Cast Erica Bella, Shalimar, Jean-Yves Le Castel
Parla di “nazisti che creano bordello con prigioniere ovviamente testate molto attentamente da ufficiali SS ben dotati ma dall’insulto facile”
Cast Erica Bella, Shalimar, Jean-Yves Le Castel
Parla di “nazisti che creano bordello con prigioniere ovviamente testate molto attentamente da ufficiali SS ben dotati ma dall’insulto facile”
Cast Chumbinho, Renato Alves, Eliane Gabarron
Parla di “vampiro nanetto semina il terrore tra le vittime mestruate ma un sindaco arrivista lo vuole trasformare in un’attrazione turistica”
La sua presenza in un piccolo paesino chiamato Batatao vicino a San Paolo, scatena il panico, soprattutto nelle coppiette infrattate a fare sesso contro un muretto (sempre lo stesso, per tutto il film) ma scatena anche le mire lucrative del sindaco, un vecchio baffone che gesticola come un matto ripetendo monologhi deliranti. Il suo intento è catturare il minivampiro e trasformarlo in una specie di attrazione turistica. Nel frattempo le voci della presenza del piccolo Dracula (che saltella in giro agitando un piccolo mantellino nero e sfoderando una serie di dentacci storti che sono propri dell’attore e non una protesi), richiamano una piccola troupe a girare un documentario e (perché no) a fare un po’ di sesso ripreso dal regista con grande abbondanza di culi e schiene pelose, brufoli e pieghe di cellulite messe bene in evidenza nell’inquadratura. Il sindaco assume anche una specie di cacciatore di vampiri (Renato Alves) che assomiglia stranamente all’esorciccio con tanto di corone d’aglio e crocefissi di legno in mano.
Il cacciatore però non intende uccidere il vampiro anzi sembrano divenire amici al punto che il piccolo demonietto gli confessa che la sua sfiga è quella di essere nato in Brasile, se fosse stato un vampiro americano, oggi sarebbe famoso. Girato con piglio amatoriale, in ambientazioni fatiscenti ma ricco di personaggi bizzarri (tra cui un assurdo barbone che ama masturbarsi guardando i cavalli), As Taras do Minivampiro (Lett. Le turbe di un minivampiro) è comunque ricco di sequenze che meriterebbero di entrare nella storia del cinema dalla porta del bagno di servizio. L’erezione penica del vampiro che emerge dal terreno, il mostro che lecca goloso la vagina di una ragazza con le mestruazioni e dopo si succhia godurioso il pannolino sporco di sangue e l’assalto dall’alto su una coppia intenta in una fellatio (con tranciamento del pene) sono tutte sequenze che nella loro bruttezza colpiscono lo spettatore, narcotizzato da noiosissime scene di sesso, e lo svegliano all’improvviso come una doccia fredda, dandogli modo di arrivare sveglio alla parola “Fim” dopo appena un’oretta di (dubbio) spettacolo.
Cast Ave Ninchi, Georges Louis Marchal, Rossana Podestà
Parla di “ nani pelosi che cercano di salvare la principessa Biancaneve ma non riescono a salvare il film dalla sua bruttezza”
Forse è un concetto che ho già ribadito in altre recensioni o forse no (la memoria, invecchiando …dannazione!), in ogni caso se cercate dei film veramente weirdo, spesso potete trovarli nel settore del cinema per ragazzi.
Cast Paolo Ricagno, Ugo Gregoretti, Jo Squillo
Parla di “rivoluzionario coi baffetti e le rotelle cerca di sovvertire il sistema repressivo mentre la madre lo prende a fucilate”
Nell’anno della profezia orwelliana cosa ci poteva essere di meglio che realizzare un film di fantascienza in cui una società annichilita dalla televisione viene dominata da un grande fratello chiamato per l’occasione “il sognatore supremo” (interpretato da Ugo Gregoretti)? Ci pensa quindi l’esordiente Paolo Ricagno a mettere in piedi una sarabanda new wave con pretese artistiche ma con evidenti carenze di budget, ambientata in una Torino oscura, ripresa solo di notte, tra tunnel della metropolitana, strade deserte e i pochi cittadini presenti sono immobili come manichini.
Cast Jaqueline Lovell, Tammy Parks, Scott Spiegel
Parla di “parodia di un programma televisivo dove le giocatrici tirano le palle completamente nude ma i birilli non cadono mai”
Realizzato con l’intento di parodiare il celebre programma televisivo americano “Bowling for dollars”, questa sorta di straight to video che non raggiunge neanche l’oretta canonica, è un’ode al sessismo più becero, dove l’intento principale, se non si fosse già capito dal titolo, è quello di mostrare quattro fotomodelle americane in formissima, che si spogliano completamente e giocano a coppie ad una partita di bowling. Il programma viene poi intervallato da imbarazzanti televendite di spray contro la puzza di piedi e altre amenità edificanti.
Cast Ted Vollrath, Ron Slinker, Lloyd Bochner
Parla di “sicario senza gambe ma dotato di carrozzina sparatutto, tenta la scalata nel giro della droga”
Non si può parlare di questo filmaccio exploitation dei tardi anni settanta, senza prima spendere due parole sul suo protagonista Ted Vollrath, considerato poi che questo è l’unico film a cui partecipò, scritto peraltro a sua immagine e somiglianza. Vollrath, ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti, perse entrambe le gambe durante la guerra in Corea, questo però non gli impedì, dopo grandi sforzi e tanta forza di volontà di diventare cintura nera di Karate e successivamente grande maestro di arti marziali. Appare, poi, quasi paradossale che in Mr. No Legs, Vollrath accetti la parte del cattivo, peraltro un cattivo veramente sadico e crudele, nonostante la sedia a rotelle.
Curiosamente il film risulta essere l’ultima regia di Ricou Browning, un nome che ai più non dirà nulla se non il fatto di essere stato il mostruoso Gill man de Il Mostro della Laguna Nera e i successivi sequel realizzati sull’iconico uomo pesce. Detto questo, siamo di fronte a un tipico poliziesco anni settanta realizzato in economia assoluta, con grandi scazzottate, storie di droga e malavita e sul finale un assurdo inseguimento automobilistico dove le auto si vanno a sfasciare nei modi più impensati, al solo scopo di spettacolarizzare un film poverissimo. La storia verte inizialmente su uno studentello che partecipa allo smercio di un carico di droga, organizzato dal cattivissimo Mr. No Legs, un sicario della mala senza gambe ma dotato di una carrozzella super accessoriata con fucilazzi incastrati nei braccioli. Solo per quest’idea, il film andrebbe adorato senza se e senza ma. Ma il nostro sicario è anche e ovviamente, un esperto di arti marziali e quando il boss tenta di disfarsi di lui, ecco sferrare micidiali fendenti di karate e colpire i suoi avversari con il moncherino.
Cast Robert Wood, Jim Vance, Bobbi West
Parla di “professorino nerd inventa macchina che produce donnine ma poi scopre l’amore e non se ne fa più nulla”
Insomma la parola d’ordine è SESSO e Lewis, bizzarramente realizza questa commediola dai toni fantascientifici in cui un professore di matematica di nome Percy (Robert Wood) vuole a tutti i costi scoprire i misteri dell’amore, ma è talmente nerd da non accorgersi che gli studenti pomiciano dietro le sue spalle mentre è intento a spiegare la lezione. Ovunque si aggiri nel campus, vede coppiette che si sbaciucchiano avvinghiate, un paio addirittura imbucati nella sua bizzarra utilitaria a tre ruote, frutto di un incrocio tra una 500 e un’ Apecar. Recatosi dal suo collega, il professor West (Jim Vance) scopre che lo stesso ha approntato una macchina per realizzare materialmente i desideri. Infatti Percy vede comparire all’improvviso il tenero coniglietto che ha sempre desiderato.
Cast Gianrico Tedeschi, Aldo Maccione, Jenny Tamburi
Parla di “come tentare di rifare Frankenstein Jr. con pochi, pochissimi soldi e soprattutto senza neanche un’idea che sia una”
Ma non finisce qui, il cast si arricchisce anche di un Ninetto Davoli nella parte del servo gobbo Igor a cui il mostro toglierà la gobba a suon di manate. In un ruolo minore poi anche Aldo Valletti, indimenticabile protagonista di Salò e le 120 giornate di Sodoma (entrambi quindi provenienti dal cinema di Pier Paolo Pasolini). Troviamo poi Anna Mazzamauro (l’eterna Silvani nei film di Fantozzi) e dulcis in fundo, Aldo Maccione nel ruolo della creatura. Come nel film di Mel Brooks, anche qui Igor pasticcia coi cervelli (mescolandone più di uno insieme), la realizzazione della creatura viene quindi bloccata dall’interruzione di elettricità e si risolve a colpi di palloncini. Il risultato è un mostro dalla faccia bianchiccia, con enormi scarponi neri e una fronte decisamente alta. Ma la peculiarità che risalta più di ogni altra cosa, è ovviamente la prestazione sessuale del mostro, che nel film di Brooks era una gag riuscita ma qui diventa il leit motiv ossessivo-sessuale di tutta l’operazione.
Le gentil donzelle che finiscono vittime degli appetiti sessuali del mostro, cantano alleluja in segno di estrema beatitudine, questo anche grazie ad un’iniezione di ormoni che l’assistente Alice (Lorenza Guerrieri) propina alla creatura per indurla a sedurre la giovane mogliettina del barone, al fine di togliersela di torno. Tutto si risolve con un trapianto di genitali mostro/barone che porterà entrambi a diventare eunuchi con il dono dell’uncinetto mentre il povero Igor rimarrà l’unico baluardo sessuale del castello. Crispino lascia briglia sciolta al cast dimenticandosi la sceneggiatura (se mai ci fosse tale prezioso reperto), la comicità latita sia per la scarsa qualità delle gag, sia per come vengono realizzate (a tal proposito si veda la penosa scena della colazione dove il mostro sotto la tavola ruba le brioches e spia le sottane). Tedeschi imita Gene Wilder a spron battuta, Davoli sembra sempre non rendersi nemmeno conto di cosa sta facendo e Maccione gigioneggia alla massima potenza. Per fortuna, come sempre, c’è il cast femminile a tirare un po' su il morale.
Cast Ramon Gay, Rosita Arenas, Luis Aceves Castañeda
Parla di “scienziato criminale vuole recuperare monili aztechi maledetti ma la mummia guardiana non ci sta e lo ciabatta a morte”
A questo punto il regista, che deve allungare la seppur breve durata del film, ci piazza un lungo riassunto del precedente esperimento ipnotico ai danni della povera Flor (Rosa Arenas) che rivive ancora una volta, l’antico sacrificio al Dio Tezkatlipoka, poi riprende il girato del primo film e riesce così a riempire la prima mezz’ora. Nella successiva mezz’ora, dobbiamo ammettere che non ci si annoia, ci sono scazzottate, un andirivieri di personaggi che entrano ed escono dal covo misterioso del Dottor Krupp, il quale, a furia di dare l’indirizzo a destra e a manca, lo rende famoso in tutto il Messico. Dal canto suo l’Angelo entra ed esce di scena, prendendo sempre un sacco di botte e finendo persino nella stanza della morte dove una botola, sotto ai suoi piedi, rivela serpenti e ragni velenosi. In tutto questo la povera mummia del titolo appare per pochissimi minuti scarsi, dove ciabatta in giro per boschi e strade alla ricerca del pettorale e del bracciale azteco ai quali è stata messa di guardia per tutta l’eternità. Stavolta però il mostro salva capra e cavoli, sconfigge il Murcielago (che ritornerà nel terzo capitolo), recupera i monili e se va in giro pel bosco, accompagnato dal solito pippotto moralistico del bene che sconfigge sempre il male.
Cast Bill Teas, Ann Peters, Marilyn Wesley
Parla di “guardone seriale assume troppo anestetico dal dentista e com
incia ad avere allucinazioni nudiste”
Esordio ad oggi ufficiale alla regia di Russ Meyer (non considerando The French Peep show girato 9 anni prima ma ad oggi irrintracciabile), questo The Immoral Mr. Teas è il prototipo perfetto del genere nudie cutie per il quale se ne attribuisce la paternità proprio a Meyer.
Cast Wally Brown, Alan Carney, Bela Lugosi
Parla di “coppia di cloni di Gianni e Pinotto devono recuperare zombie per un locale e si recano su un isola dove scienziato pazzo crea morti viventi a colpi di puntura”
Il declino inesorabile della carriera di Bela Lugosi si misura dalla ridda di filmetti a cui l’attore ungherese ha partecipato, filmacci di genere horror piuttosto banali (tra cui Notti di Terrore e l’assurdo The Ape Man) e commedie insulse prodotte a seguito del successo de “Il cervello di Frankenstein” con Gianni e Pinotto tra cui ricordiamo (anche se preferiremmo dimenticarle) “Bela Lugosi e il gorilla di Hollywood” (dove invece recita in compagnia dei cloni di Jerry Lewis e Dean Martin) o “Mother Riley meets the vampire”, tutto questo prima della catarsi finale quando l’attore declinerà inesorabilmente in un turbinio di droga e disperazione, confluendo finalmente nel cinema di Ed Wood jr.. Questo Zombies on Broadway precede di tre anni il successo del film con Bud Abbott e Lou Costello ma ad interpretarlo ci sono Wally Brown e Alan Carney, coppia di imitatori del celebre duo, ma decisamente sottotono in quanto a comicità.
Il film si ispira certamente al classico “L’isola degli zombies” interpretato con successo dallo stesso Lugosi ma più esplicitamente al capolavoro di Jacques Tourneur “Ho camminato con uno Zombi” da cui recupera l’attore “zombi” Darby Jones e la sua celebre fisionomia del morto vivente caraibico con gli occhi sporgenti . Qui tutto parte da un’attrazione per il lancio di un locale notturno chiamato “The zombie Hut” il cui proprietario è una sorta di gangster. Dal momento che il nero assunto per interpretare il morto vivente non risulta efficace e la presenza di un famoso giornalista all’inaugurazione rischia di trasformare l’evento in un fiasco, il gangster assolda Jerry (Wally Brown) e Mike (Alan Carney) affinchè rintraccino un vero zombie. La loro scalcagnata ricerca li porterà su un isola caraibica dove l’ennesimo scienziato pazzo, il dottor Renault (Bela Lugosi) si diletta a iniettare un siero che trasforma le persone temporaneamente in zombi. Unico vero morto che cammina è invece Kalaga (Darby Jones) rubato agli indigeni del posto e per questo leggermente incazzati con i bianchi del luogo.
Regia Jean Rollin
Cast Cyrille Iste, Brigitte Lahaie, Sandrine Thoquet
Parla di “coppia di occultisti a caccia di Dracula, devono salvare la vittima sacrificale che un gruppo di suore malvagie vogliono offrire in sposa al vampiro”
Giunto all’alba del nuovo millennio, il cinema surreale, pazzo e sensuale di Jean Rollin si perde nei meandri delle produzioni home video, cedendo parte del suo fascino ad una sorta di autocelebrazione. Questo La Fiancée De Dracula, terz’ultima opera prima della dipartita del regista francese, avvenuta nel 2010, si potrebbe definire un compendio sragionato della sua arte cinematografica, spesso ai limiti della pornografia mescolata con una sorta di surrealismo pseudo autoriale che non ha mai attecchito molto nei confronti della critica più blasonata, mentre invece si è costruito un’aura di regista cult da parte degli estimatori del cinema di serie zeta come il sottoscritto.
La trama vede un vecchio professione e il suo tamarrissimo aiutante che giungono alle porte di un castello dove spunta una vampira ignuda (Sandrine Thoquet) che prima morde il nano Triboulet (Thomas Smith) e poi si sdraia su una tomba. Dietro indicazioni del nano (che appartiene alla razza dei “paralleli”, sorta di congiunzione tra vampiri e umani) i due si recano in un assurdo convento governato da monache pazze che fumano pipa e sigaro e fanno discorsi ancora più assurdi. L’intento è quello di liberare la bella Isabel (Cyrille Iste) promessa sposa nientepopomeno che al conte Dracula. Ma i buoni propositi dei due eroi vengono messi a dura prova da una serie di donne più o meno sciroccate, tra cui una specie di cannibalessa detta “La Louve” (Brigitte Lahaie) che pasteggia con un neonato in culla. Per chi si avvicinasse con quest’opera al cinema del regista d’oltralpe, l’impressione sarebbe quella di aver a che fare con un pazzo assoluto o un genio.
Purtroppo gli estimatori del maestro si trovano di fronte ad un filmetto scialbo, recitato male e girato anche peggio, dove la sensazione generale è quella di riciclare i topoi classici del cinema rolliniano come l’ossessiva presenza dell’orologio a pendolo (recapitato direttamente da Le Frisson des Vampire, suo capolavoro del 1971) che assume, in questo frangente, la funzione di portale verso multiversi paralleli quali ovviamente il buon Rollin, penalizzato come sempre da budget inesistenti, non prova nemmeno a mostrarci. Del resto anche gli effetti speciali latitano, al punto che la trasformazione finale della vampira, bruciata dal sole, sembra un’accozzaglia di make up dozzinale buttato a casaccio, sulla faccia della poveretta.
Regia Fred Olen Ray
Cast Cameron Mitchell, John Carradine, Michelle Bauer
Parla di “profanatore di tombe risveglia divinità egizia vampira che gli infila uno scarabeo nel cuore mentre il regista infila qualcos’altro agli spettatori”
Uno dei primi film del chilometrico (filmograficamente parlando) Fred Olen Ray, regista, attore, produttore e lottatore professionista, ispirato molto alla lontana al celebre romanzo “Il gioiello delle sette stelle” (da non confondere con La croce dalle sette pietre, eh!) di Bram Stoker. Da molti considerata la sua miglior produzione, il che la dice lunga sulla qualità delle sue opere che purtroppo conosciamo benissimo e, nonostante tutto, non ne abbiamo mai abbastanza. Il cinema di Ray, infatti, è uno di quei guilty pleasure che fa partire l’entusiasmo dal titolo, alza l’asticella quando vedi il poster, godi come un riccio con il trailer e…tutto si sgonfia durante la proiezione del film, che puntualmente, si rivela una poracciata inimmaginabile.
Regia Cüneyt Arkin
Cast Cüneyt Arkin, Osman Betin, Funda Firat
Parla di “superpoliziotto spaccatutto con fisico da pensionato, sgomina banda di ninja aggregati alla mafia italiana, che appaiono alla cazzo con scimitarre di cartone”
Cüneyt Arkin, che i più strenui seguaci del cinema di serie Z, idolatrano come se fosse il loro messia, produce e dirige (e naturalmente anche interprete assoluto) questo assurdo filmaccio in cui la Turchia diventa Hong Kong e il poliziotto Murat una sorta di superguerriero invincibile incaricato di sgominare una banda di ninja mafiosi in Italia (meno male che ci sono gli ottomani a salvarci!). Il fisico di Cüneyt sembra più quello di un pensionato ultrasettantenne in vacanza, mentre si sbraccia sul bel corpicino in costume della biondissima fidanzata, ovviamente preoccupatissima delle sorti del suo uomo.
Cast Rene Bond, Maria Aronoff, Ric Lutze
Parla di “coppia in crisi si reca in casa stregata affinchè la magia faccia il miracolo ma il film scompare e il cast decide di rimanere anonimo”
Portati al cospetto della padrona di casa, Madame Heles, trovano una bara chiusa da cui esce la donna per il verdetto finale, la ragazza (si è laureata!) può andarsene mentre lui deve fare ripetizioni, ed infatti lo ficcano nella bara con la donna affinchè impari qualcosa di più sul sesso. Wood non manca nei dialoghi iniziali di citare il suo amato Bela Lugosi, gira con un budget di appena 7000 dollari su un soggetto scritto da lui stesso (The Only House). Considerata una pellicola perduta per anni, fu casualmente ritrovata e rieditata verso la fine degli anni ottanta dalla Something Weird (che Dio li benedica!). In realtà il film è ben poca cosa, come si può ben immaginare, gli attori sono inguardabili (sia nudi che vestiti), la storia è abbastanza idiota e la durata di appena 50 minuti non lo elegge manco a lungometraggio. Rimane comunque un titolo indispensabile per i completisti del tanto vituperato “peggior regista del mondo”.
Regia Fernando Méndez
Cast Wolf Ruvinskis, Crox Alvarado, Columba Domínguez
Parla di “scienziato pazzo mescola lottatori di Wrestling e scimmioni per creare super razza ma genera soltanto un filmaccio super trash!”
Sappiamo tutti che la Lucha Libra è lo sport più apprezzato in Messico, lo dimostrano centinaia di film realizzati nel dopoguerra, dove la commistione di generi prevedeva quasi sempre un incontro sul ring tra due luchadores mascherati, all’interno di una trama spesso e volentieri dai connotati horror. Un po come se da noi avessero mescolato calciatori e vampiri o partite di calcio giocate nei cimiteri tra zombi. Strano a dirsi, noi non siamo mai arrivati a questi livelli mentre i messicani, invece, ci sguazzavano sul serio come dimostra quest’ennesimo filmaccio diretto da Fernando Méndez.
Peccato che il nuovo schiavo, vestito anch’esso da lottatore di wrestling, esageri con salti, saltelli e mosse di lotta e scaraventa letteralmente il suo sfidante in platea come se fosse una marionetta (che in effetti nella realtà è visibilmente un pupazzo a grandezza d’uomo). Togliendosi la maschera, poi, rivela le sue orrende fattezze che scatenano il panico generale nell’Arena. All’inizio Guglielmo sfodera solo un paio di zannacce ma poi, gradualmente, si riempie di pelazzi e finisce, come King Kong, a rapire la sua bella segretaria (che nel frattempo si era distrutta dal dolore per la perdita del suo amato con cui, se va bene, era uscita un paio di volte!) e finire miseramente la sua carriera di mostro precipitando da un palazzone. Le atmosfere non sono malvagie, i combattimenti tra lottatori sono avvincenti e la narrazione è oltremodo scorrevole, peccato che tutto l’impianto sia semplicemente demenziale e sfocia, nel catastrofico finale, in un’orgia di trash come solo il cinema messicano di genere riesce a regalarci ogni volta.
Regia Naki Yurter
Cast Zerrin Dogan, Cesur Barut, Recep Filiz
Parla di “giovane e bella contadinotta violentata da quattro agenti immobiliari diventa seduttrice che pianifica la sua mortale vendetta”
Raschiando nel fondo del barile delle produzioni turche degli anni settanta si trova anche un remake non autorizzato del cult di Meir Zarchi, uno dei maggiori esponenti del genere Rape & Revenge. Se da un lato può sorprendere l’allegra baldanza della Birlik film che ne finanziò la lavorazione, dall’altro appariva palese come questa fosse l’occasion
e giusta per spingere l’accelleratore verso il softcore, con ampia esposizione di corpi femminili nudi e scene di sesso (mal) simulato. Se l’originale “I spit on your grave” calcava la mano, infatti, verso la violenza sia nell’atto dello stupro che nelle sue crudeli conseguenze (evirazioni, maciullamenti con eliche di motoscafo, ecc.) qui sangue e ammazzamenti sono decisamente edulcorati mentre invece Intikam Kadini si mostra generoso con il sesso e la carnazza.
Su una strada di campagna, quattro agenti immobiliari rimangono senza benzina e decidono di passare la notte in una piccola fattoria abitata dalla giovane contadinotta Aysel (Zerrin Dogan) e dal suo vecchio padre. Il mattino dopo, mentre la ragazza sta lavorando nel fienile, uno degli ospiti le salta addosso, la picchia e la violenta, lo raggiunge il collega Osman (Cesur Barut) che gli da il cambio. Gli altri due immobiliaristi, svegliatisi senza trovare traccia degli amici, ammazzano di botte il vecchio padre (così senza motivo) salvo poi accodarsi anche loro allo stupro di gruppo. La povera Aysel, resasi conto di quanto accaduto, decide prima di suicidarsi e qui il regista Naki Yurter si diverte un mondo a mandare avanti e indietro lo zoom della macchina da presa in una sequenza a dir poco psicotica. Ritroviamo Aysel poco dopo, trasformata in una sciantosa seduttrice pronta alla vendetta, ma non prima che Osman ci regali una piccola scena di sesso con la sua segretaria. Il poveretto incontra in un bar Aysel ma non la riconosce (tutti gli stupratori comunque dichiarano di averla già vista da qualche parte), peggio per lui, perché una volta giunti in camporella, Aysel lo travolge con l’auto facendolo cadere sugli scogli. Tocca poi al collega ciccione e deficiente, che viene sgozzato in barca. Il terzo, sinceramente, non si capisce bene cosa gli accade, perché ad un certo punto lo troviamo annegato in piscina con una bottiglia che gli galleggia a fianco.
Con l’ultimo stupratore (che poi è stato il primo a violentarla) le cose vanno un po’ più per le lunghe perché la vendetta è un piatto che si consuma freddo. E infatti Aysel si concede con lui una lunga ed estenuante (almeno per lo spettatore) scena di sesso sugli scogli dove possiamo ammirare le forme giunoniche della bella Zerrin in tutto il suo splendore mediterraneo. Il finale lascia decisamente a desiderare quando Aysel si rivela al suo carnefice mettendosi semplicemente un fazzoletto in testa e pigliandolo a forconate nella pancia. Il poveretto, morente, si pente del male che ha fatto alla povera Aysel dicendogli semplicemente “Hai fatto bene!” prima di schiattare in mezzo alla paglia. Pur nella sua grettezza il film ha almeno il pregio di durare un’oretta scarsa in cui è impossibile annoiarsi (se non per le ridicole scene di sesso). Attenzione alle musiche, che passano dal latino americano alla dance elettronica primordiale, alcuni brani sono palesemente copiati (com’è noto nel cinema turco) ma sinceramente non saprei dire dove.