lunedì 26 maggio 2025

AS TARAS DO MINIVAMPIRO (1987)

Regia José Adalto Cardoso 

Cast Chumbinho, Renato Alves, Eliane Gabarron 

Parla di “vampiro nanetto semina il terrore tra le vittime mestruate ma un sindaco arrivista lo vuole trasformare in un’attrazione turistica” 

Girato l’anno successivo a Alucinações Sexuais de um Macaco (1986), il film di José Adalto Cardoso ci conferma che, almeno per quanto riguarda il cinema a luci rosse, il Brasile si rivela inaspettatamente una fonte inesauribile ed estrema di cinema ai più bassi livelli, per quanto riguarda la qualità, ma ai massimi per quanto riguarda il tasso di Weirdo, qui veramente alto. L’attore principale è un certo Chumbinho, che manco a dirlo, è un nano dai denti storti raccattato in non si sa quale favelas ma di certo non proveniente da un’Accademia di cinema, considerata la non recitazione costante e imbarazzata. 

La sua presenza in un piccolo paesino chiamato Batatao vicino a San Paolo, scatena il panico, soprattutto nelle coppiette infrattate a fare sesso contro un muretto (sempre lo stesso, per tutto il film) ma scatena anche le mire lucrative del sindaco, un vecchio baffone che gesticola come un matto ripetendo monologhi deliranti. Il suo intento è catturare il minivampiro e trasformarlo in una specie di attrazione turistica. Nel frattempo le voci della presenza del piccolo Dracula (che saltella in giro agitando un piccolo mantellino nero e sfoderando una serie di dentacci storti che sono propri dell’attore e non una protesi), richiamano una piccola troupe a girare un documentario e (perché no) a fare un po’ di sesso ripreso dal regista con grande abbondanza di culi e schiene pelose, brufoli e pieghe di cellulite messe bene in evidenza nell’inquadratura. Il sindaco assume anche una specie di cacciatore di vampiri (Renato Alves) che assomiglia stranamente all’esorciccio con tanto di corone d’aglio e crocefissi di legno in mano. 

Il cacciatore però non intende uccidere il vampiro anzi sembrano divenire amici al punto che il piccolo demonietto gli confessa che la sua sfiga è quella di essere nato in Brasile, se fosse stato un vampiro americano, oggi sarebbe famoso. Girato con piglio amatoriale, in ambientazioni fatiscenti ma ricco di personaggi bizzarri (tra cui un assurdo barbone che ama masturbarsi guardando i cavalli), As Taras do Minivampiro (Lett. Le turbe di un minivampiro) è comunque ricco di sequenze che meriterebbero di entrare nella storia del cinema dalla porta del bagno di servizio. L’erezione penica del vampiro che emerge dal terreno, il mostro che lecca goloso la vagina di una ragazza con le mestruazioni e dopo si succhia godurioso il pannolino sporco di sangue e l’assalto dall’alto su una coppia intenta in una fellatio (con tranciamento del pene) sono tutte sequenze che nella loro bruttezza colpiscono lo spettatore, narcotizzato da noiosissime scene di sesso, e lo svegliano all’improvviso come una doccia fredda, dandogli modo di arrivare sveglio alla parola “Fim” dopo appena un’oretta di (dubbio) spettacolo. 

lunedì 19 maggio 2025

I SETTE NANI ALLA RISCOSSA (1951)

Regia Paolo William Tamburella 

Cast Ave Ninchi, Georges Louis Marchal, Rossana Podestà 

Parla di “ nani pelosi che cercano di salvare la principessa Biancaneve ma non riescono a salvare il film dalla sua bruttezza” 

Forse è un concetto che ho già ribadito in altre recensioni o forse no (la memoria, invecchiando …dannazione!), in ogni caso se cercate dei film veramente weirdo, spesso potete trovarli nel settore del cinema per ragazzi. 

Assieme a perle come “Santa Claus conquers the martians” si può inserire anche questo fantasy favolistico del dopoguerra diretto da Paolo William Tamburella, con una giovane e virginea Rossana Podestà che interpreta Biancaneve in una trama alternativa a quella classica post Disneyana. In questo frangente, la principessina vive in uno splendido castello insieme alla governante Ave Ninchi (che i più anziani di voi ricorderanno soprattutto per la sua pubblicità del Pollo AIA) e al principe azzurro, qui rinominato Biondello (Roberto Risso). Purtroppo l’idillio domestico viene interrotto da tamburi di guerra e richieste di aiuto al Principe Biondello, che deve  recarsi con il suo esercito a difendere i villaggi circostanti dalle invasioni del crudele Principe Nero. Dopo giorni di silenzio, Biancaneve apprende che Biondello è stato rapito e per riscattarlo deve consegnare al cattivo la corona del tesoro.

 Ma, ahimè, è una trappola del principe nero interpretato dall’attore francese Georges Louis Marchal, agghindato con una tutina aderente e un’assurda pettinatura che richiama due orecchie giganti fatte con lana di pecora. Da qui in poi il film si trasforma in un festival del trash senza vergogna, appaiono infatti i nanetti, che sono dei veri nani spelacchiati con nomi tutti diversi da quelli che conosciamo. Se già l’uso di persone diversamente alte richiama le più becere operazioni cinematografiche di serie zeta, il tentativo dei nani di creare delle gag divertenti rende la situazione più penosa, con classiche scenette da commediaccia di bassa lega (il nano che pesca sé stesso e finisce in acqua). I nanetti vengono quindi avvisati, tramite un falco messaggero, che Biancaneve è in pericolo e si recano quindi nei dintorni del castello del Principe Nero, che, nel frattempo, cerca di obbligare Biancaneve a sposarlo. 

I sette vengono inglobati in un praticello/trappola rotante, modello sciacquone del water e finiscono in mezzo alle sirene, da qui riescono a fuggire grazie alla presenza del fido topo di uno dei nani che spaventa le donne pesce e permette loro di risalire in superfice dove incontrano la governante. Insieme giungono al castello ma vengono catturati, qui scoprono addirittura un laboratorio fantascientifico da cui il principe trae il suo potere. Lieto fine istituzionale con abbracci, baci e il principe nero trasformato nell’ottavo nano. I nanetti sono di una bruttezza che mette quasi a disagio, soprattutto pensando a quei poveretti costretti a mostrare le loro deformità ad un pubblico che, probabilmente non ha neanche riso una volta. 

venerdì 9 maggio 2025

PIRATA! CULT MOVIE (1984)

Regia Paolo Ricagno 

Cast Paolo Ricagno, Ugo Gregoretti, Jo Squillo 

Parla di “rivoluzionario coi baffetti e le rotelle cerca di sovvertire il sistema repressivo mentre la madre lo prende a fucilate” 

Nell’anno della profezia orwelliana cosa ci poteva essere di meglio che realizzare un film di fantascienza in cui una società annichilita dalla televisione viene dominata da un grande fratello chiamato per l’occasione “il sognatore supremo” (interpretato da Ugo Gregoretti)? Ci pensa quindi l’esordiente Paolo Ricagno a mettere in piedi una sarabanda new wave con pretese artistiche ma con evidenti carenze di budget, ambientata in una Torino oscura, ripresa solo di notte, tra tunnel della metropolitana, strade deserte e i pochi cittadini presenti sono immobili come manichini. 

In questa sorta di distopia sociale, accompagnata da canzoni snocciolate dai gruppi underground di allora come Gaznevada, Arty Fleury e una scatenata Jo Squillo, si muove il rivoluzionario Pirata (interpretato dallo stesso regista) che sfreccia su pattini a rotelle come i Roller Skaters de “I guerrieri della notte” con il volto truccato con insopportabili baffetti disegnati, mentre dietro di lui orde di poliziotti con manganelli palesemente finti, si divertono a malmenare giovani, vecchi e famigliole ipnotizzate davanti al tubo catodico. Ma non bastano gli sbirri (interpretati dai Gaznevada), a perseguitare il giovane c’è anche la madre (Luisella Ciaffi) che sfodera una poco rassicurante doppietta con cui spara a casaccio. Attorno a Pirata ruotano poi alcuni personaggi bizzarri cone due giovani performer e un barista chiaccherone che si vernicia d’oro la faccia nel finale. 

Di sicuro, il film di Ricagno che, ambiziosamente, definisce Cult Movie direttamente nel titolo, è un’opera che non ha bisogno di grosse interpretazioni, per quanto riguarda il messaggio, soprattutto nel finale (che trovo molto poetico) dove Pirata spegne finalmente tutti gli elementi repressori con il telecomando e ci regala delle scene finali particolarmente riuscite in cui le due performer ripetono all’ossessione “ti amo” davanti ad una lastra di metallo ondulato dove un gioco di luci sembra trasformarsi in scariche laser dipinte sul metallo, sopra al riflesso di Pirata seduto su una sdraio. Ricagno risulta ammirevole quando fa di necessità virtù e regala allo spettatore una serie di trovate originali e artistiche con il nulla, partendo dalla sparatoria sul tram frequentato da passeggeri zombie, fino al centro di emanazione costellato di decine di schermi uno sopra l’altro. Sebbene la presunta originalità del progetto che, all’epoca doveva essere nei propositi di Ricagno, non risalti più di tanto, il film è comunque un curioso documento dell’epoca che, per noi inguaribili nostalgici, merita sicuramente attenzione.