mercoledì 30 novembre 2022

GIOCHI EROTICI DELLA TERZA GALASSIA

(1981) 

Regia Bitto Albertini 

Cast Sherry Buchanan, Fausto Di Bella, Don Powell 

Parla di “coppietta nello spazio sfuggìta a malvagio invasore, scopre Terra e sue piccanti abitudini” 

Almeno Luigi Cozzi ci aveva provato con “Scontri Stellari oltre la Terza Dimensione” a mettere in piedi un clone di Guerre Stellari non dico dignitoso ma almeno decente, ovviamente usufruendo di un budget con cui George Lucas ci si sarebbe comprato le pantofole. Questo seguito apocrifo, invece, non ci prova nemmeno e punta direttamente su un titolo italiano fuorviante, che richiama delizie erotiche che il popolo bue non godrà appieno nella sala, perché di giochi erotici, nel film di Bitto Albertini, non ce n’è manco l’ombra. Abbiamo invece il bellissimo scenario spaziale del film precedente, con tante stelle variopinte che sembra un albero di Natale, in cui sfrecciano (vabbè) modellini di astronavi assemblate con gli scarti dei soldatini Atlantic. 

All’interno del palazzo imperiale del Pianeta Exalon, che ricorda vagamente il palco di un teatro dietro cui si proiettano tutta una serie di luci colorate, il povero re buonino deve confrontarsi con il perfido signore della notte Oraklon, un nero vestito con una tutina azzurra aderente e la barba glitterata, appena uscito da qualche Gay Pride ante-litteram. Si scatena la battaglia a colpi di astronavine fluorescenti e fuochi artificiali che scoppiettano nello spazio. Dalla distruzione di Exalon fuggono solo la principessa Belle Star con un vestitino che lascia in vista una chiappa e una tetta e il suo capitano Lithan. I due sopravvissuti vagano nello spazio e giungono sulla Terra non si sa bene in che periodo (c’è chi ha ipotizzato il periodo degli etruschi) dove la gente vive in capanne ma veste con toghe da Impero Romano ma in realtà sembrano tutti usciti da una brutta rappresentazione del musical Hair. Dopo essere stati presi a sassate ed aver rischiato il rogo, Belle Star e Lithan iniziano a sparare dalle mani raggi laser. 

Dopo questa prova di forza i nativi li accolgono e i due scoprono finalmente le delizie sessuali della Terra a colpi di bacetti, limonate e palpatine con tanto di erotici bagni sotto le cascatelle mentre per ottanta minuti la colonna sonora ci spara la stessa mielosa canzone mescolata ad altre stucchevoli melodie che oscillano tra il romantic porno e la disco music. Purtroppo per loro Oraklon li intercetta e comincia a impartire ordini al suo secondo che gli fa praticamente da pappagallo ripetendo le istruzioni a una lucetta giallastra. Il tutto in una sequenza surreale che rasenta la comicità. Sentitosi minacciati, i due prendono l’astronave e tornano nello spazio ma vengono catturati e portati sulla base nemica (anch questa riciclata dal film precedente) dove, insieme agli altri monarca dello spazio, devono piegarsi in schiavitù al signore della notte. Prima però gli mostrano i segreti della pomiciata terrestre ed Oraklon, distratto da questa scenetta, viene disintegrato liberando così i pianeti dal suo regno oppressivo. Finalmente Lithan e Belle Star possono tornare sulla Terra a baciarsi e noi possiamo continuare ancora un po' a goderci della musichetta sdolcinata di cui non ne avremo mai abbastanza. 

mercoledì 23 novembre 2022

STARCRASH - SCONTRI STELLARI OLTRE LA TERZA DIMENSIONE

(1978) 

Regia Lewis Coates 

Cast Cristopher Plummer, David Hasselhoff, Caroline Munro 

Parla di “avventuriera dello spazio deve recuperare rampollo dell’imperatore e si scontra con malvagio Conte e la sua cricca di robot assassini” 

Nel 1977 il successo di Star Wars diede una scossa propulsiva al cinema di fantascienza, scossa che inevitabilmente portò varie produzioni internazionali a lanciarsi nello spazio. Tra queste anche l’Italia recepì l’occasione buona per seguire la stella cometa lucasiana e. in particolare. il regista Luigi Cozzi, insieme al produttore Nat Wachsberger, diede vita alle avventure di Stella Star (suona un po' scemo come nome ma pazienza!) sorta di nuova Barbarella del cinema bis, interpretata da una Caroline Munro mono espressiva (faccia sorridente e un po civettuola in tutte le situazioni del film). In realtà, a quanto dice Cozzi, il progetto era nato prima dell’uscita di Guerre Stellari ma di certo qualcosina il film di Lucas gliel’ha ispirata. Tutto questo non deve comunque portarci a svilire il lavoro del regista romano che, con quattro soldi, ha portato a casa uno dei classici sci-fi più amati da noi detrattori del cinema mainstream. 

Del resto non sono molti i film dove lo spazio è rappresentato come un gigantesco albero di Natale con palline/pianeti multicolorati, in cui i caccia imperiali si muovono in fila indiana come vagoni di un trenino ed esplodono in un tripudio di fuochi artificiali. Non parliamo poi delle mostruosità che la nostra eroina, in compagnia del fido truciolone abbronzato Akton (Marjoe Gortner), deve affrontare nella sua rocambolesca caccia all’erede al trono dell’Imperatore (Cristopher Plummer), disperso durante la ricerca del pianeta del malvagio Conte Zarth (Joe Spinell, si quello di Maniac!). Nel film il passo uno regna sovrano ma la distanza dal cinema di Harryhausen è evidente come lo è anche l’affettuoso omaggio che Cozzi tenta di imbastire al mago degli effetti speciali americano. Tra le creature robotiche presenti nella pellicola troviamo due incredibili robot che sembrano un misto tra due soldati saraceni e i bronzi di Riace, un gigantesco golem avvolto nella carta stagnola e un gruppo di barbari salterini tra i quali non poteva mancare anche il sempiterno Salvatore Baccaro (purtroppo presente solo per una manciata di secondi). 

Non si può che applaudire, poi, la grandiosa battaglia finale tra i seguaci di Zarth vestiti con tutine fetish che ricordano gli astronauti di Terrore nello Spazio di Mario Bava e i soldati dell’Imperatore mentre sfondano le vetrate della base nemica dentro a enormi bossoli dorati senza il minimo risucchio atmosferico, quasi che lo spazio fosse dotato di atmosfera. Dulcis in fundo troviamo un’imbarazzante apparizione di Nadia Cassini ed un giovane David Hasselhoff nei panni del rampollo spaziale. Su tutto capeggiano astronavi plasticose appena uscite dalle scatole dei soldatini Atlantic e raggi laser colorati da tutte le parti in un tripudio psichedelico di rara bellezza. A comprova, poi, che il film “non deve nulla” al Guerre Stellari di Lucas, ecco apparire, ad un certo punto, il buon Akton armato di spada laser verde muschio che fatica a stare dritta mentre l’attore la oscilla a destra e a manca. 

Ma Stella Star con il caschetto di vetro che si lancia nello spazio prima dello scontro stellare dell’Isola cosmica (un tripudio di colori senza precedenti) con l’artiglio spaziale (un design mozzafiato) ci ricorda tanto i fumetti di fantascienza anni cinquanta e non si riesce a trovare veramente un motivo che sia uno, per il quale la Società AIP di Nicholson e Arkoff abbia rifiutato il film dopo averne visionato il montaggio iniziale. Per fortuna c’era Roger Corman con la sua New World Pictures a salvarci altrimenti questo un capolavoro del genere c’è lo saremmo veramente sognato.    

mercoledì 16 novembre 2022

DOOMSDAYER - IL GIORNO DEL GIUDIZIO

(Doomsdayer, 2000)

Regia Michael J. Sarna

Cast Joe Lara, Udo Kier, Brigitte Nielsen,  

Parla di “007 mascellato deve fermare scienziato pazzo che minaccia di nuclearizzare il mondo” 

Anche se di italiano non ha assolutamente nulla (a parte l’uso smodato di ralenty che piacevano tanto a Enzo G. Castellari), questo film diretto da Michael J. Sarna viene annoverato come produzione Italo-filippina ma non esistono nel cast, neanche quello tecnico, maestranze nazionali. Del resto il film ha anche poco o niente di fantascienza trattandosi, in soldoni, di una specie di brutta imitazione della saga di James Bond in salsa asiatica dove il protagonista è quel povero mascellone inespressivo di Joe Lara, recentemente scomparso in un incidente aereo e conosciuto più che altro per la sua partecipazione ad un Tarzan Televisivo. Sin dall’inizio si capisce che sarà tutto un corri e spara, con esplosioni a profusione, qualche casta scena di sesso, arti marziali e uno spruzzo di CGI precolombiana malfatta. 

Del resto, visti i paesi di origine per quanto riguarda i finanziamenti, il tentativo di fare un blockbuster a risparmio, fallisce miseramente in una noiosissima spy story dove gli americani fremono di terrore a causa di un ricchissimo cattivissimo che vuole lanciare una bomba nucleare in grado di attivare tutte le atomiche del mondo, insomma la solita storia del malvagio che vuole distruggere il pianeta con l’aggravante di utilizzare, per questo ruolo il buon Udo Kier ma soprattutto di mettergli a fianco nientepopodimeno che la danesissima ex stalloniana Brigitte Nielsen, che dopo Rocky IV ha trovato l’America ovunque le pagassero il parrucchiere. E parlando di parrucche risulta inguardabile poi l’attore T.J. Storm nel ruolo del gregario del cattivo Montgomery, con una messa in piega ondulata e costantemente irrorata di lacca sopra ad un ridicolo completo color granatina con tanto di papillon. 

Unica salvezza è rifugiarsi tra le dolci vestali della splendida January Isaac, splendida lottatrice in calzamaglia nera, talmente fedele al marito che quando questi muore, si getta subito nelle braccia del protagonista. Le scene d’azione risultano stucchevoli e sono spesso al limite della narcolessia (vedi l’inseguimento in elicottero), gente che muore e poi torna in vita, gente che invece non muore mai, ragazze che ti si presentano nude in camera d’albergo, tutto quanto visto e stravisto per un tale successone da fare la muffa persino nei cestoni del centro commerciale dove ti pagano se ti porti a casa un DVD.  

mercoledì 9 novembre 2022

SICK-O-PATHICS

(1995) 

Regia Brigida Costa e Massimo Lavagnini 

Cast Massimo Lavagnini, David Warbeck, Dardano Sacchetti 

Parla di “antologia omaggio del bis italiano con borse cannibali, bambole gonfiabili viventi e un terribile cannibale spara puzzette” 

Il detto popolare “nella botte piccola c’è il vino buono” è quanto di più adatto per descrivere questa opera cult del duo Brigida Costa e Massimo Lavagnini, due super fan del cinema low budget soprattutto italiano che realizzano un’antologia di piccoli frammenti horror contraddistinti da una feroce quanto spassosissima ironia surreale, la cui forma a zero budget, ai limiti dell’amatorialità si trasforma da difetto a poderosa marcia in più verso un cinema che non le manda a dire. Partendo da un incipit che si apre su una cacca di gomma a cui è applicato il cartellino “classico cinema italiano” (tanto per non lasciare dubbi in merito agli intenti dei registi) il film prosegue con una sorta di gigantesco bullo con i dreadlock (interpretato dallo stesso lavagnini) che si esibisce in una serie di cattiverie ai danni dei passanti, fino ad incontrare un regista incompreso che lo obbliga a visionare le VHS dei suoi lavori, legandolo ad una sedia. Già l’apparizione di Dardano Sacchetti, storico sceneggiatore di Fulci, Argento, Deodato, Castellari ecc.ecc., ci fa capire che l’intento non è solo di omaggiare il cinema Bis italico ma interagire con lo stesso attraverso i suoi protagonisti. 

Vediamo quindi apparire come per magia sullo schermo Lucio Fulci e Luigi Cozzi in due improbabili spot pubblicitari che inframezzano l’antologia, David Warbeck che interpreta un assurdo medico vestito con completi intimi femminili e sfodera un’oscena linguaccia nell’episodio più spassoso, l’omaggio ad Antrophophagus di Joe D’amato in versione comica intitolato Aerophagus. Qui il marinaio cannibale si è invece dovuto cibare di fagioli pertanto uccide a colpi di scuregge sciogliendo letteralmente i corpi con i suoi gas micidiali. Nello stesso episodio compare anche il compianto Marco Antonio Andolfi in una ilare sequenza a base di puzzette e vomito su un aereo di linea costruito con il cartone (ma efficacissimo direi!). Lo stesso D’amato compare in un breve cameo nell’episodio centrale “The Poor, The Flesh & The Bag” dove si narra di una borsa che viene dimenticata in strada, il protagonista tenta di rincorrere la donna che l’ha smarrita ma la perde di vista e decide quindi di tenersela per sé. Mal gliene colga perché la valigetta è in realtà un orrendo mostro cannibale che divora il malcapitato per poi tornare nelle mani della sua proprietaria, in attesa di smarrirla nuovamente. Geniale cortometraggio questo, arricchito da una mutazione mostruosa a passo uno grezza ma divertente.

Il primo episodio “Hello Dolly” parla invece di un buzzurro che compra una bambola gonfiabile da un losco Mr. Sinister (interpretato dal celebre Make-Up artist di Demoni, Sergio Stivaletti), nella notte la bambola si anima e comincia a inondare l’uomo con uno schifoso liquido biancastro che sembra sperma ma che in realtà trasforma l’incauta vittima, dapprima in una specie di gigantesco profilattico per poi concludere la mutazione rendendolo a sua volta un bambolo gonfiabile. Tra gli altri cameo c’è anche la scream queen Linnea Quigley e la figlia di Lucio Fulci, Antonella (nella parte di una donna gravida che espelle il feto a seguito dei mortali effluvi di Aerophagus). Altre apparizioni celebri sono quelle del regista Sergio Bergonzelli e Rick Gianasi celebre per la sua interpretazione di Sgt. Kabukiman N.Y.P.D., uno dei cult movie della Troma. Sick-O-pathics, opera grezza e poverissima, celebra il mondo del cinema sommerso con una genialità altrettanto spiazzante e mordace, nella sua scarsa durata (meno di un’ora) c’è un’intera storia che si tramanda da decine di anni, oggi più viva che mai. Del film esiste anche una versione con un quarto episodio, disponibile in una rara videocassetta stampata in Germania. 

mercoledì 2 novembre 2022

YOKAI MONSTERS: SPOOK WARFARE

 (Yōkai Daisensō, 1968) 

Regia Yoshiyuki Kuroda 

Cast Chikara Hashimoto, Akane Kawasaki, Yoshihiko Aoyama 

Genere: Fantasy, Horror 

Parla di “ridda di scombinate mostruosità giapponesi devono vedersela con vampiresca divinità babilonese” 


Quando in tutto il mondo esplodeva la contestazione studentesca, nelle sale giapponesi usciva una curiosa quanto assurda trilogia fantasy dedicata agli Yokai, spiriti e mostriciattoli tradizionali del Sol Levante. Una buona alternativa al genere Kaiju Eiga per mandare in sollucchero gli spettatori più piccoli, pur venandola con tinte horror. Dei tre titoli componenti la saga (iniziata con Yokai Monsters: 100 monsters nel 1968 e conclusasi con Yokai Monsters: along with ghosts uscito l’anno successivo) il secondo Yokai Monsters: spook warfare è stato il maggior successo cinematografico dell’intera trilogia. 

La battaglia del titolo vede contrapporsi ai nostri mostriciattoli una tenebrosa divinità babilonese fuoriuscita da una montagna a inizio film mentre due archeologi arabi assistono esterrefatti al prodigio. Totalmente priva di movimenti, la maschera del dio vampiro (chiamato Daimon) richiama in effetti le statuette votive precristiane con un faccione oblungo coronato da un nasone piegato verso il basso e quattro denti storti che sporgono da una bocca simile a quella di un clown. Armato di una strana alabarda, Daimon vola sul mar del Giappone accompagnato da una furiosa tempesta, fino a giungere nella casa di un magistrato, al quale Daimon morde il collo impossessandosi del suo corpo. 

lI cambiamento in negativo del magistrato non sfugge agli occhi della figlia e del fido Shinhachiro, soprattutto quando iniziano a sparire geishe e bambini. Per fortuna a dare manforte ai buoni emerge dallo stagno l’assurdo yokai Kappa, dalle fattezze di uomo rana con un ridicolo costume da sub, un mascherone che ricorda più paperino che un anfibio e una parrucca spelacchiata in testa. Ma non è l’unico yokai del film ad essere ridicolo, praticamente tutta la banda è un pout pourri di assurdi mascheroni in cartapesta, come la Futakuchi-onna che sembra Sadako ma se si gira ha una seconda faccia da strega con tanto di manina gommosa che gli penzola dal naso. Poi c’è la Rokurokubi dal collo lunghissimo (e che Daimon neutralizza annodandolo), il nano col testone Abura Sumashi, uno strano incrocio tra una tartaruga e una roccia (Nuppeppō) e per concludere una riproduzione del celebre Karakasa ovvero l’ombrellino con una gamba e un occhio solo con la lingua a penzoloni che si esprime con versi che ricordano lo “slurp” dei fumetti. 

La banda Yokai appare e scompare in sovraimpressione, vengono catturati da un foglietto magico che li obbliga a restare prigionieri di un otre fino a che non interviene Shinhachiro a liberarli e nel finale richiamano tutto l’apparato yokai esistente in Giappone per avviare la grande battaglia finale, ovvero un mistico casino di comparse addobbate con i costumi più assurdi che saltano da tutte le parti e, in un finale epico quanto narcotico, li vediamo allontanarsi e scomparire tra le montagne mentre uno struggente motivetto classico ci avvisa che è ora di svegliarsi. Ma per i giapponesi gli Yokai sono una cosa seria e nel 2005 ci penserà niente meno che Takashi Miike a rinverdire il mito con The Great Yokai War.