lunedì 25 luglio 2022

DRACULA VS. FRANKENSTEIN

(1971) 

Regia Al Adamson 

Cast: J. Carrol Naish, Lon Chaney jr., Zandor Vorkov 

Parla di “Dracula fa accordi con discendente di Frankenstein, ruba il mostro ma poi se lo ritrova contro”  

Se dovessimo giudicare i film di Al Adamson dai titoli di testa probabilmente li dovremmo considerare dei capolavori, come nel caso di questo Dracula vs. Frankenstein, il suo film più conosciuto, il che non significa necessariamente il migliore, anzi. La titolazione animata iniziale, infatti, tra meccanismi valvolari vintage e coloratissimi frame tratti dal film, è qualcosa di veramente favoloso, peccato che poi inizi il film e ti accorgi di essere dentro ad un delirio cinematografico senza precedenti. C’è questa specie di Conte Dracula, interpretato dall’esordiente Zandor Vorkov che sembra uscito da un ghetto ispanico ed ha l’espressione di uno che ha appena ricevuto una lettera dall’Agenzia delle Entrate, mentre si aggira per un cimitero finchè non trova la tomba del mostro di Frankenstein di cui provvede a rubarne il corpo. 

Poi appare un nanetto schizzato che esorta la gente ad entrare nel Creature Emporium, una sorta di tunnel dell’orrore dove una coppia di beatnick incontra il dottor Durea, un vecchietto in carrozzella al quale il conte Dracula, dotato di una voce che sembra uscita dal culo di un’astronave, rivelerà la sua discendenza (doveva dirglielo un vampiro?) con il Barone Frankenstein al quale vuole restituire la sua creatura. Da parte sua Durea (J. Carrol Naish) fa rapire giovani ragazze dal servo Groton che rappresenta l’ultima triste interpretazione di Lon Chaney Jr. che, se non sapessimo di cosa sia realmente morto, potremmo pensare che gli sia venuto un colpo dopo essersi visto recitare in questo film. Groton, praticamente, passa il tempo a coccolare un cagnolino, a fare facce assurde e farsi iniettare un siero che gli annerisce la faccia trasformandolo in un serial killer armato di accetta. Poi c’è la moglie del regista, la sempiterna quanto cagnesco-recitativa Regina Carroll che, quando non è impegnata a mostrare le tette in giro, si dedica a cercare la sorella scomparsa. Entra in scena anche Russ Tamblyn che arriva direttamente in moto da “Satan’s Sadists” a capitanare un trio di loschi teppisti che tentano di violentare la bella Samantha. 

Infine si anima anche la creatura che ha una faccia assurda ovvero un mascherone da prugna secca che cambia forma ad ogni inquadratura. Dracula appare all’inizio e alla fine, armato di un anello che sputa raggi incendiari ed al quale sembra scappare di bocca la dentiera ad ogni momento. Lo scontro finale, atteso nel titolo, dura un paio di minuti ed è la cosa più goffa e imbarazzante mai vista sullo schermo, poi quando pensi di aver visto il peggio eccoti la disintegrazione finale del vampiro alla luce del sole, dove non ci si spreca neanche a usare la sovrimpressione ma si alterna la polverizzazione del mostro a inquadrature del sole mattutino per un tempo infinito, fino a quando del Conte non rimane che un mucchietto di foglie secche al posto della faccia. Sia per Lon Chaney Jr. che per J. Carrol Naish, questo film rappresenta l’ultimo atto della propria carriera prima della dipartita e come già detto prima, il dubbio, che a causare la morte dei due attori sia stata la visione del risultato finale, sorge fortissimamente sorge. 

lunedì 18 luglio 2022

CRAZY MURDER

(2014) 

Regia Doug Gerber, Caleb Pennypacker 

Cast: Kevin Kenny, Samantha Bogach, Jamie Greco 

Parla di “homeless disturbato in giro per New York ad ammazzare a casaccio, mangiare vomito e spalmarsi la faccia di merda” 


“Mi sono tagliato il cazzo” – Con questa frase lo psicotico homeless assassino, protagonista del film di Doug Gerber e Caleb Pennypacker, approccia la prima vittima, una donna seduta su una panchina pubblica che verrà brutalmente sgozzata immediatamente dopo.  L’introduzione a guisa di documentario denuncia da subito la moltitudine di senzatetto presenti nelle grandi città americane, alcuni con grossi problemi mentali, come ci spiegano le didascalie iniziali, non a caso la macchina da presa segue un nero che si trascina i propri escrementi nei pantaloni della tuta e ancora merda è quella che il protagonista (un bravissimo Kevin Kenny) si raccoglie dall’interno dei pantaloni e si spalma sulla faccia in una delle sequenze più ributtanti. 

Del resto lo squallore e il disgusto sono gli elementi essenziali di Crazy Murder, un film estremo come pochi, dove un senzatetto con grossi problemi mentali e armato di coltello, passeggia per le strade di una New York sempre più vicina al collasso, declamando frasi disconnesse, picchiandosi la testa, rovistando nei sacchi dell’immondizia e rotolandosi nei vagoni della metropolitana. Ogni tanto incontra qualcuno e senza motivo lo uccide brutalmente, sia esso un pari senzatetto, sia un ispanico gentile che gli offre un panino. Non vengono risparmiati neanche i neonati come quello brutalmente spiaccicato sul marciapiede (tranquilli, si vede che è un bambolotto ma il sonoro è atroce!). Ogni tanto il pazzo è preda di incubi, sogna messicani a torso nudo che lo massacrano di botte, poi però ci regala una disgustosa sequenza di bolo vomitato a terra e raccolto per essere mangiato. Non si fa mancare l’assaggio di un cerotto pieno di sangue e una leccatina a un profilattico usato, però si ingegna a costruire armi deliranti infilandosi il pugnale in bocca e fissandolo con il nastro adesivo come una specie di wooy woodpecker assassino. 

Insomma un film dove l’ambientazione scarna e trash ci porta a livelli che neanche John Waters aveva mai osato prima, eppure quello che disturba più di tutto, nel film è l’indifferenza generale della folla nei confronti delle aberrazioni protratte dal clochard, il quale sembra libero di poter fare quello che vuole davanti al mondo senza che nessuno protesti, anche di fronte a un tizio a cui caga direttamente in faccia. L’intento sociale di Crazy Murder è quello di mostrare una società totalmente asociale come quella americana, dove ognuno cura il proprio orticello cercando di sviare lo sguardo e proseguire diritto per la propria strada, nella speranza che quanto accade agli altri non capiti mai a lui. Eppure la morte, qui, non guarda in faccia a nessuno, come espresso chiaramente a livello concettuale, ed è un vero terno al lotto, quando girato l’angolo, non si riceva una coltellata alla giugulare, sferrata da qualche pazzo assassino, figlio emarginato anch’esso di questa società degradata. 

mercoledì 13 luglio 2022

CRIMINALLY INSANE

(1975) 

Regia Nick Millard 

Cast Priscilla Alden, Michael Flood, Jane Lambert 

Parla di “ Psicopatica XXXL non trova più niente da mangiare e si sfoga prendendo a mannaiate amici e parenti”  

Nonostante l’indubbia preparazione artistica, forgiata in anni di rappresentazioni teatrali a cavallo tra gli anni settanta e novanta, Priscilla Alden non è mai stata fortunata come attrice, vista anche la scarsità di titoli a cui ha partecipato, tutti quanti, in ogni caso, incentrati sulla figura della psicopatica assassina, sia essa Ethel Janowski di Criminally Insane e relativo remake realizzato nel 2016, sia essa l’infermiera assassina di Death Nurse e relativo sequel, questi, tra l’altro, gli unici titoli di spicco della sua carriera, conclusasi nel 2007 con una prematura morte, a soli 68 anni, a causa di complicazioni cliniche dovute al diabete di cui soffriva da parecchi anni. 

Ma è proprio Criminally Insane del regista Nick Millard (che la volle anche in Death Nurse) il film che ne ha consacrato l’immagine negli anni, un film di un’oretta, realizzato con quattro soldi, quasi tutto incentrato nelle mura domestiche di un’abitazione old style dove Ethel torna ad abitare con la nonna dopo un ricovero forzato in una casa di cura per malattie mentali ed una serie di elettroshock perpetrati inutilmente al suo povero cranio (come descritto nel surreale colloquio iniziale con il medico). Ethel però è affetta da una fame compulsiva che, nel momento in cui la nonna svuota il frigo e mette sotto chiave il cibo, si trasforma in follia omicida, prima ai danni della vecchia e poi nei confronti di chi gli capita a tiro, come il garzone dell’alimentari che rifiuta di consegnarle la merce senza il pagamento degli 80 dollari di debito (squartato a bottigliate) o la sorella meretrice e relativo fidanzato manesco (massacrati a mannaiate nel letto) e il medico stesso (cranio fracassato). 

Il tutto in un tripudio di sangue dello stesso colore della vernice in puro stile Hershell Gordon Lewis, con una fotografia squallida, attori che risentono della mancanza di una truccatrice e ambientazioni casalinghe di uno squallore imbarazzante. Anche la musica che accompagna gli eventi, un latrare continuo di basso jazz, chitarrina e flauto dolce, sembra uscita dalle prove di una banda scolastica improvvisata. A tutto questo squallore si aggiunge il surrealismo onirico di Ethel che passeggia per il viale del tramonto come Gloria Swanson in un grottesco vestito rosso e, ultima ma non meno importante, la comicità dei suoi tentativi infruttuosi di occultare i corpi, ormai devastati da una puzzolente decomposizione, fino all’inevitabile soluzione finale, espressa negli ultimi fotogrammi di un film in cui la presenza della Alden risulta fondamentale e, nonostante la stazza dell’attrice, mai ingombrante.  

lunedì 4 luglio 2022

SCHIAVE BIANCHE – VIOLENZA IN AMAZZONIA

(1985) 

Regia Mario Gariazzo 

Cast Elvire Audray, Will Gonzales, Rik Battaglia 

Parla di “diciottenne rapita dai tagliatori di teste, sviluppa odio e amore per il suo selvaggio aguzzino” 

Girato da Mario Gariazzo con lo pseudonimo anglofono Roy Garrett, un regista più ispirato dalle stelle (avendo diretto cult come Occhi dalle stelle e Incontri molto ravvicinati…del quarto tipo) che dalla terra e men che meno dalla foresta amazzonica, Schiave bianche è stato più volte catalogato come cannibal movie, non fosse per il piccolo particolare che di cannibali, in questo film, non ce n’è assolutamente traccia. La storia prende il via come una confessione processuale della protagonista, la diciottene Catherine (interpretata dalla francese Elvire Audray), accusata di doppio omicidio. La giovane, durante il processo, decide di confessare tutto, non fosse che a inizio film, la stessa racconta la sua storia ad un giornalista italiano. Quindi la narrazione è il racconto di un racconto? Boh! In ogni caso, partiamo da quando la ragazza ha la sventurata idea di tornare dai suoi genitori nella foresta amazzonica per festeggiare il suo compleanno su una barca. 

La festa si trasforma in un bagno di sangue a base di spilloni di curaro che perforano collo e occhi dei genitori. Catherine viene quindi rapita dai tagliatori di teste e portata nel cuore della foresta dove vivrà con gli indigeni, dapprima come schiava, in seguito poi liberata dall’aitante Umukai il quale, nel frattempo si innamora di lei, non fosse che viene considerato dalla ragazza come il fautore della strage e sul quale, per tutto il film, mediterà propositi di vendetta. Per quanto riguarda le caratteristiche del cannibal movie, il film presenta solo un’ambientazione forestale, qualche scena selvaggia come il giaguaro che si mangia la scimmietta (niente a che vedere con tartarughe e maialini uccisi in Cannibal Holocaust), qualche combattimento tribale, stupri selvaggi e scene splatter, alcune peraltro gratuite come quella del coccodrillo che stacca una coscia ad un selvaggio. Non manca poi la denuncia etica con un massacro di indios da parte delle corporazioni assassine che inviano mercenari assetati di sangue a smitragliare donne e bambini dall’elicottero. 

Rispetto a Cannibal Holocaust, qui siamo su un altro pianeta e bene fece Ruggero Deodato a non accettarne la regia all’epoca, optando tra l’altro per il bellissimo Inferno in Diretta che, per chi scrive, è uno dei suoi migliori lavori. Quello che colpisce in assoluto del film di Gariazzo, è questo assurdo contrasto tra il gore spinto di alcune scene (tra cui alcune decapitazioni ben dettagliate, degne del miglior Fulci) e lo zuccheroso romanticismo della storia d’amore tra Catherine e il guerriero Umukai (interpretato da Will Gonzales) che innamorato cotto, diventa nei suoi confronti poco più di uno zerbino. Un contrasto che ha il sapore del trash più concettuale, accentuato dalla musica smielata di Franco Campanino che sembra voler plagiare da un momento all’altro il celebre commento musicale di Riz Ortolani scritto per il capolavoro di Deodato. Sceneggia Franco Prosperi che aveva già dato con il genere in Natura Contro e la Dea Cannibale.