(Id. 1987)
Regia Marco Antonio Andolfi
Cast Marco Antonio Andolfi, Annie Belle, Gordon Mitchell
PROLOGO
Quando si recensiscono certi pezzi
da novanta della cinematografia "trash" italiana bisognerebbe
scrivere in posizione "adorante" col viso rivolto verso terra e le
gambe inginocchiate, difatti è questa la posizione assunta dal sottoscritto per
scrivere la sua seconda recensione del capolavoro di Marco Antonio Andolfi.
La prima recensione potete
trovarla
qui.
Finanziato inspiegabilmente con
contributi statali, "La croce dalle sette pietre" è un film talmente
brutto e malfatto da essere oggi giorno considerato uno dei cult assoluti del
cinema horror, innanzitutto per la curiosa commistione tra film di licantropi,
satanismo e Camorra story, al punto da essere conosciuto anche come
"L'uomo lupo contro la camorra" , poi sicuramente per l'imbarazzante
recitazione, i clamorosi buchi di sceneggiatura e gli osceni effetti speciali,
tutte cose realizzate personalmente dal nostro regista che scrive, produce e interpreta il protagonista (sotto lo
pseudonimo di Eddy Endolf) Marco Sartori, bancario romano che giunge a Napoli
per rivedere la cugina Carmela. Ma andiamo con ordine: Il film
inizia subito elegantemente offrendoci la sublime vista di una serie di
normalissime cantine da condominio, in una delle quali un gigionesco Gordon
Mitchell sta organizzando un festino satanico per richiedere la venuta del
demone Aborym (rappresentato qui come un grottesco chewbacca). Tra un ciccione
che cerca in modo goffo di baciare le zinne a una tipa tutta fetish ed un
incappucciato che passa la serata a frustare un altra ragazza mentre questa
geme dal piacere ("Il tuo dolore è il mio piacere"), arriva il
signore delle tenebre con una maschera da scimmia visibilmente di gomma e un
costume di lana alquanto infeltrito.
Dopo esserci divertiti con le
ridicole facce del buon Mitchell che sembra isterico mentre recita "Aborì
vieni qui!!!... Subito!!!!...Ora!!!
Partono i titoli di testa.
A questo punto appare d'obbligo
una riflessione: il film è talmente povero e girato con una pellicola scaduta
che, nonostante sia databile nei tardi anni ottanta, sembra uscito direttamente
verso la metà degli anni settanta (e non è volutamente retrò).
Marco Sartori arriva alla
stazione di Napoli, incontra la cugina Carmela, il dialogo si rivela
assolutamente inutile e ci fa da subito capire che quanto scritto in questo
canovaccio potrebbe essere rimescolato e utilizzato in qualsiasi altro punto
del film senza cambiare una virgola del significato intrinseco dello stesso (il
che accade praticamente per tutti i dialoghi della scemeggiatura).
A questo punto la scena cambia e
vediamo Mitchell in giacca e cravatta posare in modo statuario sulla spiaggia
per una sequenza che avrei visto bene in Gomorra con due tizi che si passano la
roba giunta da un ragazzino perplesso che cammina quasi avesse la bici senza sellino.
I due si fanno sulla scogliera mentre Mitchell ghigna oscenamente (Mamma mia, è
proprio cattivo questo qua!).Marco e Carmella vanno al bar a fare colazione,
lei ordina un caffè senza zucchero e va a fare una telefonata in uno di quegli
antichissimi apparecchi a gettoni. Dopodichè passeggiano per le strade,
arrivano due (quelli che si stavano "perando" prima probabilmente) in
motorino e fottono a Marco una catenina che teneva appesa al
collo, una scena che succede spesso a Napoli, solo che il nostro eroe si
dispera in maniera decisamente esagerata e fa intervenire la polizia per
inseguire gli scippatori.
Carmela a questo punto scompare
inspiegabilmente e non la rivedremo più per tutto il film, in realtà era una
finta Carmela, amica della vera cugina che si era spacciata per lei allo scopo
di conoscere il bel giovinotto (visto che la cugina gli aveva parlato della
visita di Marco). Prendiamo quindi buono questo pretesto per l'uscita di scena
di Carmela e proseguiamo con Marco che si reca in una discoteca dove conosce
Maria (Annie Belle) una giovane escort che scopre subito di essere innamorata
di lui, non si sa per quale motivo, succede...a Napoli!
Marco viene prelevato e malmenato
da un gruppo di energumeni, riesce però a scoprire che il ricettatore Totonno
'o cafone (un personaggio ma sopratutto un nome mitico!) potrebbe avere la
croce gemmata. Si reca quindi in piena notte a picchiare i pugni a casa di
Totonno ma questi dopo averlo insultato in napoletano rivela di non avere più
la croce ma di averla venduta a Don Raffaele Esposito, boss della camorra di
Torre Annunziata.
Finalmente giunge la prima
trasformazione di Marco anche se non la vediamo direttamente,
ci basta ammirare il risultato, dovete
infatti sapere che il lupo mannaro, in questo film, viene rappresentato come un
uomo completamente nudo ad eccezione di una sorta di parruccone di lana di
vetro che gli copre il viso fino all'altezza del naso, Andolfi non mette
neanche dei denti finti, per ovviare al problema si limita a digrignare in continuazione
emettendo un suono simile ad uno squittio, la peluria copre quindi le mani e il
pisello creando quello che forse è il più ridicolo licantropo della storia del
cinema. Le apparizioni del mostro si alternano con brevi primi piani di un
simpatico cagnolino che forse nelle intenzioni del regista doveva rappresentare
la dualità tra l'uomo e la bestia.
In ogni caso il licantropo assale
Totonno che, senza essere praticamente toccato, cade a terra e si scioglie
tutto in una mirabile dissolvenza realizzata mettendo un manichino in un forno
a 180 gradi.
Ma il colpo di genio totale è che
il mostro quando è ancora umano risulta vestito, poi diventa nudo (non ci è
dato di sapere che fine hanno fatto gli abiti) e quando ritorna normale è di
nuovo vestito come prima!!!
Marco torna a casa sua e si mette
a letto, nel sonno continua a ripetere il nome di Don Raffaele Esposito quasi
ne fosse innamorato mentre sullo schermo scorre quello che vorrebbe essere una
sorta di sogno ma in realtà è un arzigogolato montaggio di sequenze passate,
presenti e future del film, in pratica Andolfi ci fa vedere un sunto del film
di modo che, molto onestamente a mio avviso, se quello che vedremo non ci piace
ce ne possiamo anche andare via subito, a riprova che questo spettacolo è riservato
a persone dal palato fine e non dal popolo bue ignorante che non è in grado di
apprezzare la nouvelle vague del cinema sperimentale di genere!
Accompagnato da Maria, che chissà
come e chissà perchè gli si è appiccicata addosso, Sartori si reca Torre Annunziata
e, siccome il modo migliore per rintracciare i camorristi è l'approccio
diretto, si ferma ad un bar e chiede molto gentilmente dove può trovare Don
Raffaele.
Arrivano subito due sgherri del
don che lo prelevano e lo portano in una villa, Maria li tallona e, dotata di
poteri magici (evidentemente) si intrufola nella villa dove assiste ad un
raffinato dialogo campano tra due guardie (una con sofisticati calzini rossi)
che concludono la loro diatriba con la tipica espressione gergale dei
camorristi, ovvero "Jammè a vedè Maradona!!!"
Don Raffaè riceve il giovane ma
non crede che lui sia venuto solo per la croce pur essendo armato di "una
penna e nu fazzoletto bah!" quindi lo fa ammanettare e malmenare dai suoi
uomini, siccome Sartori non parla, il boss chiama i siciliani, vediamo quindi
George Ardisson nella parte di un credibilissimo mafioso anglo siculo che gli
inietta il siero della verità, peccato che improvvisamente sorga la luna piena
e finalmente assistiamo alla trasmutazione in dissolvenza del volto di Andolfi,
probabilmente Jack P. Pierce a questo punto si sarebbe rivoltato nella tomba
assistendo alla eterna e sfiancante (almeno per lo spettatore) trasformazione
"un pelo alla volta" della faccia digrignante del nostro eroe,
contrassegnata da continui ululati che sembrano uscire da un megafono alla
stazione della metropolitana.
Il mostro compie un massacro
(dipende dai punti di vista dal momento che appena tocca qualcuno questo muore
senza motivo), Maria lo recupera ma ancora niente croce. Attraverso un
flashback vediamo finalmente a che minchia serve sta croce gemmata! La mamma di
Marco era una seguace di Aborym e dopo aver copulato con lui in una scena
eccitante quanto una colonscopia ha dato alla luce il nostro protagonista
(ovviamente biondo da bambino nonostante il protagonista in età adulta sia
improvvisamente diventato castano scuro) mettendogli sta croce al collo per
evitargli di prendere la mostruosa strada paterna. Entra in scena aborym e con
una voce che sembra appartenere ad un alcolizzato dell'oltretomba piuttosto che
ad un demone, da della sgualdrina alla donna e gli fa esplodere lo stomaco.
Adesso è tutto più chiaro, ma la
croce è stata donata ad una fattucchiera da cui si reca Marco. Dopo un dialogo
imbarazzante in cui Andolfi sembra essersi improvvisamente addormentato (vedere
per credere!) questa gli dice che bisogna aspettare non si sa cosa, poi i due
si spogliano (anche se lui è attivo come una cozza) e fanno sesso (massì va
passiamo il tempo in modo piacevole), Marco mentre la sta penetrando (almeno
pare ma vista la posizione che assumono non ci giurerei) si trasforma, riempie
di bava schiumosa la tipa urlante e la deflora a morte (si, insomma si vede il
sangue sulle parti intime della donna).
Maria giunge sul luogo del
delitto, trova la croce e anche la bestia che gli mette le mani al collo, molto
tranquillamente direi, ed altrettanto con calma la ragazza, senza provare alcun
patema nonostante sia molto prossima alla morte, gli allaccia la croce al collo
ponendo fine alla maledizione.
A questo punto è tempo che i
cattivi muoiano e quindi Gordon Mitchell fa un incidente in auto tutto da solo,
muore e la gente che lo soccorre assiste alla sua istantanea decomposizione.
Lieto fine con retrogusto
cattolico e gita papale inclusa per la nostra coppia (è noto che i figli del
demonio si rechino spesso a far visita al Papa) mentre i titoli di coda
scorrono davanti alla cupola di San Pietro.
Attore espressivo quanto una
colata di cemento, sceneggiatore di fotoromanzi e raffinato regista, Marco
Antonio Andolfi, inspiegabilmente, non
ha più lavorato nel cinema fino al 2008 quando, dopo essersi reso conto che
qualcuno aveva rivalutato la sua schifezza, ha deciso di realizzare una sorta
di mediometraggio sequel dal titolo "Riecco Aborym", intimistica
rilettura del mito intervallato da scene riprese dal film originale, insomma
nonostante gli anni Andolfi non ha perso la sua straordinaria capacità di
allungare il brodo trasformando la merda in oro colato!
Recentemente Andolfi è comparso come attore nel mio secondo film "
Dolcezza Extrema", se volete potete recuperarlo
qui
EPILOGO
Finalmente la recensione è
finita, posso tornare alla mia posizione normale pur conservando negli occhi
quella punta di commozione inevitabile quando si parla di certi capolavori
(sigh!). Ovviamente è d'obbligo la visione del film in posizione canonica!