venerdì 7 novembre 2025

CRASH! L’IDOLO DEL MALE (Crash, 1977)

Regia Charles Band 

Cast Sue Lyon, Josè Ferrer, John Carradine 

Parla di “marito paralitico omicida tenta di far fuori la moglie a colpi di doberman ma questa stringe un idoletto e scatena un’auto assassina…tutto chiaro, No?” 

La moglie avvenente di un antropologo paralitico (Il bravo Jose Ferrer) compra un idoletto ittita ad un mercatino (da quella faccia da pendaglio da forca di Reggie Nalder), il marito gelosissimo decide di farla fuori e manda il suo doberman ad assalirla mentre viaggia in auto. La donna, che si chiama Kim (Sue Lyon) sopravvive ma è gravemente ferita ed ha completamente perso la memoria, tuttavia la sua mano non vuole proprio staccarsi dalla statuina che ha aggiunto alle chiavi dell’auto. 

Nel frattempo sulla strada un’auto senza conducente scatena una serie di incidenti mortali, con inseguimenti fracassoni ed ampio utilizzo di scontri automobilistici più o meno spettacolari. Questo è il Charles Band degli anni settanta, decisamente ancora lontano dai pupazzoni gommosi che caratterizzeranno il suo cinema nel decennio successivo. Qui siamo nella pura exploitation con un curioso mix tra possessioni demoniache in stile Esorcista (con la Lyon posseduta che sfodera un bel paio di inquietanti occhioni color rosso fuoco) e auto assassine in stile La Macchina Nera. 

Un connubio che purtroppo la sceneggiatura non aiuta a valorizzare, con un montaggio che alterna le due vicende, apparentemente senza alcun legame tra loro. Solo nel finale si arriverà a comprendere che il viaggio della vettura satanica era quello della vendetta finale, ma non è ben chiaro il motivo per cui quest’auto se ne vada in giro a far sbandare altre vetture senza alcuna colpa. In realtà poi alcune di queste sequenze sono piuttosto malfatte, il secondo assalto della vettura ai danni di un poveretto è decisamente sgangherato, al punto che si vede chiaramente che è l’auto della vittima ad andare addosso a quella senza conducente e non il contrario. Va meglio nella parte dedicata alla Lyon, che cerca di riprendere la memoria mentre il marito, accortosi di non aver compiuto l’opera, tenta di farla fuori all’ospedale. A dare una mano a Kim c’è il suo amato idoletto che prende possesso degli oggetti, come la sedia a rotelle del marito che utilizza per far fuori il cagnaccio assassino in una serie di sequenze oltremodo ridicole (del resto anche uccidere un doberman a colpi di carrozzella suona ridicolo!). 

Completa l’intreccio un finale assolutamente narcolettico dove l’auto assassina se la prende molto comoda ad inseguire Ferrer che annaspa con calma tentando di fuggire, senza peraltro mostrare la benchè minima paura, mentre la Lyon, prigioniera in sauna ad altissime temperature (ma senza togliersi il maglioncino, mi raccomando!) sfodera gli occhioni satanici che sono decisamente la parte migliore del film. Da segnalare anche una piccola quanto inutile comparsata del grande John Carradine nella parte di un antropologo. Una pellicola senza mordente, moscia e priva di ritmo, dove anche le spettacolari acrobazie degli stuntman appaiono telefonate, buona soltanto per riempire i pomeriggi dei canali privati negli anni ottanta, dove per l’appunto, vidi Crash! Per la prima volta. Ed è solo un’inguaribile nostalgia di quei pomeriggi televisivi, che mi ha spinto a rivedere questo film.

venerdì 24 ottobre 2025

BAKTERION (1982)

Regia Tonino Ricci 

Cast David Warbeck, Janet Agren, Roberto Ricci 

Parla di “professorone colpito da virus si trasforma in mostro vampiro mentre la sua faccia diventa una maschera gommosa senza fori per far passare l’aria” 

Potremmo intitolarlo “Il mostro dell’enfisema” questo sgangherato fanta-horror del buon Tonino Ricci. Regista che, a partire dagli anni 80 si trova costretto a girare una serie di B-movie fantascientifici tra cui perle come “Bermude – la fossa maledetta” o “Incontro con gli Umanoidi” prima di cimentarsi con questo Bakterion, film bislacco, certo, ma non privo di fascino. Siamo in una cittadina immaginaria inglese, dove lo scienziato professor Adams (Roberto Ricci) sperimenta su di sé un virus che lo rende mostruoso, aggressivo, contagioso, cannibale e anche vampiro (tiè).

Mentre La bella assistente Janet Agren, con il suo granitico mascellone, cerca di trovare un antidoto, il poliziotto David Warbeck scatena una caccia grossa al mostro, anche perché il tempo stringe, dal momento che i cattivoni del governo, senza neanche cercare soluzioni alternative, minacciano di dirottare un aereo militare sulla cittadina, carico di gas nervino, tanto per disintegrare l’intera popolazione e non pensarci più. A soluzioni frettolose corrispondono risoluzioni altrettanto frettolose (come vedremo nel finale), nel mentre possiamo goderci qualche buon momento di efferatezza, in primis nei confronti delle solite coppiette che si appartano nei luoghi più squallidi, tra cui un cinemino dove si proietta un inseguimento automobilistico accompagnato da un motivetto assurdo che sembra più adatto alle sagre di paese. Qualche smembramento qua e là, tra cui quello di un prete che, eroicamente riesce però a salvate un gruppo di bambini e quello nei confronti del sindaco, effettuato davanti alla sua famiglia, della quale, per il resto del film non sapremo mai cosa gli è successo. 


Per il resto il mostruoso dottor Adams si ricorda soprattutto per il suo rantolo polmonare persistente per tutto il film, forse causato dalla mancanza di fori per la respirazione nella bulbosa (e gommosa) maschera pulsante che, nei primi piani finali, ci si rivela finalmente in tutto il suo splendore weirdo, arricchita da un paio di denti storti coi quali non si capisce come il mostro possa sbranare le sue vittime e succhiargli il sangue, e uno sguardo che dimostra, senza ombra di dubbio, quanto attori e regista debbano credere in questo progetto. La colonna sonora passa da commenti musicali di stampo classico fino a esplosioni progressive in stile Goblin. La coproduzione è italo spagnola come dimostra il cast ricco anche di attori iberici. 

venerdì 10 ottobre 2025

WOO-DOO WOMAN (1957)

Regia Edward L. Cahn 

Cast Marla English, Tom Conway, Mike Connors 

Parla di “scienziato folle nella giungla trasforma indigena in un mostro a scaglie ma per scatenarne la volontà omicida è costretto a cambiare donna”  

Ad un anno di distanza dal grande successo di The She-Creature, il produttore Alex Gordon, insieme all’inseparabile Samuel Z. Arkoff, decise di ritentare il colpaccio, e siccome squadra che vince non si cambia, ecco che Woodoo Woman rimette in sella il regista Edward L. Cahn (che firmò successivamente il B-movie ispiratore di Alien, Il Mostro dell’Astronave) e i due protagonisti del precedente lungometraggio, ovvero Marla English (che, casualmente, abbandonò la carriera di attrice proprio dopo questo film) e Tom Conway già protagonista di due classiconi come “Il Bacio della Pantera” e “Ho camminato con uno zombie”. 

Non solo, per risparmiare Gordon decide di riciclare il costume a scaglie della creatura, cambiando solo la maschera sulla testa. Insomma tutto fa credere ad un disastro annunciato, tuttavia la sceneggiatura di Russell Bender e V.I. Voss (anche autori del soggetto) riesce a rendere tutto sommato il film gradevole. La trama si dipana su due fronti, da una parte c’è Marylin Blanchard (Marla English), una donna spregiudicata che vive di espedienti in un bar ai margini della Giungla insieme al suo compare Rick (Lance Fuller) e non esita ad uccidere per i suoi scopi. Dall’altra c’è il mad doctor di turno, il dottor Gerard (Tom Conway) che fa esperimenti insieme al capo degli indigeni, mescolando scienza e magia del Woo Doo per creare una sorta di creatura invincibile e tiene segregata in casa la moglie Susan (Mary Ellen Kay). All’inizio ci prova con un’indigena, che si trasforma in questa cosa ributtante che ruggisce come un leone, veste questa specie di tutona a scaglie ed ha una specie di maschera da zombie scheletrico, una mise talmente ridicola che anche un regista scafato come Cahn cerca di tenere nascosta il più possibile tra le finte foglie di una finta foresta. 

Le due storie si incrociano quando Rick e Marylin si addentrano nella giungla insieme alla guida Ted (Mike Connors) per cercare l’oro degli indigeni e il dottor Gerard si rende conto che l’indigena mostro non ha la giusta volontà di uccidere, volontà che invece riscontra in Marylin, candidata ideale per diventare il mostro assassino a cui il folle professore ambiva.  A parte certi momenti imbarazzanti (vedi la misera fine del personaggio interpretato dalla English) il film è discretamente godibile, per di più non si accontenta del solito Happy End ma, inaspettatamente (siamo negli anni cinquanta ricordiamocelo!) ci regala un finale aperto quanto beffardo che ci rimette in pace con la qualità davvero effimera di quest’ennesimo, adorabile, B-movie. 


venerdì 3 ottobre 2025

VAMPIRELLA (1996)

Regia Jim Wynorski 

Cast Talisa Soto, Roger Daltrey, Brian Bloom 

Parla di “aliena vampira in costume troppo largo cerca vendetta contro vampiro canterino” 

Trasposizione direct to video del celebre fumetto sexy horror creato da Forest J. Ackerman, il film diretto dal mestierante Jim Wynorski (autore però del cult Supermarket horror e successivamente relegato alle produzioni di serie zeta) è la riprova di quanto male abbiano fatto gli anni novanta ai cinecomics. Non bastava l’orrendo Capitan America del 1990 di Albert Pyun o il ridicolo The Fantastic Four (1994) di Oley Sassone, le produzioni a basso budget ci riprovano con la sexy vampira proveniente dal Pianeta Drakulon ingaggiando Talisa Soto, che nel 1989 aveva partecipato a 007 Vendetta Privata e successivamente nei primi due film della saga di Mortal Kombat. 

Ma l’errore più grande della produzione fu il perverso tentativo di lanciare come nuovo Villain in pellicola, nientemeno che il cantante dei The Who, Roger Daltrey qui nei panni del feroce Vlad, vampiro alieno trasferitosi sulla Terra dopo aver ucciso il padre di Vampirella. Il cantante, infatti, si presenta sin dalle prime immagini con delle smorfie grottesche, al limite della parodia di un vampiro, digrignando in continuazione i dentacci e alzando le mani nel tentativo di scimiottare Bela Lugosi. Persino la Soto non è che ci faccia una gran figura, colpa del ridicolo costume rosso in latex, probabilmente troppo largo per il suo esile corpicino, che ne rende ridicoli i movimenti. Non dimentichiamoci poi degli effetti speciali veramente terrificanti anche per l’epoca, come la trasformazione animata in pipistrello che sembra una macchia nera svolazzante.Pensare che il film sia stato sceneggiato dallo stesso Ackerman in collaborazione nientemeno con il celebre illustratore Frank Frazetta, rende quanto meno sconvolgente che il risultato finale sia così povero e piatto. 

Anche l’elemento sessuale, così prorompente nel fumetto originale, viene qui relegato a un paio di tette dalla bionda playmate Corinna Harney qui nella parte di Sallah, compagna del terribile (soprattutto quando indossa un finto codino colorato!!!) Vlad. Se si soprassiede comunque su quanto abbiamo detto, sulla recitazione marmorea del cast, sui dialoghi aberranti e sulle scene d’azione goffe e penose, per il resto il film può anche essere visto in una serata in cui non avete altre alternative che il suicidio. Si segnala il (micro) cameo di Angus Schrimm (il tall-man della saga Phantasm) e soprattutto John Landis nella parte di un astronauta idiota ma spassoso.   

venerdì 5 settembre 2025

THE CREEPS (1997)

Regia Charles Band 

Cast Bill Moynihan, Rhonda Griffin, Phil Fondacaro 

Parla di “scienziato pazzo riporta in vita i mostri dell’Universal ma l’esperimento si interrompe a metà e questi vengono fuori trasformati in nanetti” 

Non tutti i brutti film vengono per nuocere, e non tutti i brutti film sono veramente brutti. Ce lo insegna Charles Band che con questo The Creeps, nella sua povertà di confezione (come del resto tutte le produzioni della Full Moon e in particolare quelle dagli anni novanta in poi) ci regala una commediola horror tanto modesta quanto deliziosa con almeno una trovata geniale, ovvero quella di trasformare i classici mostri della Universal (Dracula, Frankenstein, la mummia e l’uomo lupo) in nanetti! Non ci è dato di capire se nelle intenzioni di Band ci fosse una velata critica nei confronti della Major Cinematografica ma il risultato è assolutamente originale. 

Tutto inizia con un certo Dottor Berber (Bill Moynihan) che trafuga il manoscritto originale di Frankenstein di Mary Shelley da una biblioteca di rarità. La commessa Anna (Rhonda Griffin), per non perdere il lavoro, assolda il detective privato David (Justin Lauer) che divide la sua professione investigativa con quella di noleggiatore di VHS (che tra i film citati, omaggia ovviamente anche qualche titolaccio della Full Moon tipo “Hideous”). Intanto Berber torna nella biblioteca, stavolta per il Dracula di Bram Stoker, e già che c’è rapisce anche Anna per usarla come sacrificio umano. Lo scopo è dare vita agli archetipi leggendari attraverso un portale del multiverso o roba simile. Purtroppo l’esperimento si interrompe a metà con la fuga della ragazza e i mostri, riportati in vita, sono alti la metà del normale. Delle quattro creature nane (come ovviamente lo sono anche gli attori che le interpretano) segnaliamo il bravo Phil Fondacaro, colonna portante dei film di Charles Band, che ci regala l’interpretazione di un Dracula nano veramente efficace, con uno sguardo iniettato di sangue ed un portamento nobile d’eccezione.

Delle quattro creature nane (come ovviamente lo sono anche gli attori che le interpretano) segnaliamo il bravo Phil Fondacaro, colonna portante dei film di Charles Band, che ci regala l’interpretazione di un Dracula nano veramente efficace, con uno sguardo iniettato di sangue ed un portamento nobile d’eccezione. Purtroppo, a parte l’idea di fondo che merita, in ogni caso, tutta la nostra attenzione, il resto del film è ben poca cosa, contraddistinto da uno humor di bassa lega che non fa ridere neanche per sbaglio e una grande profusione di effetti visivi poverissimi sui quali campeggia incontrastato (per bruttezza) il portale del multiverso, più simile alla Ruota della Fortuna di qualche gioco a premi televisivo. In ogni caso, complice anche una durata decisamente esigua, il film intrattiene il giusto e merita una visione, non fosse altro che per vedere una mummia nana che cammina tra i corridoi scuri della biblioteca con il suo caratteristico passo strisciato. 

venerdì 29 agosto 2025

SOMETHING WEIRD (1967)

Regia Hershell Gordon Lewis 

Cast Tony McCabe, Elizabeth Lee, Mudite Arums 

Parla di “veggente sfregiato incontra Strega che gli ridà la bellezza in cambio di amore per poi indagare, sotto effetto dell’acido, sulle gesta di un misterioso serial killer” 

Buffo come il film meno “weird” di Hershell Gordon Lewis abbia proprio questa parola nel titolo, titolo che ha poi ispirato la nota casa distributrice di filmacci di serie Zeta et similia in America (La Something Weird Video). Uscito successivamente a The Gruesome Twosome ma nello stesso anno, Something Weird vede il padrino del gore abbandonare budella di manzo e lingue di pecora a favore di una trama più articolata, che mescola paranormale, stregoneria, psichedelia e thriller, il tutto contraddistinto dalla solita povertà di mezzi che ogni film del buon Lewis deve sopportare. Dopo titoli di testa inquietanti dove vediamo un omicidio attraverso l’inquadratura delle gambe del serial killer che strozza una tizia in minigonna, il film si accentra sul protagonista Mitchell (Tony McCabe) il quale, mezzo folgorato e sfregiato da un cavo dell’alta tensione, si sveglia in ospedale con il dono della preveggenza con cui, successivamente, cerca di sbarcare il lunario, coperto da un fazzoletto sul viso per nascondere il volto deturpato. 

Un brutto giorno viene a trovarlo una vecchia pustolosa (o almeno l’attrice Mudite Arums che si presenta con il solo volto truccato dando l’effetto di una vecchia con il corpo di una quarantenne) che gli propone un patto: Mitch riavrà la sua bella faccia ma in cambio amerà solo lei, ovviamente trasformata nell’avvenente Ellen Parker (Elizabeth Lee). Con questi presupposti Mitch viene incaricato dalla polizia di scoprire l’identità di un serial killer che ha già ucciso sette ragazze (di cui una con un lanciafiamme o qualcosa di molto simile). Nel frattempo la popolarità del veggente cresce al punto da presiedere una seduta spiritica dove Lewis si scatena in una sorta di effetto di levitazione creato in sovrimpressione con risultati piuttosto discutibili (l’immagine di Mitch viene praticamente proiettata sul muro e viene sollevato alzando probabilmente il proiettore stesso). Il punto migliore del film resta comunque l’incontro con uno spettro di donna che imperversa in una chiesa chiedendo solo un contatto umano (siamo di fronte ad un H.G. Lewis estremamente poetico!). 

Per aumentare la sua percezione extrasensoriale Mitch assume dell’LSD e in un tripudio di immagini virate al rosso e caleidoscopizzate, scopre l’identità dell’assassino. Trucchi ed effetti a parte (già questi raffazzonatissimi), anche le ambientazioni risultano poverissime (l’ufficio della Polizia sembra un box tirato a rustico) per non parlare poi di momenti di altissimo trash come lo sfiancante inseguimento finale e i colpi di pistola realizzato con l’effetto sonoro di un tappo che salta. Il finale comunque rimane beffardo e cattivello al punto giusto e, cosa non meno importante, qui Lewis dimostra anche una certa vena anarcoide e anticomformista in quella che, a tutti gli effetti, è una critica alla società dell’immagine ormai radicata sul suolo americano e oltre. 

venerdì 1 agosto 2025

UNA SECONDINA IN UN CARCERE FEMMINILE

(Frauengefang, 1975) 

Regia Jess Franco 

Cast Lina Romay, Martine Stedil, Roger Darton 

Parla di “giovanotta ammazza fidanzato rapinatore e finisce in carcere duro dove tutti cercano di strapparle il segreto del nascondiglio di preziosi diamanti trafugati” 

L’accoppiata Jesus Franco/Lina Romay colpisce ancora, tanto per cambiare con l’ennesimo Woman in Prison (per gli amici dell’acronimo: WIP) che tanto piacevano al maestro spagnolo e che, ovviamente, tanto piacevano anche ad un certo tipo di pubblico, decisamente di bocca buona. Tutto inizia con una rapina, tre loschi individui con anonime maschere bianche, fuggono con una valigetta, due vengono uccisi dal complice ma questi quando scopre che la valigetta è vuota, viene colpito a sua volta dalla fidanzata Shirley (Lina Romay), a bruciapelo. Subito dopo Shirley chiama la polizia e si costituisce, asserendo di averlo ammazzato per gelosia. 

Viene quindi relegata in un carcere femminile (e dove se no?) che, agli occhi del mondo, dovrebbe essere un modello virtuoso di penitenziario (a sentire la voce narrante quasi un centro vacanze) ma che sotto sotto nasconde turpi segreti. Il direttore, che sembra un giovialone, in realtà è un sadico che frusta a sangue le prigioniere ed arriva a mettere dei cavi elettrici nella vagina di Shirley per aver nascosto un biglietto segreto. Una cosa è certa, tutti vogliono sapere che fine hanno fatto i diamanti, ritenendo che Shirley ne sappia qualcosa. Accompagnato da una musichetta talmente stucchevole da rasentare l’incubo (opera di David White) rosa di qualsiasi porno, il film procede piuttosto svogliatamente, soprattutto nel segno dell’eros, elemento che di solito è molto preponderante nel genere. 

Qui ci si limita a qualche zoomata sul pelo pubico delle carcerate, che ovviamente dormono tutte nude per il caldo, non manca qualche accenno saffico (arricchito da integrazioni più spinte dove compare un misterioso sedere dotato di immondo brufolone nerastro!) con la bellissima Martine Stedil che verrà strangolata subito dopo dalla stessa Romay. Successivamente compare anche Tio Jess in completo azzurro e pistola in mano nei panni di un cattivissimo sicario che ammazza il direttore, non senza prima avergli fatto un pippone idealista contro il finto perbenismo di facciata. Finale da cartolina illustrata con lunghe inquadrature paesaggistiche che non servono a null’altro se non a riempire il vuoto di un minutaggio già esile. La Romay mostra tette e culo come se non ci fosse un domani ma se non altro Franco aggiunge all’estetica del film un tocco di raffinatezza, rispetto, infatti alle solite divise dei classici W.I.P. qui le prigioniere portano delle zeppolone giganti, improbabile vestiario in qualsiasi carcere femminile.