Tulgar che passeggia allegramente sorreggendo Malridotto a testa in giù, una fotografia abbastanza evidente del disturbo mentale di chi realizzava le sceneggiature di questi piccoli capolavori di delirio supremo. 

martedì 12 ottobre 2021

MERMAID IN A MANHOLE

 (Ginî piggu: Manhôru no naka no ningyo, 1988)  

 Regia Hideshi Hino   

 Cast: Shigeru Saiki, Mari Somei, Masami Hisamoto

Parla di “pittore cerca nelle fogne e trova modella sirena in fase di putrefazione con cui realizzerà il suo capolavoro”

Quarto capitolo della infame serie Guinea Pig inventata da Hideshi Hino e concepita come una sorta di mostra degli orrori giapponese a partire dal primo capitolo, una vera e propria rielaborazione dello snuff movie con tutti i problemi giudiziari al seguito soprattutto dopo la denuncia di Martin Sheen, che lo scambiò per vero. A prescindere dalle questioni di falso e vero che la serie suscitò, questo Manhoru no naka no ningyo cambia direzione per quanto riguarda il plot espresso nei precedenti capitoli. Abbandonata la pura e semplice rappresentazione gratuita di torture e smembramenti, Hino vira verso una vera e propria storia dell'orrore inserendone però un'insolita connotazione romantica. Certo non mancano i dettagli forti, le inquadrature da vomito e il disgusto regna sovrano ma il tutto appare meno gratuito del solito ed il film, di breve durata, si lascia vedere piacevolmente (possibilmente non dopo aver mangiato). 

Un pittore vedovo si aggira nelle fogne tra rifiuti e cadaveri di bambini gettati nelle acque, il suo intento è trovare soggetti da dipingere, lo vediamo infatti intento sin da subito a ritrarre il neonato immerso nelle acque limacciose con gli occhi chiusi. Successivamente però accade un fatto straordinario, nei cunicoli l'artista (Shigeru Saiki) incontra una splendida sirena ferita (Mari Somei), la porta a casa per dipingerla (esortato anche da lei stessa) ma il corpo della creatura è destinato progressivamente a marcire. A questo punto assistiamo ad un tripudio di verruche e tumori marcescenti che prendono possesso gradualmente del corpo di lei, esplodendo in liquami di pus colorato, interiora viscide e vermi schifosi.

C'è veramente da stare male a guardare certe scene, pur se ben realizzate (anche troppo). Il pittore fa di tutto per fermare la decomposizione della sirena ma inutilmente, l'unica cosa da fare è finire il quadro, che partendo da un ritratto si trasforma nella rappresentazione surreale di un volto purulento e grottesco. Questa versione splatter della sirenetta è, a oggi, la cosa migliore partorita dalla serie Guinea Pig. Un perfetto connubio di poesia e stomaco che si insinua nei nostri occhi e strizza violentemente le nostre viscere regalandoci disgusto e disperazione in quella che potrebbe essere definita una fiaba d'amore virata al nero. Hino ci inonda di vermi giganti che escono dalle piaghe purulente e alle volte, il cervello dello spettatore, talmente aggredito da queste immagini orrende, sembra che riesca a ricevere anche gli odori marcescenti di un corpo che si lacera mutando la carne in una nuova, oscena, forma d'arte.  

mercoledì 29 settembre 2021

HORRORS OF MALFORMED MEN

 (Edogawa ranpo taizen: Kyofu kikei ningen, 1969) 

Regia Teruo Ishii 

Cast Teruo Yoshida, Tatsumi Hijikata, Yukie Kagawa 

Parla di “mostri palmati, donne incatenate che mangiano granchi, donne argentate, facce infarinate in un trip psichedelico che richiama L’isola del dr. Moreau di Wells” 

Tratto dai deliranti racconti dello scrittore Rampo Edogawa, questo film di Teruo Ishii è un vero trip allucinogeno che trasporta lo spettatore direttamente nel limbo colorato e trasgressivo della deviazione più marcata. Tutto inizia in una specie di manicomio dove una tizia urlante cerca di accoltellare Hitomi (Teruo Yoshida), un neolaureato in medicina affetto da amnesia. Ma il coltello è finto ed il giovane viene ricondotto nella sua cella dalle guardie. Una notte un altro ospite cerca di ucciderlo veramente ma Hitomi se ne libera e fugge dalla gabbia, incontra una ragazza di un circo che canticchia una nenia familiare ma subito dopo viene uccisa misteriosamente e Hitomi viene accusato dell'omicidio. Truccatosi, il giovane finisce sulla costa dove scopre che un tal Genzaburou, somigliante a lui come una goccia d'acqua, è appena deceduto. Ed infatti Hitomi, giunto al cimitero dove è sepolto il tipo per scoprire se ha il suo stesso tatuaggio sul piede, viene scambiato per il morto risorto e si inserisce nella sua famiglia, dove scopre che il padre, il dottor Jogoro Komodo (Tatsumi Hijikata) è un mostruoso freak dalle mani palmate isolato da tutti su un atollo che Hitomi ricorda nelle sue visioni. 

Dopo alcuni fatti strani e la morte della moglie, Hitomi decide di andare a far visita al padre che in realtà è anche suo genitore visto che il suo sosia è anche suo fratello gemello. Sull'isola Hitomi scopre che il mostro sta creando un esercito di esseri deformi manipolando delle persone rapite sulla terraferma e che lui è stato mandato a studiare medicina per aiutarlo in questo folle progetto. Il bello è che tutto nasce dal tradimento della di lui moglie, messa poi in catene in una grotta a cibarsi di granchi. Il finale vede l'esplosione in cielo di Hitomi e di una tizia che scopre essere sua cugina, con cui ha avuto rapporti incestuosi dopo averla separata dal gemello siamese a cui era incollata. Se non ci avete capito niente della trama non è importante, anche perchè credo sia un'impresa veramente ardua (ed inutile) cercare un senso in un film dove  bisogna invece abbandonarsi alle assurde coreografie di donne argentate che nuotano nell'acqua, mostri con la faccia piena di farina che si agitano, al mostruoso Komodo che danza davanti a schiume di onde infrante sugli scogli. 

Il tutto in un'opera controversa, bannata per anni in Giappone e maledetta dai più per l'estro e la voglia di osare un linguaggio diverso. Non aspettatevi fiumi di sangue, combattimenti marziali o erotismo zen, in realtà qua c'è tutto e niente. Rimandi a "L'isola del dr. Moreau" di H.G.Wells, scene grottesche e a tratti anche ilari ma soprattutto un gran guazzabuglio di situazioni e intrighi di cui si perde il filo logico quasi subito. Uscito in dvd in versione inglese sottotitolata, Horrors of malformed men è un film curioso e bizzarro che vale la pena vedere almeno una volta nella vita ma è anche un film su cui è quasi impossibile dare un giudizio che non sia quello puramente estetico. Molte cose sono di maniera ed il kitsch abbonda ma se siete amanti del cinema nippo allora è un titolo imperdibile, evitate, però, di assumere acidi prima della visione. 

mercoledì 22 settembre 2021

GUINEA PIG 2: FLOWER OF FLESH AND BLOOD

(Za ginipiggu 2: Chiniku no hana, 1985)

Regia Hideshi Hino
Cast Hiroshi Tamura, Kirara Yūgao
Genere: Horror, Splatter

Parla di "Samurai rincoglionito droga e affetta ragazza per realizzare una sua personalissima opera d'arte"
 

Dopo il successo del suo primo esperimento di fake snuff movie, il fumettista Hideshi Hino ci riprova con questo secondo capitolo, tratto da un suo Manga, che inaugurerà a tutti gli effetti la serie di mediometraggi più disgustosa e emoglobinica che la storia del cinema ricordi. A differenza del primo Guinea Pig, questa volta il regista non ci prova neppure a mascherare da snuff le immagini, tant'è che le didascalie iniziali parlano di una ricostruzione di un video ricevuto da un artista, da parte di un suo fan. Le sequenze iniziali seguono una giovane donna fino alla sua cattura ad opera di uno sconosciuto che la narcotizza. La poveretta, quindi si risveglia legata mani e piedi, in balia di un vecchietto pallidissimo con il cappello da samurai. 

E' l'inizio della lavorazione di una sorta di opera artistica al sangue, l'opera al nero di un serial killer che prima droga la vittima di modo che, al dolore sopraggiunga il piacere. Espediente questo per evitare che l'attrice non sia abbastanza convincente nel manifestare urla e lamenti, difatti più che far ciondolare la testa in uno stato di apparente dormiveglia, la giapponesina altro non fa. Ed intanto il nostro uomo comincia lentamente a tagliargli tutti gli arti, a sventrarla e per finire, decapitarla, avendo cura di scavarle fuori gli occhi con un cucchiaino e ciucciarseli avidamente come un bambino che poppa il latte materno.

A prescindere dal ridicolo che emana quasi tutta la vicenda (unica nota d'effetto è la sequenza del pedinamento in auto) questo secondo capitolo è poco più di un pretesto per mostrare la bravura del make-up artist Nobuaki Koga che supera sé stesso nella lunga scena dello smembramento, a livelli di insostenibilità visiva molto elevata. Per il resto, se si supera il disgusto rimane la noia, poiché, eccettuato lo splatter, non accade praticamente nulla. L'attore che fa il samurai è di un gigionesco ai limiti del ridicolo, l’attrice (beh! L'ho già detto) ciondola come rincoglionita e il regista che fa? Ostenta primi piani sulla carne tentando di dare un'aura artistica all'insieme anche se il cinema, in quanto settima arte, si trovava da tutt'altra parte durante la realizzazione di questo film.

venerdì 10 settembre 2021

I, ZOMBIE - THE CHRONICLES OF PAIN

(1998) 

Regia Andrew Parkinson 

Cast  Dean Sipling, Ellen Softley, Gile Aspen 

Genere: Horror intimista 

Parla di “Studente morso da una zombie si strugge nel dolore del pascer di carne umana” 

Questo horror di Andrew Parkinson è un prodotto low budget, quasi amatoriale, ma notevole nel suo sviluppo e originale all'interno di un genere come lo zombie movie, che, a partire dagli anni '70 ha ormai esaurito tutte le idee. In questo frangente, invece, assistiamo ad un' innovativo concetto del morto vivente, che viene visto come una sorta di malato, perfettamente cosciente della sua condizione di zombie e del bisogno di nutrirsi di carne umana. Viene persino data una spiegazione logica al suo cannibalismo, lo zombie infatti, dopo 4 giorni senza carne viene assalito da dolorissimi spasmi che rischiano di portarlo alla follia. Vediamo quindi il protagonista David (Dean Sipling) scosso in più occasioni come in preda a un attacco epilettico. Studente Universitario, il nostro eroe, viene morso da una zombessa durante una passeggiata studio nei boschi, da allora la sua vita (o morte?) cambia radicalmente. 

Scompare dalla vita della sua fidanzata Sarah (Ellen Softley), prende un appartamento in periferia e inizia a dedicarsi ai suoi appetiti carnivori come un vero e proprio predatore. La differenza sta nel fatto che per David questa condizione rasenta quasi la tossicodipendenza, accentuata da una progressiva decomposizione del corpo che raggiunge il suo apice quando, in un tentativo di masturbazione, gli rimane in mano l'uccello. Intanto nel film si susseguono delle interviste agli altri personaggi, in particolare Sarah che continua a domandarsi che fine abbia fatto il suo fidanzato, finché, stufa di attendere il suo ritorno decide di dimenticare e nelle ultime scene, abbandona il sacco coi suoi vestiti in strada mentre, da un'altra parte, il povero protagonista, ormai ridotto ad un ammasso putrido, incapace ormai di camminare, si abbandona sul letto in un sonno forse senza ritorno. 

Nonostante una fotografia grossolana e alcune sequenze eccessivamente lente, il film sviluppa bene la progressione del morbo, con una trasformazione che ricorda molto Tetsuo e soprattutto si tasta da vicino la dolorosa empatia con il personaggio e la sua umanità disfatta. Per la prima volta vediamo uno zombie con un'anima, percepiamo la sofferenza ed alla fine l'affresco complessivo ti si inserisce dentro lasciando quel piacevole sapore amaro che solo i bei film riescono ancora a regalarci.  

mercoledì 28 luglio 2021

COMUNIONE CON DELITTI

 (Alice Sweet Alice Aka Communion, 1976)  

Regia Alfred Sole

Cast: Brooke Shields, Paula E. Sheppard, Alphonso DeNoble

Genere: Thriller, Horror

Parla di “ giovinetta schizoide è sospettata dell’omicidio della sorella e di altri cadaveri all’ombra di una bigotta comunità clericale”

Il solo difetto di certi film è quello di essere arrivati sulla falsariga di un film di successo come Psycho e quindi venire relegati ingiustamente come sottoprodotto, quindi B movie. Eppure Communion meriterebbe di essere più considerato nella storia del cinema. Sia per la trama decisamente shakespeariana con grande tragico finale (eccellente e crudele ma non lo rivelo perchè qualcuno potrebbe ancora non averlo visto), sia per i contenuti decisamente anticlericali e filo satanici, ma soprattutto per una serie di sequenze decisamente forti per l'epoca (ma anche adesso dopotutto). 

Abbiamo una giovanissima Brooke Shields che viene strangolata, gettata in una cassa e bruciata il giorno della sua comunione, mentre la sorella Paula E. Sheppard (l'Alice del titolo), sospettata dell'omicidio (si è presentata davanti al prete al posto della sorella) è un personcino schizoide mica da ridere, capace quasi di strozzare un gattino all'obeso e viscido vicino di casa Alphonso DeNoble, il personaggio più disgustoso e satanico del film (del resto ha lavorato in un film malato e ultragore come Blood Sucking Freaks ). Il film dello sconosciuto regista Alfred Sole  gioca poi sulla presenza di un misterioso omicida in impermeabile giallo, armato di coltellaccio e di una inquietante maschera da bambola al volto. 

L'ambientazione ecclesiastica  contribuisce ad accentuare l'atmosfera gotica, mescolata alla brutalità violenta tipica degli anni '70 offrendoci un inquietante affresco dell'America conservatrice che non esita a prendere a scarpate nei denti un poveraccio per riprendersi il rosario. C'è comunque un pò di tutto, da Rosemary's Baby a Psycho (opportunatamente citato in un manifesto nel film) fino Don't Look now (A Venezia...un Dicembre rosso shocking, di Nicholas Roeg) il tutto senza la minima ironia ma con uno sviluppo graduale della trama che si segue con il fiato in gola, merito di ottimi attori e di una storia in ambienti inconsueti e una figura di serial killer da ricordare negli annali assieme al prete omicida di La Casa del peccato mortale, capolavoro di Pete Walker.

mercoledì 21 luglio 2021

NON VIOLENTATE JENNIFER

(I Spit on your grave Aka Day of the woman, 1978)  

Regia: Meir Zarchi

Cast: Camille Keaton, Eron Tabor, Richard Pace

Genere: Thriller, Rape & Revenge

Parla di “gruppo di bulletti campagnoli violentano e seviziano giovane scrittrice ma la preda diventa predatore e il castigo sarà tremendo!” 

Non c'è musica in questo film di Meir Zarchi, c'è solo l'armonica a bocca di uno dei quattro stupratori di Jennifer (Camille Keaton), scrittrice newyorkese in cerca di calma e tranquillità, che decide di trasferirsi in una isolata casetta di campagna per terminare il suo libro e verrà invece adocchiata dai bulli del paese che per quasi un'ora di film giocheranno con lei al gatto e il topo, violentandola, sodomizzandola, picchiandola a sangue per lasciarla mezza morta, sporca e insanguinata nel salotto di casa sua.

Esiste solo il rumore del motore del motoscafo che inesorabilmente darà inizio al gioco di morte che si concluderà con la feroce vendetta della nostra eroina, la quale, nell'ultima mezz'ora truciderà uno ad uno tutti i quattro ragazzotti di campagna, impiccandoli, evirandoli, squartandoli con l'elica del motoscafo e colpendoli con l'accetta in un crescendo di sangue e disperazione, intervallati dal silenzio del bosco circostante, muto testimone di una storia trucida che ha scatenato migliaia di polemiche, scioccato migliaia di spettatori e creandosi, in quasi trent'anni, un culto invidiabile. 

Non so di preciso dove abbia voluto parare il regista, realizzando questa specie di Giustiziere della notte agreste, certo conscio di una serie di film che lo hanno preceduto, non ha sicuramente inventato niente, calcando la mano sulla violenza nuda e cruda, certo è che ha comunque colpito nel segno, soprattutto grazie al volto di Jennifer, dolce e crudele, sensuale e spietata vendicatrice a riempire gli oltre novanta minuti di questa tragedia che non ha niente da insegnarci ma lo fa talmente bene che non si riesce a restarne indifferenti anche a distanza di anni dalla sua uscita nelle sale.

martedì 13 luglio 2021

INCUBUS, IL POTERE DEL MALE

(The Incubus 1981)  

Regia: John Hough

Cast: John Cassavetes, Erin Flannery, Duncan McIntosh

Genere: Horror

Parla di “ maledizione stregonesca risveglia demone stupratore e sono cazzi amari”

Certe locandine esercitano un fascino soprannaturale nei miei confronti, così quando nel 1981 uscì nelle sale questo low budget horror diretto da John Hough, me ne innamorai perdutamente anche senza averlo mai visto. Il film, difatti, era vietatissimo ai 18 anni e, a quei tempi, le sale erano veramente off limits per noi ragazzi della pubertà. Così qualche anno dopo lessi il libro di Ray Russell, una sorta di romanzo porno horror su un demone stupratore che terrorizzava, con il suo gigantesco pene laceratore, le donzelle di una piccola cittadina della provincia americana. Oggi, grazie al mio pusher di fiducia (di video eh!), ho recuperato una vecchia vhs di questo memorabile film e, devo dire che, per tre quarti della storia ne sono rimasto un pò deluso. Abbiamo un grande attore come John Cassavetes, nei panni di un medico con un passato oscuro per una relazione con una diciottenne (che non si capisce se l'aveva uccisa lui o che cosa) ed un presente ancora meno chiaro nella sua relazione con la figlia Jenny (Erin Flannery), invischiato in una serie di delitti a sfondo erotico in cui le vittime, tutte donne, vengono brutalmente stuprate e lacerate da un misterioso essere dalla forza e dalla potenza (sessuale) impressionante. In mezzo c'è Tim (Duncan McIntosh) figlio di un'anziana del paese che fa strani sogni su una camera di torture dove vede una donna legata al tavolo da dei monaci incappucciati. 

Scopriremo che trent'anni prima gli orribili delitti erano già accaduti e che la maledizione di una strega pende sulla famiglia dei Galen. Il film si riscatta in molte scene, abbastanza feroci che non risparmiano neppure una ragazza in carrozzella. Molto bella la scena al cinema mentre si assiste ad una sorta di video rock ispirato a Sansone e Dalila ma tutta la pellicola si arricchisce improvvisamente nell'incredibile finale (che ovviamente non vi svelerò) capace veramente di lasciare il segno per l'improvviso ribaltone di tutta la storia. In sostanza un prodotto medio dell'epoca, non girato particolarmente bene, con molti errori di ripresa (il microfono...il microfono!!!) ma dotato di una forza visionaria molto avanti per i tempi in cui è stato girato.


Da notare inoltre che il tema del sogno che si materializza anticipa di tre anni le tematiche kruegheriane di A Nightmare on Elm Street (tra l'altro c'è una somiglianza mostruosa tra la figlia del medico e Heather Langenkamp). Sono questi piccoli film che alimentano il cinema, la fantasia e le tematiche del new horror anni '80. Forse avrebbe dovuto spingersi più oltre, vista anche la particolarità della trama, ma in definitiva "Incubus" lascia il segno e non mi ha fatto rimpiangere questi venticinque anni di attesa.

giovedì 1 luglio 2021

L'OCCHIO NEL TRIANGOLO

 (Shock Waves, 1977)

Regia: Ken Wiederhorn

Cast: Peter Cushing, John Carradine, Brooke Adams

Genere: Horror

Parla di “ Gruppo di studiosi approda su isolotto dove è stato parcheggiato un commando di zombi nazisti dai tempi della seconda guerra mondiale” 

All'epoca della sua uscita nelle sale cinematografiche italiane, Shock Waves dovette pagare pegno al contemporaneo successo del film di René Cardona Jr., The Bermuda Triangle, assumendosi un titolo che poco c'entrava con la storia raccontata. Diciamo che, forse, trattandosi di un film ambientato su un'isola, i distributori italiani ci hanno aggiunto un improbabile collegamento all'infausto luogo dove spariscono navi e aerei, per attirare un pubblico ancora affascinato dai misteri dell'ignoto. 

Peccato, perchè alla pellicola di Ken Wiederhorn manca tutto tranne un'idea originale alla base, quella di super guerrieri delle SS trasformati in morti viventi da utilizzare in guerra.
Il plot narrativo si ispira ad una serie di leggende nate sul nazismo e porta un gruppo di Studiosi su un'isola apparentemente deserta dove risiede un vecchio ufficiale tedesco (il grande Peter Cushing) che li esorterà a scappare. Uno ad uno i visitatori verranno decimati dai mostruosi killer in uniforme grigia e occhialoni protettivi, silenziosi ed inesorabili come appunto la tradizione zombistica risiede (con l'aggiunta di nuotare silenziosi sott'acqua). Ovviamente solo uno sopravviverà al massacro finale portandosi dietro un incubo non certo facile da dimenticare. 

Partendo da un soggetto originale, il regista segue un pò il filone alla Agatha Christie con la progressiva eliminazione degli attori, il primo a farne le spese nel naufragio è il vecchio capitano interpretato da un colosso (in quel periodo purtroppo in declino) del calibro di John Carradine. Assistiamo quindi ad una comparsata di personaggi non proprio simpatici che faranno una brutta fine nelle paludi dell'atollo. L'entrata in scena dei soldati zombi che emergono dalle acque si protrae per tutto il film diventando un elemento ossessivo ma anche (e purtroppo) di noia. Al film infatti manca una sceneggiatura calibrata che mantenga costante la tensione (anzi di tensione qua manco se ne parla) ed un montaggio che renda il tutto più scorrevole. La pesantezza che si ricava nell'assistere a questo lento massacro non viene lenita nè da un titolo fuorviante nè da una buona idea di base, purtroppo.

martedì 22 giugno 2021

INSEMINOID – UN TEMPO NEL FUTURO

(Inseminoid, 1981) 

Regia: Norman J. Warren 

Cast: Judy Geeson, Robin Clarke, Jennifer Ashley 

Genere: Fantascienza, Horror 

Parla di “archeologa spaziale violentata da alieno diventa mammina serial killer” 

Questo è un perfetto esempio dell'imitazione che supera l'originale. Il film del regista culto inglese Norman J. Warren si presenta a tutti gli effetti come una scopiazzatura di Alien, senza ovviamente presentarne la stessa eleganza nè lo stesso budget e si vede, eccome! Tuttavia Inseminoid risulta più cattivo, sanguinolento e decisamente più inquietante della munifica opera di Ridley Scott. Del resto, se poi si parla di originalità anche Alien non è che brilli di luce propria (provate a vedervi It! The Terror from Beyond Space del 1958 e capirete!). Questo british fantahorror, invece, seppur nella sua misera confezione è più veloce, denso d'azione e sottilmente più convincente. 

La storia vede una spedizione archeologica spaziale su un pianeta ostile che ricorda incredibilmente quello di Terrore nello spazio di Mario Bava, dove una violenta esplosione di strani minerali ferisce un gruppo di esploratori. Rientrati alla base, uno dei due muore e l'altro impazzisce. Tornati sul luogo dell'esplosione altri due archeologi, un nero ed una donna incontrano una terribile figura aliena che fa a pezzi lui e violenta lei (il tutto all'interno di una serie di scene psichedeliche dove non si capisce se è sogno o realtà). Riportata in laboratorio Sandy (Judy Geeson) urla, strilla, geme e scopre di essere incinta. A questo punto la novella mammina si trasforma in uno psicopatico serial killer che fa a pezzi la spedizione prima di mettere alla luce due orrendi mostriciattoli cannibali. 


La trama si sviluppa magistralmente e non lascia tempo alla noia, ovviamente per apprezzare appieno il tutto si deve soprassedere sulle scenografie povere, sulle espressioni sopra le righe della protagonista e su certe rozzaggini di un film che dopotutto resta un caposaldo dell'artigianato Sci-Fi dei primi anni 80, privo di alcuna parvenza di moralità e terribilmente attuale con il suo personaggio di madre killer (vi ricorda qualcuno..o meglio qualcuna?). Norman J. Warren sceglie di non mostrare quasi mai i mostri alieni ma punta tutto su quello che è dentro la donna, una madre a tratti disperata ed inerte ma di colpo ferocissima e implacabile. Inseminoid è un film che scava dentro le viscere, letteralmente, ma non si dimentica, sicuro!