lunedì 24 dicembre 2018

INCUBO SULLA CITTA' CONTAMINATA


(Id. 1980)

Regia di Umberto Lenzi
Cast Hugo Stiglitz, Laura Trotter, Maria Rosaria Omaggio

Quello che mi piace veramente di un regista/artigiano onesto e capace come Umberto Lenzi è la sua piena consapevolezza degli obiettivi da raggiungere in rapporto alle possibilità a disposizione. Il nostro se ne frega dell’estetica, non importa se una goccia di fango arriva sull’obiettivo o se quello che cade dalle montagne russe è visibilmente un manichino, l’importante è il film in sé stesso e quello, se si parla di “Incubo sulla città contaminata”, c’è a tutti gli effetti.
Il risultato dei suoi sforzi registici molto spesso appare rozzo, villano, politicamente scorretto, ma dannatamente efficace, la tensione poi c’è tutta e nessuno spettatore può dire “che palle stò film!”.
Incubo... può essere considerato a tutti gli effetti il canto del cigno della poetica Lenziana, un film rozzo, brutale, diretto allo stomaco senza troppi sofismi ma anche 90 minuti di pura adrenalina con la marcia in più dell’aver creato, mescolando il frappè horror del passato, qualcosa di nuovo che, come vedremo più avanti, porterà grande ispirazione ai registi del nuovo millennio.

Lenzi, nel narrarci della terribile invasione di contaminati assassini, mescola dentro Zombi (il solito colpo alla testa), vampiri (i contaminati bevono il sangue delle vittime per rigenerare le proprie cellule) e i contaminati-killers di The Crazies e gli orrori della bomba atomica così come visti dal cinema nipponico. Questo pout-pourri di orrori viene addirittura aviotrasportato con un Hercules che piomba nella pista aerea di una città americana non meglio identificata con il suo carico di assassini dalla faccia ustionata, le prime sequenze sono da manuale, Lenzi ci fa attendere il giusto prima di veder apparire i mostri, da lì poi il massacro, i mostri sembrano quasi più dei terroristi che altro, usano armi bianche ma non lesinano con mitra e fucili. Per il giornalista Miller (un Hugo Stiglitz mono-espressivo ma perfetto per la parte) e la moglie Hanna (Laura Trotter) il resto del film è una sorta di road movie per sfuggire alla miriade di assassini che si aggirano per i confini della città, mentre nel  Quartier Generale dell’esercito  il Generale Murchison (Mel Ferrer) pare abbia le mani legate dal governo.

Il bello di tutto questo è che la trama lascia intendere che l’invasione stessa non sia generata semplicemente da un generatore nucleare mal funzionante, ma che ci sia sotto qualcosa di più…chi invia gli aerei cargo pieni di mostri? Perché il governo non vuole avvisare la popolazione? Tutto lascia presagire un colpo di stato, il che se fosse stato magari rivelato alla fine avrebbe potuto elevare “Incubo sulla città contaminata” ad uno dei migliori horror italiani dello scorso ventennio, ma forse non sarebbe stato più un film di Lenzi, uno di quegli spettacoli dove non importa perché le cose accadono, l’importante è che accadano e affanculo l’estetica! A quella ci penserà poi Danny Boyle in “28 Days Later...” quando riesumerà i contaminati killer dando vita al nuovo modello di zombie-corridore tanto sfruttato nel nuovo horror contemporaneo. Nel cast anche Maria Rosaria Omaggio e Francisco Rabal impegnati in una relazione amoroso un pò improbabile, una scultrice ed un militare? Questo è il cinema baby!

lunedì 17 dicembre 2018

I MOSTRI DELLA CITTA' SOMMERSA

(Kaitei daisensô, 1966)

Regia Hajime Satô
Cast Shin'ichi (Sonny) Chiba, Peggy Neal, Franz Gruber


Diciamocela tutta, la "neve marina" è un misto di spazzatura, merda e cadaverini decomposti che formano una specie di polvere bianca che scende nelle profondità del mare. Insomma la spazzatura che diventa elemento poetico e romantico in una scena di questo film del 1966 diretto da Hajime Sato, regista di un cult psyco dark come "Il pozzo di satana" ed interpretato da una stella del cinema nipponico come Sonny Chiba. La premessa è giusto per ribadire il concetto che anche in un film trash i risultati possono essere entusiasmanti e, difatti, questa produzione creata ad hoc per il mercato internazionale, con tanto di cast misto nippo occidentale, trasuda di weirdo dall'inizio alla fine, ma un weirdo di tipo gioioso, un pò come le espressioni degli attori, che, spesso, sembra ridano loro stessi di quello che stanno facendo, non fosse altro per la loro cagneria. Si inizia con una dimostrazione di modellini di sommergibile che si silurano l'uno con l'altro, ma durante il test, i giornalisti presenti scorgono nelle profondità marine una strana ombra a forma di uomo pesce. 

I due reporter Ken e Jenny (Sonny Chiba e Peggy Neal) decido di immergersi con le bombole per cercare la strana creatura. Dopo un buon quarto d'ora di riprese d'immersione in cui potete benissimo dedicarvi ad altre attività (tipo scaccolarvi, chattare, dormire o farvi una chiavata) perchè tanto non succede una minchia, ecco spuntare il primo mostro del film, a cui ne seguiranno tanti altri. Trattasi di una specie di pinguino a dimensione umana rivestito con una tuta di plastica verdastra e artigliacci nelle mani. I due giornalisti lo fotografano ma (ahimè) la macchina fotografica rimane nel fondale per cui nessuno crede alla coppia. Così i due tornano a immergersi, stavolta per cercare la macchina fotografica. Ad un certo punto, mentre nuotano, puff! Li rivediamo in una specie di grotta marina dove, evidentemente, il regista si è dimenticato qualche passaggio, pazienza! I due vengono catturati da un dottore matto che sorride come un idiota tutto il tempo ed indossa enormi occhiali da sole che, nelle profondità marine, sono sicuramente utili. Il mad doctor ha creato una specie di città sommersa con tanti bei modellini in puro japan style, dove i mostri sono schiavi trasformati in anfibi con tanto di trapianto polmonare espresso. 

Alla fine i mostri impazziscono e i nostri eroi, che a momenti rischiano loro stessi di diventare anfibi, riescono a fuggire. In un tripudio di macchinari valvolari, pareti bianche e pistole con il silenziatore che sparano a casaccio, il regista Sato abusa di primi piani e inquadrature strette, probabilmente per risparmiare, con risultati a volte stranianti, del tipo "ma questi due staranno dialogando fra di loro o parlano da soli?". E' superfluo dire che i mostri sono ridicoli, con quegli occhioni strabici e le manone che non sanno più dove farle sventolare. Si tratta però di un film che, chiunque alla mia età, ha visto almeno una volta da bambino su qualche canale privato nel pomeriggio, visto che lo trasmettevano a ripetizione. Per cui è impossibile parlarne male senza sentirsi un minimo in colpa per averne offeso così la memoria nostalgica. Ma la vita va avanti e certi miti perdono il loro fascino con la maggiore età, per cui è giusto rivederli con uno spirito critico più avanzato. Nonostante questo resta impossibile non volergli almeno un pò di bene, se non altro per la compagnia che ci ha fatto nei lunghi pomeriggi di cazzeggio casalingo quando la voglia di studiare annegava nelle profondità del nostro cervello.

domenica 9 dicembre 2018

VAMPIRE GIRL VS. FRANKENSTEIN GIRL


(Kyûketsu Shôjo tai Shôjo Furanken, 2009)

Regia Yoshihiro Nishimura, Naoyuki Tomomatsu
Cast Yukie Kawamura, Takumi Saitoh, Eri Otoguro

Il trash sembra imperversare sempre più nel nuovo cinema nipponico, anche se parliamo comunque di un trash anomalo in quanto fortemente voluto da chi realizza l’opera e non “involontario” come certe produzioni low budget degli anni sessanta. Certo, in casi come questo,  esiste anche, da una parte, l’esagerazione tipica degli autori del sol levante, volta ad esprimersi soprattutto nello splatter più cartoonesco fatto di immense docce di sangue che sembrano non finire mai, in arti tagliuzzati e corpi rimodellati in forme gommose che sembrano uscire da un quadro di Picasso, ma volta anche verso riferimenti occidentali come il cinema Camp tipico dello stile  di John Waters e più ancora della Troma, rimandi esemplificati soprattutto attraverso personaggi esagerati all’ennesima potenza come le Ganguro Girls, studentesse afro-fanatiche al punto da tingersi di nero come  finte africane per vincere delle gare sportive, oppure nelle insostenibili gare per il taglio dei polsi che non mancano di riferirsi al disagio sociale della gioventù giapponese.

Fatto sta che il film dei registi Yoshihiro Nishimura (che aveva già diretto il cultissimo Tokyo Gore Police nonchè autore degli effetti di Make-up di quest'ultimo e di un analogo cult come The Machine Girl)  e Naoyuki Tomomatsu  (autore della sceneggiatura) tratto da un fumetto Manga di Shungiku Uchida non manca di divertimento soprattutto nella sua parte iniziale, con il primo, sanguinosissimo scontro tra la vampirella e tre mostruose studentesse Frankenstein. La storia poi riparte dal principio quando assistiamo alla consueta tradizione del San Valentino orientale in cui sono le ragazze a regalare i cioccolatini al ragazzo che filano. Peccato che lo sappia anche il viscido professore (Takashi Shimizu), che ha come hobby lo stalking e la perquisizione di borse e borsette per requisire il  cioccolato avvolto in romantici pacchetti colorati. L’unica che riesce a nascondere il dolce è il nuovo acquisto della classe, la giovane, bella Monami (Yukie Kawamura) riservata al punto che soprattutto nei giorni di forte sole scompare misteriosamente.

Destinatario del cioccolato è l’aitante Mizushima (Takumi Saitô) unico belloccio della classe anche se non particolarmente sveglio, ma essenndo l’unico bello della classe è anche conteso da Keiko (Eri Otoguro) viziatissima figlia del vicepreside Kenji Furano (Kanji Tsuda) che a tempo perso si dedica a folli esperimenti ai danni di ignari studenti travestito da Kabuki in compagnia della dottoressa della scuola Midori (Sayaka Kametani) affetta da psico ninfomania. Ad ogni modo Monami mette il proprio sangue nel cioccolatino trasformando il giovane in un suo simile. Queste attenzioni non piacciono alla prepotente Keiko che si scaglia su di loro dopo averli scoperti a fornicare in terrazza. La vampirella però la getta di sotto. A questo punto il padre di Keiko, grazie al prodigioso sangue della vampira rinvenuto per terra in infermeria, ricompone la figlia e la trasforma in una creatura assemblata con parti umane.

Lo scontro avverrà sulla torre di Tokyo, tra mani e gambe mozze, fiumane di sangue e mostruosità varie, il tutto condito da eccessi di demenza, ralenty a volte insopportabili e qualche lungaggine soprattutto nel finale. Certo ci si diverte, peccato che la CGI abbia sostituito un po’ troppo l’artigianalità dello splatter fatto con lattice e gomma, rendendo tutto un po’ troppo freddo e digitale, fortuna che prodotti del genere non debbano mai essere presi sul serio, forse neanche catalogabili come horror, in ogni caso val bene l’oretta e mezza di divertimento che promette.




lunedì 3 dicembre 2018

KU-FU? DALLA SICILIA CON FURORE

(1973)
 Regia  Nando Cicero
Cast Franco Franchi, Gianni Agus, Enzo Andronico

Figlio di uno dei tanti periodi di separazione dell'immortale coppia Franco/Ciccio, questo titolo rappresenta forse uno dei punti più alti del cinema trash italiano, ovviamente con tutte le interpretazioni che questo comporta, sia nel bene che nel male. Di certo non è il miglior prodotto della lunga carriera di Franco Franchi, anche perchè tende troppo al riciclo di una ormai consolidata  serie di battutacce comiche che sembrano fuoriuscire da un barzellettaio di grana grossa, alimentato poi dal giochino di storpiare nomi cinesi tipo Kon Ki Lay o Lho Kon Te rispettivamente le due scuole di arti marziali che si contendono un posto statale a Roma attraverso una gara di combattimenti a cui partecipa lo speranzoso Franco detto anche "La mano di Travertino" nonostante i suoi colpi proibiti facciano più male a lui che ad altri.



Dirige il "Non Maestro" Nando Cicero a riprova del fatto che entrambi i comici erano molto influenzati dalle capacità del regista e da esso dipendeva comunque il risultato finale, nonostante fosse sempre lasciato molto spazio all'improvvisazione personale. Ku-Fu, agli atti, dovrebbe essere una sorta di parodia di "Cinque Dita di Violenza" uscito pochi mesi prima al cinema con uno straordinario successo di pubblico, di questo va dato atto della straordinaria capacità del nostro cinema di allora di realizzare parodie istantanee, nonostante, per attirare maggiormente gli spettatori si fosse utilizzato nel titolo il riferimento ad uno dei capolavori assoluti del grande Bruce Lee.

Franco Franchi cerca di mimare le mosse di karate con la solita pantomima da pupo siciliano vestito con kimono ma alla fine il divertimento arriva quasi sempre dagli straordinari comprimari che costituiscono forse uno dei migliori cast del genere, con tre straordinari quanto improbabili samurai come Nino Terzo  (Ki Kaka Mai), Gino Pagnani (La sua soddisfazione è il nostro miglior premio!) e Alfonso Tomas, nel ruolo del villain di turno uno straordinario Gianni Agus, Gian Carlo Fusco interpreta il proprietario del bar dove puoi spaccare tutto ma non togliergli il piatto di spaghetti sennò si incazza ma il più straordinario di tutti, come sempre, il grande Jimmy il Fenomeno che ci regala uno dei suoi esilaranti momenti di demenzialità come cameriere cinese afflitto da delirium tremens.



lunedì 26 novembre 2018

ZOMBI HOLOCAUST


Regia Marino Girolami
Cast Donald O'Brien, Alexandra Delli Colli, Peter O'Neal

Gli italiani, si sa, sono un popolo di pasticcioni, spesso, stufi della solita minestra, giocano a mescolare tra di loro ingredienti nuovi cercando di trovare nuovi sapori, spesso il risultato è ottimo ma altre volte alquanto indigesto. Nel periodo d'oro dell'horror tricolore, questo assioma era comune nel mondo del cinema tant'è che spesso si accostavano arditamente i film sul vietnam con il cannibal movie (Cannibal Apocalypse), The Warriors con 1997 Fuga da New York (I guerrieri del Bronx) e nel caso di Zombi Holocaust, si mixava il successo del film di Romero con l'acclamato quanto infame "Cannibal Holocaust " di Ruggero Deodato, ma al maestro Marino Girolami che prima di questo titolo non aveva mai girato un Horror, questo frullatone non bastava ed ecco che ci sbatte dentro anche le tematiche classiche del Dottor Frankenstein.

La pellicola inizia in un ospedale americano dove un misterioso figuro trafuga arti e frattaglie dai cadaveri destinati alle lezioni di anatomia, il fellone si rivela un indigeno dell'isola di Kido nelle Molucche, beccato in flagrante mentre sta per addentare un cuore umano. L'indio si getta dalla finestra e dall'altro vediamo il manichino che perde un braccio anche se poi nella scena seguente il cadavere è tutto intero! (Magia del low budget). Viene quindi organizzata una spedizione sulla famigerata isola di Kido dove la dottoressa bellona di turno (Alexandra Delli Colli) in compagnia della giornalista bellona di turno (Sherry Buchanan) e dell'avventuriero bellone di turno (Peter O'Neal) e del forzuto nero di turno (Dakar) non proprio bellone, vengono inviati nelle foreste equatoriali  stranamente simili al parchetto sotto casa dove vengono subito attaccati da feroci cannibali, i primi a farne le spese sono i filippini portantini, ma poi quando anche gli altri membri della spedizione sembrano soccombere arrivano gli Zombi, talmente truccati male da far fuggire a gambe levate gli antropofagi. 

Scopriremo quindi che il terribile Dottor Obrero (Donald O'Brien) sta sperimentando nella giungla mostruosi trapianti di cervello per rendere i morti viventi più intelligenti e immortali. Peccato che gli indigeni nominano come loro regina la bellona dottoressa che guiderà i selvaggi al salvataggio dei sopravvissuti (ovvero l'unico scampato, l'avventuriero).
Ora il mix tra Mad doctor/cannibali nella giungla e zombi rappresenta sicuramente una punta di originalità notevole nel panorama di genere, il film poi è deliziosamente ultrasplatteroso con una deorbitazione da brivido, il divertimento è assicurato, peccato che Girolami non riesca a nascondere l'essenza povera del film ma sopratutto la sua predilezione al cinema comico. In effetti si ride molto anche se non era questo l'intento della pellicola.

lunedì 19 novembre 2018

THE STUFF - IL GELATO CHE UCCIDE

(The Stuff, 1985)

Regia Larry Cohen
Cast Andrea Marcovicci, Michael Moriarty, Garrett Morris


A partire dal suo folgorante It's Alive, Larry Cohen è diventato una vera e propria icona indie nel cinema americano degli anni ottanta, anche grazie ad una sua particolare predilezione per l'horror non convenzionale, estrapolato da storie quanto meno singolari, spesso e volentieri realizzate con budget esigui ma tanta creatività. Il caso di The Stuff non è da meno, anzi, rappresenta il suo apice in quanto a bizzarria cinematografica con questa specie di sostanza a metà tra uno yogurt ed un essere blobboso che fuoriesce ribollente dal terreno dietro ad una cava mineraria. Due guardiani la scoprono, la assaggiano e ne diventano subito ghiotti, fino a comprare e trasformare la fabbrica in un'azienda di confezionamento e distribuzione del misterioso composto, che chiamano "The Stuff", talmente buono da provocare subito dipendenza nelle persone, al punto che non si smette più di mangiarlo e si diventa talmente stuff-dipendenti da non riuscire a mangiare nient'altro. Alla fine è lo stuff che mangia te dall'interno e si diventa un vuoto involucro da cui il mostro pannoso sbuca fuori come un viscido serpente biancastro.

In tutto questo indaga Michael Moriarty nei panni di un ex agente dell'FBI dai modi furbetti, divenuto una spia industriale, grottescamente vestito in giacca, cravatta e orrendi stivali texani. Lo aiutano nell'indagine l' avvenente  Nicole ( Andrea Marcovicci ) pubblicitaria responsabile del lancio commerciale dello STUFF e Jason (Scott Bloom) nei panni di un bambino che si accorge una notte che il composto è dotato di vita propria e quindi decide da solo di entrare nei supermercati a sfasciare i banconi che espongono il mostruoso gelato (anche se non si tratta proprio di un vero gelato).
Ci voleva un pazzo come Cohen per dar vita a un tale delirio, che per fortuna non prende troppo sul serio, inserendo anche personaggi alquanto bizzarri come "Cioccolatino Charlie" (Garrett Morris), un nero esperto in arti marziali e il  Colonnello Spears (Paul Sorvino)  nostalgico residuato bellico che si è composto un proprio esercito personale per combattere l'invasione comunista dentro alle sue paranoie. Nel cast c'è anche un simpatico cameo del bravo Danny Aiello che sperimenta le conseguenze di dar da mangiare lo staff al proprio cagnone.

Cohen omaggia la fantascienza anni '50 con le sue ingenuità e le paure che si portava dietro e lo fa con grande inventiva e malcelata ironia, peccato che i budget miserrimi con cui ha sempre lavorato non gli permettano effetti particolarmente convincenti, le persone che allargano mostruosamente la bocca sono dei manichini di gomma piuttosto malfatti, la sceneggiatura presenta più di un buco nella narrazione e le scene d'azione sono lente e raffazzonate, ma la genialità di Cohen ha rappresentato un momento pregiato nel cinema junkie anni ottanta e, per tutto il divertimento che mi ha regalato in quegli anni, mi sento di perdonargli più d'un difetto, inoltre decontestualizzandolo, il film "  si mantiene nel tempo  e rimane sempre uno spettacolo fresco e sollazzevole, attenti però a non fare indigestione!



lunedì 12 novembre 2018

VIRUS - L'INFERNO DEI MORTI VIVENTI

(1980)
Regia Bruno Mattei
Cast Margie NewtonFranco GarofaloSelan Karay


 "Dawn of the dead meets National Geographic"

Non esiste miglior definizione rispetto a quella sopracitata dalla celebre rivista Fangoria, per descrivere sinteticamente quest'ennesimo zombie movie all'amatriciana, diventato negli ultimi anni un vero e proprio cult movie (ma quale film italiano di genere non lo è?), in questo caso però Bruno Mattei, coadiuvato da Claudio Fragasso, non si è risparmiato nulla e  (proprio il caso di dirlo) sopratutto non si è vergognato di usare tutti i mezzi necessari per riempire il vuoto produttivo. Si parte con una specie di piattaforma petrolifera, costruita su un isola al largo della Nuova Guinea dove un gruppo di ingegneri sta guardando attento dei pulsanti luminosi, poi due tecnici con la tuta antiradiazioni (in realtà indossano solo il cappuccio e i guanti) trovano dietro alle tubature un topo morto che morto del tutto non lo è. Il ratto si rianima e si infila dentro la tuta di uno dei due divorandolo, nel cadere a terra l'uomo aziona una valvola da cui esce del fumo verde. Il personale della piattaforma si riempie di zombie e il capoccia di turno lamenta le ultime apocalittiche parole prima di capitolare.

La scena cambia, siamo in occidente dove dei terroristi tengono prigionieri degli appartenenti a qualche ambasciata. Ricalcando fedelmente l'ìnizio di "Dawn of the Dead " arriva la squadra di incursori con le stesse tute blu, le stesse facce finto americane ma dei mitra decisamente più arcaici. Sulle note della stessa colonna sonora del film di George A. Romero (la versione rimontata da Dario Argento e musicata dai Goblin, anche autori di questa soundtrack) gli eroici militari uccidono tutti i cattivi, anche quelli che si erano arresi poi partono per la Nuova Guinea in missione segreta. Qui trovano la famosa giornalista Lia Rousseau (Margit Evelyn Newton) e il suo cameramen che nel frattempo si sono scontrati con un missionario zombie. La donna li aiuta a passare per i sentieri abitati dai selvaggi perchè lei è vissuta un anno intero con le tribù dell'interno, ed infatti la vediamo spogliarsi e dipingersi faccia e tette con i colori tribali per entrare a contatto con i nativi, impegnati a cerimoniare i defunti. 

Nel frattempo Mattei, giusto per far capire che siamo in Nuova Guinea e non al parco dell'Adamello sul Brenta, alterna le sequenze con gli attori (quasi sempre primi piani e mezzi busti per non far vedere troppo quello che c'è attorno) a vari footage presi in prestito da documentari naturalistici, vediamo quindi canguri, scimmie, barbagianni, pipistrelli, guerrieri masai che ballano, papuani con le loro maschere di fango...da qui la giusta definizione data da Fangoria. Il tutto mescolato senza alcun particolare ordine, creando un effetto quasi psichedelico. Su tutti gli attori poi si distacca nettanente Franco Garofalo, nella parte del soldato pazzo che adora gettarsi in mezzo agli zombie, le sue espressioni sono sicuramente la cosa più weirdo mai vista in un film dell'orrore ma è grazie a lui che si ride un pò almeno.

Per il resto è un continuo andirivieni di zombie ciondolanti spalmati di farina, messi lì a caso senza troppa convinzione al punto che si vede uno che cammina quasi normalmente fino a un certo punto, poi (probabilmente ripreso dal regista) rallenta e riprende a camminare come uno zombie. Alcuni altri invece si intravedono ridere, da un momento all'altro ti aspetti di finire in un film dei fratelli Zucker.
Verso la fine i nostri eroi arrivano finalmente alla piattaforma petrolifera, qui scoprono il veleno che trasforma in zombie ma troppo tardi, muoiono tutti. Intanto l'invasione ha raggiunto anche l'occidente.
La Newton è odiosa, i dialoghi sono un clichè dietro l'altro, gli attori migliori sono le comparse ma se volete vedere un bel documentario sulla natura e contemporaneamente uno zombie movie questo è il film che fa per voi, senza neanche dover cambiare canale!

lunedì 5 novembre 2018

LO SQUARTATORE DI NEW YORK

(1982)
Regia Lucio Fulci
Cast Jack HedleyAlmanta SuskaHoward Ross


Siamo sulla riva del fiume Hudson, un vecchietto tira un bastone al suo cane ma quando l'animale torna indietro ha in bocca una mano mozzata. Comincia così, in questo modo crudele, uno dei film più truci e cupi di Lucio Fulci, da molti considerato (Tarantino in primis) il suo capolavoro. C'è da dire, al di fuori di certe grottesche eccentricità del maestro romano e il suo gusto per l'eccesso e per lo splatter, che "Lo squartatore..." è proprio un bel film, sicuramente il titolo italiano in cui la dimensione americana viene espressa al meglio, superiore a certi titoli americani dell'epoca. Si parte con la poetica anni ottanta degli scaldamuscoli di spugna indossati da una giovane (Cinzia de Ponti) che sembra uscita dalla scuola di Flashdance e invece corre in bicicletta verso il traghetto. Litiga con il proprietario di un'auto rossa, anch'egli in fila per salire sulla nave, e quando entrambi sono imbarcati, la ragazza si infila nel parcheggio per scrivere "shit" sul vetro dell'auto ma incontra l'assassino che parla come Paperino e la fa a fettine. Il primo omicidio è feroce ma anche gli altri risultano insostenibili e disturbanti nello stile magistrale che Fulci riusciva ad esprimere nelle sue opere.


C'è da dire che tutti gli eventi  sono ben concatenati a partire dalla signora un pò ninfomane (una notevole Alexandra Delli Colli) che registra gli ansimi di uno spettacolino a luci rosse per la collezione del maritino uno pò voyeur e, dopo essere stata umiliata da due balordi latinoamericani in un bar, finisce legata nuda al letto del presunto maniaco, si libera ma viene  squartata nei corridoi dello squallidissimo alberghetto in una mirabile sequenza in cui Fulci gioca coi chiaroscuri delle strette pareti dell'edificio creando abilmente una suggestione da incubo.

Quello che colpisce sopratutto, nel film, è quell'atmosfera alla "Guerrieri della notte" che si respira ovunque come se la grande mela fosse completamente immersa nel sesso e nella violenza, dove una ragazza sola in metro viene, di default, assalita da un maniaco seduto di fianco (lo stesso della signora ninfomane ovvero l'attore Howard Ross) finisce poi sbudellata all'interno di un teatro abbandonato. Anche i cosidetti personaggi "buoni" sembrano non sfuggire alla logica del male, il tenente di polizia (Jack Hedley) si concede qualche scappatella con le prostitute e al giovane psicologo che lo aiuta nella indagini (Paolo Malco) piace collezionare rivistine omosex piene di foto dei village people col culetto di fuori. A un certo punto sembra che l'intera città sia il vero mostro che divora tutti nel suo vortice di droga, sesso e malattia mentale mentre lo squartatore assume le sembianze di un angelo vendicatore pronto a chiudere caritatevolmente le sofferenze terrene delle sue vittime ormai logorate senza possibilità di ritorno.
Una morale molto esplicita quella contenuta nel film di Fulci, morale che trascina lo spettatore al ritmo di disco-music verso il finale weirdissimo con tanto di bambina frignante che cerca disperatamente la voce "paperata" del suo papà. La scena della lametta del rasoio, in un certo qual modo un omaggio a Bunuel e Dalì, resta comunque insuperata in termini di insopportabilità visiva.

lunedì 29 ottobre 2018

SESSO NERO

(Id. 1980)
Regia Joe D'amato
Cast Mark ShannonAnnj GorenGeorge Eastman  


E' ormai entrato nella leggenda del cinema di genere quel periodo in cui Joe D'Amato, accompagnato da George Eastman, Mark Shanon e Annj Goren (Anna Maria Napolitano), si trasferiscono a Santo Domingo e, fra un bagordo e l'altro, generano qualcosa come sette film di cui almeno tre capolavori. Il tutto inserendo elementi più o meno fantastici e tanta, tanta pornografia, aiutati senza troppi problemi dalla popolazione locale tra cui la bella ed esotica Lucia Ramirez. Sesso Nero segue di poco Papaya dei Caraibi e anticipa Porno Holocaust ma sopratutto è ricordato come "il primo porno del cinema italiano". Come il precedente affronta in maniera più superficiale il tema del Voo-doo raccontando la storia di Mark Lester, spregiudicato faccendiere con un grosso problema di prostata, il medico gli da due settimane poi sarà necessaria un'operazione che lo renderà completamente impotente. Mark decide quindi di tornare nei Caraibi dove anni prima ebbe una relazione con la bella Maira (Annj Goren), qua incontra amici e nemici del passato e il fantasma della donna comincia a perseguitarlo, non solo, a questo si associano i tremendi dolori che accompagnano il suo problema. Insomma una specie di discesa all'inferno, il tutto condito da scene più o meno esplicite di sesso, non particolarmente gradevoli, tra cui una sorta di mini orgia tra la Goren e due neri del posto, una scena che ritroveremo anche in Porno Holocaust, sempre con i medesimi attori.

Leggenda vuole che la storia fu scritta da Eastman (Al secolo Luigi Montefiori) per farsi dare qualche soldo dalla produzione dopo aver perso tutto al gioco d'azzardo. Monefiori appare brevemente impersonando il proprietario di un locale a luci rosse dove una coppia balla sensualmente fino a spogliarsi e rappresenta forse la scena più weirdo del film, con l'uomo che ondeggia ostentano un pisellino miserrimo e la tipa in reggicalze che somiglia più a una portinaia che ad una spogliarellista. Poi nel film pare che tutte le donne locali vogliano farsi il buon Mark, prima una cameriera che entra nella stanza e si siede a masturbarsi guardandolo dormire nudo, poi una cicciona che ci prova ma viene malamente scacciata (e in seguito uccisa da Shannon in un raptus di follia), l'unica che non vuole è la Ramirez che interpreta una ex baby prostituta maritata a un giovane volontario che gestisce una scuola per bambini poveri, tuttavia anche lei dovrà cedere ai ricatti del crudele Mark che gli promette soldi per il progetto del marito (il quale la ripagherà andando a letto con la moglie di Mark). Nel finale Mark ormai impazzito si autoevira morendo dissanguato sulla spiaggia.

D'amato ci ha da sempre abituato alla povertà delle sue messe in scena, qua sicuramente dimostra una certa sciattezza sia nel racconto, sia nella recitazione, tuttavia Sesso Nero, nonostante l'estrema esiguità produttiva fu uno dei suoi maggiori successi commerciali e nel 2006 fu proiettato in una versione completamente restaurata alla Cinémathèque Française di Parigi nell'ambito di un omaggio dedicato al regista scomparso.

martedì 23 ottobre 2018

LA MORTE VIVANTE


(Id. 1982)
Regia Jean Rollin

Una banda di faccendieri si intrufola di nascosto nella cripta del castello dei Valmont dove giace la giovane Catherine (Françoise Blanchard) morta prematuramente con la sorella. I malfattori vogliono nascondere nel sotterraneo dei fusti di gas tossico ma non resistono alla tentazione di fregare i gioielli indossati dalle morte. Un terremoto rovescia uno dei bidoni liberando il gas che rianima la bionda castellana assetata di sangue. Quella che sembra l'introduzione di un classico horror a tutti gli effetti si rivelerà una sorta di melò decadentista sulla solitudine di questa giovine zombessa perfettamente cosciente della sua condizione immortale.

Dopo aver ucciso i banditi a unghiate negli occhi e nella gola, Catherine si aggira solitaria nelle stanze del suo castello ormai abbandonato da tutti e messo in vendita. Assalita dai ricordi, la ragazza non può non ricordare la sua più cara amica Helene (Marina Pierro) e il legame che dall'infanzia la lega ad essa. Quando Helene giungerà al castello dopo aver ricevuto una strana telefonata, le due amiche si ricongiungeranno in un nuovo legame inevitabilmente condizionato dallo stato di non-morta della bella Catherine, ma sopratutto dal suo appetito ematico che le porterà ad essere complici di numerosi omicidi. Jean Rollin firma qui uno dei suoi film migliori, nonostante qualche grossolanità a cui però gli estimatori del regista francese hanno fatto il callo, l'estetica retrò viene molto rafforzata e si percepisce forte la volontà di raccontare il dolore.

Sangue a ettolitri e gore disturbante non mancano ma soprattutto ne "La morte Vivante" sono i sentimenti e il romanticismo a fare da padroni, ed in questo è necessario sottolineare l'originalità del progetto sopratutto contestualizzandolo in un periodo dove lo zombi-movie raggiungeva il suo zenith assoluto e le storie relative ai morti viventi sembravano fatte con la carta carbone. L'elemento "Gas tossico che rianima i morti" inoltre anticipa di ben tre anni The Return of the Living Dead dimostrandoci ancora una volta che certi autori hanno visto più avanti di altri senza avere necessariamente lo stesso budget per girare.

lunedì 15 ottobre 2018

LA CROCE DALLE SETTE PIETRE

(Id. 1987)
Regia Marco Antonio Andolfi
Cast Marco Antonio Andolfi, Annie Belle, Gordon Mitchell

PROLOGO
Quando si recensiscono certi pezzi da novanta della cinematografia "trash" italiana bisognerebbe scrivere in posizione "adorante" col viso rivolto verso terra e le gambe inginocchiate, difatti è questa la posizione assunta dal sottoscritto per scrivere la sua seconda recensione del capolavoro di Marco Antonio Andolfi.

La prima recensione potete trovarla qui.

Finanziato inspiegabilmente con contributi statali, "La croce dalle sette pietre" è un film talmente brutto e malfatto da essere oggi giorno considerato uno dei cult assoluti del cinema horror, innanzitutto per la curiosa commistione tra film di licantropi, satanismo e Camorra story, al punto da essere conosciuto anche come "L'uomo lupo contro la camorra" , poi sicuramente per l'imbarazzante recitazione, i clamorosi buchi di sceneggiatura e gli osceni effetti speciali, tutte cose realizzate personalmente dal nostro regista che scrive, produce  e interpreta il protagonista (sotto lo pseudonimo di Eddy Endolf) Marco Sartori, bancario romano che giunge a Napoli per rivedere la cugina Carmela. Ma andiamo con ordine: Il film inizia subito elegantemente offrendoci la sublime vista di una serie di normalissime cantine da condominio, in una delle quali un gigionesco Gordon Mitchell sta organizzando un festino satanico per richiedere la venuta del demone Aborym (rappresentato qui come un grottesco chewbacca). Tra un ciccione che cerca in modo goffo di baciare le zinne a una tipa tutta fetish ed un incappucciato che passa la serata a frustare un altra ragazza mentre questa geme dal piacere ("Il tuo dolore è il mio piacere"), arriva il signore delle tenebre con una maschera da scimmia visibilmente di gomma e un costume di lana alquanto infeltrito.

Dopo esserci divertiti con le ridicole facce del buon Mitchell che sembra isterico mentre recita "Aborì vieni qui!!!... Subito!!!!...Ora!!!  Partono i titoli di testa.
A questo punto appare d'obbligo una riflessione: il film è talmente povero e girato con una pellicola scaduta che, nonostante sia databile nei tardi anni ottanta, sembra uscito direttamente verso la metà degli anni settanta (e non è volutamente retrò).
Marco Sartori arriva alla stazione di Napoli, incontra la cugina Carmela, il dialogo si rivela assolutamente inutile e ci fa da subito capire che quanto scritto in questo canovaccio potrebbe essere rimescolato e utilizzato in qualsiasi altro punto del film senza cambiare una virgola del significato intrinseco dello stesso (il che accade praticamente per tutti i dialoghi della scemeggiatura).
A questo punto la scena cambia e vediamo Mitchell in giacca e cravatta posare in modo statuario sulla spiaggia per una sequenza che avrei visto bene in Gomorra con due tizi che si passano la roba giunta da un ragazzino perplesso che cammina quasi avesse la bici senza sellino. I due si fanno sulla scogliera mentre Mitchell ghigna oscenamente (Mamma mia, è proprio cattivo questo qua!).Marco e Carmella vanno al bar a fare colazione, lei ordina un caffè senza zucchero e va a fare una telefonata in uno di quegli antichissimi apparecchi a gettoni. Dopodichè passeggiano per le strade, arrivano due (quelli che si stavano "perando" prima probabilmente) in motorino e  fottono a  Marco una catenina che teneva appesa al collo, una scena che succede spesso a Napoli, solo che il nostro eroe si dispera in maniera decisamente esagerata e fa intervenire la polizia per inseguire gli scippatori.

Carmela a questo punto scompare inspiegabilmente e non la rivedremo più per tutto il film, in realtà era una finta Carmela, amica della vera cugina che si era spacciata per lei allo scopo di conoscere il bel giovinotto (visto che la cugina gli aveva parlato della visita di Marco). Prendiamo quindi buono questo pretesto per l'uscita di scena di Carmela e proseguiamo con Marco che si reca in una discoteca dove conosce Maria (Annie Belle) una giovane escort che scopre subito di essere innamorata di lui, non si sa per quale motivo, succede...a Napoli!
Marco viene prelevato e malmenato da un gruppo di energumeni, riesce però a scoprire che il ricettatore Totonno 'o cafone (un personaggio ma sopratutto un nome mitico!) potrebbe avere la croce gemmata. Si reca quindi in piena notte a picchiare i pugni a casa di Totonno ma questi dopo averlo insultato in napoletano rivela di non avere più la croce ma di averla venduta a Don Raffaele Esposito, boss della camorra di Torre Annunziata.

Finalmente giunge la prima trasformazione di Marco anche se non la vediamo direttamente,  ci basta ammirare il risultato, dovete infatti sapere che il lupo mannaro, in questo film, viene rappresentato come un uomo completamente nudo ad eccezione di una sorta di parruccone di lana di vetro che gli copre il viso fino all'altezza del naso, Andolfi non mette neanche dei denti finti, per ovviare al problema si limita a digrignare in continuazione emettendo un suono simile ad uno squittio, la peluria copre quindi le mani e il pisello creando quello che forse è il più ridicolo licantropo della storia del cinema. Le apparizioni del mostro si alternano con brevi primi piani di un simpatico cagnolino che forse nelle intenzioni del regista doveva rappresentare la dualità tra l'uomo e la bestia.
In ogni caso il licantropo assale Totonno che, senza essere praticamente toccato, cade a terra e si scioglie tutto in una mirabile dissolvenza realizzata mettendo un manichino in un forno a 180 gradi.
Ma il colpo di genio totale è che il mostro quando è ancora umano risulta vestito, poi diventa nudo (non ci è dato di sapere che fine hanno fatto gli abiti) e quando ritorna normale è di nuovo vestito come prima!!!

Marco torna a casa sua e si mette a letto, nel sonno continua a ripetere il nome di Don Raffaele Esposito quasi ne fosse innamorato mentre sullo schermo scorre quello che vorrebbe essere una sorta di sogno ma in realtà è un arzigogolato montaggio di sequenze passate, presenti e future del film, in pratica Andolfi ci fa vedere un sunto del film di modo che, molto onestamente a mio avviso, se quello che vedremo non ci piace ce ne possiamo anche andare via subito, a riprova che questo spettacolo è riservato a persone dal palato fine e non dal popolo bue ignorante che non è in grado di apprezzare la nouvelle vague del cinema sperimentale di genere!
Accompagnato da Maria, che chissà come e chissà perchè gli si è appiccicata addosso, Sartori si reca Torre Annunziata e, siccome il modo migliore per rintracciare i camorristi è l'approccio diretto, si ferma ad un bar e chiede molto gentilmente dove può trovare Don Raffaele.
Arrivano subito due sgherri del don che lo prelevano e lo portano in una villa, Maria li tallona e, dotata di poteri magici (evidentemente) si intrufola nella villa dove assiste ad un raffinato dialogo campano tra due guardie (una con sofisticati calzini rossi) che concludono la loro diatriba con la tipica espressione gergale dei camorristi, ovvero "Jammè a vedè Maradona!!!"  

Don Raffaè riceve il giovane ma non crede che lui sia venuto solo per la croce pur essendo armato di "una penna e nu fazzoletto bah!" quindi lo fa ammanettare e malmenare dai suoi uomini, siccome Sartori non parla, il boss chiama i siciliani, vediamo quindi George Ardisson nella parte di un credibilissimo mafioso anglo siculo che gli inietta il siero della verità, peccato che improvvisamente sorga la luna piena e finalmente assistiamo alla trasmutazione in dissolvenza del volto di Andolfi, probabilmente Jack P. Pierce a questo punto si sarebbe rivoltato nella tomba assistendo alla eterna e sfiancante (almeno per lo spettatore) trasformazione "un pelo alla volta" della faccia digrignante del nostro eroe, contrassegnata da continui ululati che sembrano uscire da un megafono alla stazione della metropolitana.

Il mostro compie un massacro (dipende dai punti di vista dal momento che appena tocca qualcuno questo muore senza motivo), Maria lo recupera ma ancora niente croce. Attraverso un flashback vediamo finalmente a che minchia serve sta croce gemmata! La mamma di Marco era una seguace di Aborym e dopo aver copulato con lui in una scena eccitante quanto una colonscopia ha dato alla luce il nostro protagonista (ovviamente biondo da bambino nonostante il protagonista in età adulta sia improvvisamente diventato castano scuro) mettendogli sta croce al collo per evitargli di prendere la mostruosa strada paterna. Entra in scena aborym e con una voce che sembra appartenere ad un alcolizzato dell'oltretomba piuttosto che ad un demone, da della sgualdrina alla donna e gli fa esplodere lo stomaco.
Adesso è tutto più chiaro, ma la croce è stata donata ad una fattucchiera da cui si reca Marco. Dopo un dialogo imbarazzante in cui Andolfi sembra essersi improvvisamente addormentato (vedere per credere!) questa gli dice che bisogna aspettare non si sa cosa, poi i due si spogliano (anche se lui è attivo come una cozza) e fanno sesso (massì va passiamo il tempo in modo piacevole), Marco mentre la sta penetrando (almeno pare ma vista la posizione che assumono non ci giurerei) si trasforma, riempie di bava schiumosa la tipa urlante e la deflora a morte (si, insomma si vede il sangue sulle parti intime della donna).
Maria giunge sul luogo del delitto, trova la croce e anche la bestia che gli mette le mani al collo, molto tranquillamente direi, ed altrettanto con calma la ragazza, senza provare alcun patema nonostante sia molto prossima alla morte, gli allaccia la croce al collo ponendo fine alla maledizione.
A questo punto è tempo che i cattivi muoiano e quindi Gordon Mitchell fa un incidente in auto tutto da solo, muore e la gente che lo soccorre assiste alla sua istantanea decomposizione.
Lieto fine con retrogusto cattolico e gita papale inclusa per la nostra coppia (è noto che i figli del demonio si rechino spesso a far visita al Papa) mentre i titoli di coda scorrono davanti alla cupola di San Pietro.
Attore espressivo quanto una colata di cemento, sceneggiatore di fotoromanzi e raffinato regista, Marco Antonio Andolfi, inspiegabilmente,  non ha più lavorato nel cinema fino al 2008 quando, dopo essersi reso conto che qualcuno aveva rivalutato la sua schifezza, ha deciso di realizzare una sorta di mediometraggio sequel dal titolo "Riecco Aborym", intimistica rilettura del mito intervallato da scene riprese dal film originale, insomma nonostante gli anni Andolfi non ha perso la sua straordinaria capacità di allungare il brodo trasformando la merda in oro colato!
Recentemente Andolfi è comparso come attore nel mio secondo film "Dolcezza Extrema", se volete potete recuperarlo qui

EPILOGO
Finalmente la recensione è finita, posso tornare alla mia posizione normale pur conservando negli occhi quella punta di commozione inevitabile quando si parla di certi capolavori (sigh!). Ovviamente è d'obbligo la visione del film in posizione canonica!

mercoledì 10 ottobre 2018

DOGS - QUESTO CANE UCCIDE

(Dogs, 1976)
Regia Burt Brinckerhoff
Cast David McCallumSandra McCabeGeorge Wyner 


Chissà se qualcuno si ricorda di questo filmaccio di Burt Brinckerhoff che alla sua uscita nei cinema ebbe un più che dignitoso successo (ma negli anni '70 qualsiasi schifezza andava bene...bei tempi), un Horror naturalistico in cui un reattore nucleare fa impazzire tutti i cani (e solo quelli) di una piccola cittadina americana. Dapprima attaccano di notte le pecore poi gradualmente, riuniti in branchi, iniziano a sterminare gli uomini culminando in un massacro generale al campus studentesco. 

Interpretato da attori sconosciuti quali David McCallum (dall'inconfondibile taglio di capelli a scodella) e Sandra McCabe, il film è comunque un piccolo cult da riscoprire, sia per alcune scene particolarmente efferate, sia per il più animalesco omaggio a Alfred Hitchcock nella storia della cinematografia horror, rivediamo infatti la famosa scena della doccia di Psycho  con la variante che, stavolta, l'assassino non è Norman Bates ma un ferocissimo dobermann zannuto! 

Esiste anche una citazione di "The Birds " con i cani che cercano di entrare nel garage dove i nostri eroi si sono rifugiati.  Era tipica degli anni '70 questa cinematografia animal horror in cui la natura si ribellava all'uomo tramite le creature ad esso più vicine, in questo caso il cane, miglior amico dell'uomo si trasforma nel suo peggior incubo, ad esso seguiranno film quali "The Pack" e "Cujo" ma se sconfiniamo nelle invasioni animalesce generiche troviamo una immensa cinematografia fatta di insetti, rettili, vermi e piranha da far rabbrividire. 

lunedì 1 ottobre 2018

KING KONG CONTRO GODZILLA

(Gamera tai daikaiju Guiron, 1969)

Regia Noriaki Yuasa

Cast Nobuhiro KajimaMiyuki AkiyamaChristopher Murphy


Voi ultratrentenni malati di mente che avete passato metà della vostra infanzia davanti al televisore a vedere, in oscuri pomeriggi di svago, film come questo, popolato da creature gommose che si combattono a suon di strilla metalliche in omaggio al primo Godzilla, il cui verso era ricavato da una rielaborazione dello stridio di un treno, voi ultratrentenni, dicevo, sapete spiegarmi con che faccia i distributori  italiani hanno potuto presentare al pubblico del cinema, un film intitolato King Kong contro Godzilla in cui dei due mostri originari, non vi era alcuna traccia? 

Quanti bambini avranno truffato presentandogli col nome di King Kong un tartarugone spaziale che era già stato protagonista di film come "Gamera contro il mostro Gaos" e che, in effetti si chiamava Gamera? Per non parlare di Godzilla, qui rappresentato da un varano col naso a sciabola chiamato Guiron! Il plot fantascientifico (che in Giappone rientra in quella saga di mostri degli anni '60 chiamata Kaigju eiga) non sarebbe poi stato neanche male (due mostri che si scontrano nello spazio e dei bambini a cui gli alieni vogliono mangiare il cervello) se ci fosse stato presentato diversamente. invece, i soliti italiani, pur di guadagnarci non guardano in faccia a nessuno, nemmeno ai bambini i quali, credendo di andare ad assistere alle imprese dei loro mostri preferiti, si sono ritrovati, loro malgrado, invischiati in creature pressoché sconosciute delle quali, vista l'abbondanza, in quell'epoca, di film giapponesi di mostri ciondolanti come vecchi coppertoni. Cari, cari mostri inespressivi che avete riempito la nostra infanzia di quel meraviglioso mondo che era la nostra innocenza.

lunedì 24 settembre 2018

LES DÉMONIAQUES

(Id. 1974)
Regia Jean Rollin
Cast Joëlle CoeurJohn RicoWilly Braque


Già dai titoli di testa Jean Rollin mette subito le cose in chiaro: Les Demoniaques è un film espressionista, un'opera personalissima con varie chiavi di lettura e sopratutto un appeal visionario e autoriale particolarmente evidente. I protagonisti di quella che si potrebbe definire una vecchia leggenda marinara sono tutti malvagi ed infatti il regista francese li presenta subito dopo il titolo con un commento parlato che ne evidenzia sopratutto la malvagità. C'è il capitano (John Rico) crudele e autoritario, innamorato della splendida ma perfida Tina (indimenticabile Joëlle Coeur sopratutto per le forme, ehm!) e al seguito dei due amanti diabolici, il losco Bosco (Willy Braque) e il viscido ma succube Paul (Paul Bisciglia). I quattro più che marinai sono sciacalli che vanno a raccogliere i tesori riaffiorati dalle rocce su cui si frantumano le navi. Ma una sera oltre ai tesori riaffiorano anche due giovinette sopravvissute al naufragio. I quattro non ci pensano due volte, stuprano e picchiano a sangue le due malcapitate dopodichè vanno a ubriacarsi nella taverna gestita da una vecchia che predice il futuro.

Qui il capitano comincia ad avere allucinazioni con le due ragazze trasformate in zombi sanguinolenti. Intanto arriva un marinaio che afferma di avere visto delle ombre nel cimitero delle navi (ovvero dove si è consumato il delitto dei quattro). Tornati sul posto i quattro malfattori scoprono che le due ragazze non sono morte e cercano di catturarle. Ma le due, nonostante le privazioni riescono a raggiungere le rovine di una vecchia cattedrale dove incontrano una tipa vestita da clown (Mireille Dargent già vista anche ne la Rose en Fer con lo stesso medesimo vestito) questi le accompagna al cospetto del diavolo in persona con cui hanno un rapporto sessuale da cui acquisiscono dei poteri attraverso i quali potranno eseguire la propria vendetta.

Peccato che poi alla fine 'sti poteri non serviranno a un cavolo in quanto i malfattori moriranno per cause estranee, uno inciampa in un bottiglione e si sgozza, Tina viene strozzata dal capitano in un raptus di follia, Bosco viene pugnalato sempre dal capitano che alla fine, mentre l'alta marea avvolge le due demoniache giovinette (che nel frattempo hanno barattato i loro poteri per salvare il clown) nude e incatenate a una barca, si redime e muore nel tentativo di salvarle. Il mare inghiotte tutti quanti sotto gli occhi di una processione di monaci con tanto di crocefisso ferroso.
Les demoniaques rappresenta uno dei titoli più strani di Rollin, una sorta di fiaba dark dalle suggestioni antiche, molte le scene di nudo, risse nella taverna, un pò di sangue e molte inquadrature poetiche, ottime le location e i costumi, qualche incertezza nella recitazione. Sicuramente un'opera particolare e bizzarra.