giovedì 20 luglio 2023

I MORTI VIVENTI SONO TRA NOI

(Revanche des Morts Vivants, 1987) 

Regia Pierre B. Reinhard 

Cast Veronique Catanzaro, Laurence Mercier, Anthea Wyler 

Parla di “latte scremato assassino, zombesse tiramorsi, segretarie ricattatrici e prostitute infilzate proprio lì in mezzo” 

Introdotto da una colonna sonora costituita da disperate urla femminili, il film del regista franco-svizzero Pierre B. Reinhard parte con il sabotaggio di un camion che trasporta latte. Un misterioso motociclista  versa un liquido rossastro nella cisterna del veicolo mentre il camionista viene distratto da un’autostoppista di facili costumi. Il latte contaminato arriva alla tavola di tre ragazze che muoiono istantaneamente. Nel frattempo il direttore della ditta di prodotti chimici OKF viene incastrato in uno scandalo orchestrato dalla segretaria Brigitte a scopo di ricatto. La OKF ha infatti incaricato un tizio senza scrupoli di sversare rifiuti tossici nel cimitero dove sono sepolte le tre ragazze che, guarda caso, ritornano in vita, tutte vestite di bianco con delle facce grigiastre e dentature in bella evidenza. 

La trama mescola complottismo, poliziesco e horror con una serie di eventi ad incastro che, se ben orchestrati potevano anche dar vita ad un buon film. Ma Reinhard, il quale giustamente proviene dal cinema porno, pensa più ad inquadrare cosce e tette che al povero spettatore, il quale rimane invischiato in un pasticcio confuso dove il montaggio contribuisce in modo negativo a destabilizzare il senso narrativo. Non disponendo quindi di una sceneggiatura sensata a opera di Jean Claude Roy (che si firma con l’anglopseudonimo John King) ci dà dentro con gli effettacci gore e, dal quel punto di vista, il film si rivela sorprendente, soprattutto per una sorta di crudeltà morbosa che ricorda il cinema di Fulci e Joe D’Amato. Le tre zombesse, oltre a muoversi con grande agilità, strappano a morsi il pene ad un tizio, la povera prostituta viene coinvolta in un amplesso a quattro lesbo-necrofilo e finisce infilzata come uno spiedo con uno spadone infilato nella vagina, il tutto con gran dovizia di particolari. 

A mio parere, tuttavia, la scena più assurda è quella dove uno degli impiegati della OKF, che si era ustionato la mano con il prodotto chimico incriminato, tocca la pancia della fidanzata incinta, quest’ultima, entrata in doccia, si accorge con orrore che la pancia comincia a sciogliersi, feto compreso, in un tripudio di sangue e budella veramente disgustoso. Il motociclista, mosso da sensi di colpa va a confessarsi in chiesa ma invece del prete si trova davanti le zombesse con tutto quel che ne consegue. Alla fine (posso spoilerarlo tanto trovate il finale anche su Wikipedia!) si scopre, in maniera piuttosto sempliciotta, che le tre morte viventi erano rapinatrici incallite con mascheroni di gomma, capaci per avidità, a quanto pare, di evirare a morsi le persone o ad eviscerarle a mani nude. In generale, comunque, il film è permeato di un certo fascino horror da cinema europeo anni settanta, tra un tardo Jean Rollin e un Amado De Ossorio con qualche reminiscenza dei fumettoni perversi che uscivano nelle nostre edicole, tipo Oltretomba o Satanik, per intenderci, il che, se siete degli incorreggibili nostalgici, vi permetterà di apprezzarlo comunque nonostante le evidenti lacune.  

giovedì 13 luglio 2023

MAD HEIDI

(2022) 

Regia Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein 

Cast Alice Lucy, Casper Van Diem, Kel Matsena 

Parla di “dittatore del formaggio ultrasvizzero contro eroina delle alpi armata fino ai denti”  

Una volta c’era Elisabetta Viviani che cantava “Ti sorridono i monti, le caprette ti fanno ciao”, oggi invece, grazie ad una campagna di crowfunding iniziata su Kickstarter, i due esordienti Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein hanno potuto mettere in mano alla celebre eroina ideata dalla scrittrice svizzera Johanna Spyri, alabarde, pistole, spade e mazze ferrate per un tripudio gore-splatter in puro stile Grindhouse. Non a caso l’estetica di Mad Heidi attinge a piene mani dal Machete di Robert Rodriguez, con tanto di mitragliatrice a nastro nel finale, ettolitri di sangue a spruzzo e tonnellate di ultraviolenza dove satira sociale, distopia e horror si mescolano allegramente in una sarabanda orgiastica che gli autori amano contrassegnare con l’appellativo di Swissploitation. 

Il plot narrativo rimane comunque un piccolo capolavoro di genio demenziale ambientato in una Svizzera dominata dal dittatore del formaggio Meili (interpretato da uno spassosissimo Casper Van Diem) il quale, analogalmente al noto Fuhrer, trasforma la nazione in un dominio ultranazionalista dove l’unico cibo concesso è il formaggio rigorosamente locale mentre dissidenti e intolleranti al lattosio vengono deportati in oscure prigioni. La giovane orfanella Heidi (Alice Lucy) intanto flirta con il giovane Peter (Kel Matsena), il quale, in concessione alla moda inclusiva ma con una punta d’ironia, è un nero che indossa sgargianti abiti tirolesi mentre si dedica allo spaccio clandestino di formaggio illegale. Catturato in pieno villaggio, Peter viene ammazzato davanti agli occhi di Heidi dal crudele sgherro di Meili che gli fa saltare letteralmente la testa. Non contento, l’ufficiale fa esplodere la baita del nonno e imprigiona la ragazza (non è ben chiaro invece il destino del povero Fiocco di Neve). 

In prigione Heidi conosce Klara ed entrambe devono affrontare le torture della crudele signorina Rottenmeyer il cui nome viene storpiato in Rottweiler e le angherie di due spaventose vichinghe campionesse di lotta libera. Non manca la variante horror in cui lo scienziato pazzo di turno (Pascal Ulli) crea il super formaggio ultrasvizzero in grado di trasformare i suoi consumatori in zombi purulenti e aggressivi. In Mad Heidi il trash diventa concettuale, non siamo certo di fronte ad un low budget, visto anche che il film ha raccolto una produzione di due milioni di dollari e si vede che sono stati spesi tutti (e bene). Impossibile non voler bene alla Lucy quando infilza gli swiss nazi a colpi di alabarda o quando vediamo il nonnino corredato di piratesca benda all’occhio, muovere la resistenza contro i formaggiatori assassini. Non siamo certamente di fronte al film dell’anno, ma il divertimento è assicurato…occhio però al colesterolo! 

giovedì 6 luglio 2023

MORAK, IL POTERE DELL’OCCULTO

(Meatcleaver Massacre, 1976) 

Regia Keith Burns e Edward D. Wood Jr (Evan Lee) 

Cast James Habif, Larry Justin, Cristopher Lee 

Parla di “studioso gambizzato non sa cosa fare in ospedale ed evoca demone della vendetta contro bulletti assassini”  

Uno dei pochi motivi che posso suscitare interesse nello spettatore nei confronti di questo poverissimo slasher anni settanta, è la presenza dietro la macchina da presa di Edward D. Wood Jr. a quattro mani con il regista Keith Burns. Un nome che oggi non ha certo bisogno di presentazioni tra gli appassionati di cinema ma che, ai tempi, non diceva proprio nulla, al punto che i due registi apparvero dietro l’unico pseudonimo Evan Lee. Altro motivo potrebbe essere la presenza di Cristopher Lee nel cast, non fosse che la sua interpretazione si riduce ad un mero cameo di presentazione a inizio film (almeno nella versione italiana perché in quella americana c’è anche nell’epilogo) in puro stile edwoodiano, alla Criswell, per intenderci. 

Il problema, semmai, è che il cameo di Lee fu realizzato all’origine per un altro progetto e poi acquistato successivamente dalla produzione per avere almeno un nome famoso da sbandierare nei flani. Terminati i motivi di interesse potremmo anche concludere qui la nostra dissertazione su Meatcleaver Massacre, non fosse che l’idea di base ha almeno il pregio di anticipare di due anni il plot narrativo di Patrick di Richard Franklyn, plot ripreso successivamente anche dal nostro amato Fulci per Aenigma (per non parlare poi del sequel apocrifo di Mario Landi “Patrick vive ancora”). La storia vede come protagonista marginale uno studioso universitario, tale Prof. Cantrell (James Habif), che durante una lezione afferma di poter evocare il demone Morak con una preghiera in gaelico. Fuori dalla scuola il professore ha un alterco con Mason (Larry Justin) uno sbandato dedito alla droga. 

Quest’ultimo organizza una home invasion a casa dello studioso con tre bulletti che fanno fuori tutta la sua famiglia e lo trasformano in un vegetale con una mazzata in testa. Paralizzato in un letto d’ospedale Cantrell evoca mentalmente il demone Morak e lo scaglia contro i teppisti per vendicare la sua famiglia. Il primo viene ucciso nel deserto non si sa bene come, forse fustigato a morte dalle piante di Yucca, il secondo, che fa il meccanico, viene giustamente preso a cofanate d’auto sul cranio mentre il terzo, dopo aver cercato inutilmente il coito con un’amichetta prostituta (che permette al film di avere la sua quota sesso con l’esibizione in primo piano delle tette di Maria Arnold) viene carbonizzato a morte da un quadro elettrico assassino. La sorte peggiore toccherà a Mason e di rimando anche allo spettatore, perché a quel punto si paleserà finalmente il demone in carne e trucco, un’orrendo quanto ridicolo incrocio tra Swamp Thing e Bigfoot ma realizzato talmente male che il direttore della fotografia meriterebbe un premio per averlo inquadrato poco e male. 

Alla fine lasciamo Mason in un manicomio a guardare un occhio strappato sul palmo della mano ridendo come un matto. Uscito da noi solo in VHS, Morak è uno di quei film che partono discretamente ma si perdono per strada con inquadrature turistiche delle strade notturne, cartelloni pubblicitari e, ad un certo momento, anche due tizi che si baciano e nessuno sa cosa cazzo c’entrino col film. Particolare il fatto che nella pellicola non esista un vero e proprio protagonista, in effetti anche il resto del cast sembra latitare, soprattutto nella qualità dell’opera finale dove persiste sotterranea una certa comune vergogna per quanto si è andato a realizzare.