Regia: Ishirō Honda
Cast: Ryo Ikebe, Ken Uehara, Takashi Shimura
Genere: Catastrofico, Fantascienza, Kaiju Eiga
Parla di “planetoide assorbitutto minaccia la Terra ma gli umani mettono un turbo al Polo Sud per spostarne la traiettoria”
(1991)
Regia Albert PyunCast Tim Thomerson, Frank Collison, Kamala Lopez
Genere Poliziesco, Drammatico, Fantascienza
Parla di “Poliziotto alieno giunge per sbaglio sulla Terra e scopre di essere un nanetto nei confronti degli altri”
Ispiratosi all’omonimo personaggio dei fumetti realizzati dalla Quality Comics (successivamente inglobato nell’Universo della DC Comics) Charles Band scrive e produce questo DollMan coadiuvato da Albert Pyun che aveva già distrutto, l’anno precedente, il mito di Capitan America, trasformando un possibile blockbuster in un fiasco colossale. Evidentemente le troppe aspettative distruggono l’estro creativo perché questo DollMan, realizzato con quattro soldi e poche pretese, non è affatto malaccio. Certo siamo relegati ad aeternum nell’olimpo del B Movie fracassone e scartavetrato, ma l’idea di base, che riprende dal fumetto originale solo il rimpicciolimento (in questo caso involontario), è quanto meno geniale. Il mix vincente infatti, è quello di mescolare fantascienza e gang movie con un pizzico di mechasplatter alla Robocop che non guasta mai. Siamo sul Pianeta Arturos, che si differenzia dal nostro pianeta grazie ad una serie di sfondi cartonati che riproducono una città futurista. Addentrandoci nei vicoli però scopriamo che ad Arturos ci sono lavanderie a gettoni gestite da una famiglia di ciccione come quella che viene presa in ostaggio da un criminale senza molta convinzione.
(1980)
Considerarlo uno dei peggiori film di supereroi mai realizzati appare forse ingiusto, sarebbe meglio considerarlo invece uno dei peggiori film mai realizzati in generale. Inutile catalogare questa pellicola di Alberto De Martino limitandone le potenzialità espressive del brutto cinematografico quando si ha per le mani un simile capolavoro di incompetenza e povertà. Realizzato fuori tempo massimo, sull’onda del successo del Superman con Christopher Reeve (in quell’anno uscì il secondo capitolo), l’Uomo Puma doveva essere la risposta italiana ai blockbusters hollywoodiani ed infatti lo fu, una risposta sbagliata, purtroppo che De Martino pagò con un fiasco clamoroso al botteghino oltre ad una valanga di recensioni negative (anche se, secondo il regista, ci furono anche quelle positive ma non ci è dato di sapere quali).
Del resto un film che inizia con un palloncino intergalattico che svolazza su modellini di Dolmen e parla di civiltà azteche mentre la voce narrante urla a tutto spiano “Uomo Puma! Uomo Puma! Uomo Puma!” non lascia molte speranze. Se poi il cast comprende una Sidney Rome vestita con un ridicolo tutone in pelle nera che farfuglia nel suo italiano stentato e l’ingombrante presenza di Miguel Ángel Fuentes (massì che ve lo ricordate, era Gordon, il messicano tuttofare ne Il Triangolo delle Bermude) il quale, per scoprire l’identità dell’Uomo Puma, butta giovani americani dalla finestra (così se volano sono il supereroe, altrimenti schiattano!) allora potete stare certi che il capolavoro Cult è dietro l’angolo. Protagonista della vicenda è un giovane paleontologo (interpretato dall’americano Walter George Alton, appena uscito dal cast di 10 di Blake Edwards) che scopre di appartenere alla razza aliena degli uomini puma, in grado di vedere in notturna con occhi verdognoli e volare come se stesse nuotando a rana, lo vediamo infatti ondeggiare paurosamente su immagini in sovrimpressione ed ogni tanto camminare addirittura sulle gigantografia di megalopoli occidentali in un gioco di proporzioni assolutamente sbagliato. Gli effetti speciali sono realizzati con tecniche che Hollywood si sogna (negli incubi di ogni effettista americano c’è sempre “L’uomo Puma”), basti pensare che per simulare l’ipnosi dei personaggi soggiogati al volere della maschera d’oro, si usano specchi ondulati e oscene maschere di ceramica con tubicini arrotolati e attaccati sulle tempie. A concludere questa farsa supereroistica all’amatriciana troviamo il buon Donald Pleasence, ormai a chilometro zero nel territorio tricolore, nella consueta parte del cattivone di turno, il diabolico Kobras che, tanto per cambiare, vuole conquistare il mondo.Regia Philippe Mora
Cast Beverly D’Angelo, Brad Wilson, Brion James
Genere Commedia, Fantastico
Parla di “Moglie di paleontologo viene maledetta da stregone con nome da artista e si trasforma in uno pterodattilo”
Realizzato attorno alla figura, ai tempi discretamente famosa, dell’attice Beverly D’Angelo, questo film demenziale prodotto dalla Troma Entertainment e diretto dall’australiano Philippe Mora, rappresenta uno sforzo produttivo notevole per Lloyd Kaufman e Michael Herz, forti della presenza di un’attrice di punta, conosciuta più che per le sue doti artistiche, per la sua partecipazione alla serie comica del National Lampoon's Vacation e per la sua relazione con Al Pacino a cui diede due figli. Il risultato è la dimostrazione pratica che non basta un’attrice di grido e qualche dinosauro buttato nella mischia (siamo nel periodo di coda dell'exploit di Jurassic Park) a generare un successo, soprattutto se ci si trova a combattere con uno script imbarazzante e completamente spogliato dell’umorismo di grana grossa che ha segnato le produzioni della casa distributrice nuovayorkese.
(1987)
Regia Rod Amateau
Cast: Mackenzie Astin, Anthony Newley, Katie Barberi
Genere: Demenziale, Fantascienza, Commedia
Parla di “mostriciattoli schifosi usciti da carte da gioco per bambini nerd, si trasformano in sarti per aiutare ragazzino nelle sue conquiste amorose”
Ok, d’accordo che realizzare un film tratto da una serie di figurine non è cosa facile ma con un budget, tutto sommato cospicuo, di un milione di dollari si poteva pensare almeno di spremersi di più le meningi e tentare di scrivere una storia meno cretina di questa. The Garbage Pail Kids (lett. I ragazzi del bidone dell’immondizia) è una serie di figurine realizzate nel 1985 dalla Società americana Topps Company basate su personaggi mostruosi e demenziali che da noi arrivarono negli anni novanta con il nome di Sgorbions, fregiati da nomignoli come Donata Avariata, Riccardo Superlardo o Gustava la Sbava. Insomma il paradiso dei ragazzini in cerca di sensazioni trash, cosa potevamo dunque aspettarci da un film ispirato a cotanta bruttezza? Ecco quindi che il regista televisivo Rod Amateau (deceduto nel 2003), che da noi era conosciuto per la commedia “Dimmi dove ti fa male?” con Peter Sellers, ci confeziona una commedia fantascientifica tipicamente anni ottanta che sembra uscita dalla fucina della Full Moon Entertainment di Charles Band.
Mostriciattoli realizzati con attori nani che indossano orribili mascheroni rotondi le cui misere espressioni facciali sono date da piccoli congegni meccanici sottopelle. La trama è incentrata sul folle amore del quattordicenne Dodger (Mackenzie Astin) per la bionda Tangerine (Katie Barberi) e per questo viene bullizzato dal suo fidanzato Juice e la sua combriccola di teppisti in tutina da aerobica colorata. Lavorando nel negozietto di cianfrusaglie del Capitano Manzini (Anthony Newley ovvero il dottor doolittle del 1967), scopre uno strano bidone che, analogalmente al vaso di Pandora, non deve essere mai scoperchiato. Purtroppo l’intervento dei bulletti rovescerà il bidone travasando fuori una specie di slime verdastro che libererà i sette mostriciattoli ovvero Greaser Greg (interpretato da uno dei “nani” più famosi dello schermo, Phil Fondacaro conosciuto per le sue interpretazioni di Willow e il primo Troll), Valerie Vomit, lo scureggione Windy Winston, Ali Gator (goloso delle dita dei piedi umane), l’orrendo bebè Phil Foul, il ciccione brufoloso Nat Nerd che si piscia sempre addosso e la bavosa Messy Tessie.A questo immaginerete una serie di situazioni al limite del buon gusto e del politically uncorrect, invece i mostriciattoli si rivelano essere dei grandissimi…sarti! E per aiutare il piccolo Dodger a conquistare Tangerine confezionano sbarluscenti abitini per organizzarle una sfilata di moda. Peccato che Tangerine, in combutta con Juice, ordisca alle spalle del ragazzino, lo fa sbattere in un cassonetto e fa rinchiudere i mostri in un assurdo Istituto per brutti in compagnia di nani, pagliacci e addirittura Babbo Natale. Tra battute penose, ambientazioni trash anni ottanta e un compendio narrativo che si snoda come un compitino da prima elementare, il film assume nella sua povertà creativa un’aura sfigata che lo rende un prodottino di culto (si paventava addirittura un reboot nel 2012 fortunatamente cancellato) soprattutto nel suo momento di topica bruttezza in cui il gruppo dei ragazzi del bidone canta in coro un’assurda canzoncina che sembra fuoriuscita da un musical organizzato in oratorio. A metà tra un prodotto “ricco” della Troma e la demenzialità assoluta del Troll 2 di Claudio Fragasso, The Garbage Pail Kids ha tutte le carte in regola per farvi innamorare, ma solo se siete puri e duri estimatori del brutto tout court.
Con queste premesse risulta assai doloroso parlare di questo The House Where Evil Dwells, incursione asiatica del genere Haunted House, perché se da un lato va elogiato un buon cast e il coraggio di portare il genere british horror in Giappone, dall’altro l’operazione fallisce miseramente nella sua realizzazione scadendo senza pietà nel trash più assoluto. Si inizia con un delitto passionale ambientato nel Giappone del 1840 dove Otami, una giovane donna invita a casa l’amante ma il marito Samurai li scopre e li affetta a colpi di Katana per poi fare Hara-kiri. Fin qui niente di speciale, la scena è ben fatta e dimostra senza alcun dubbio che il vecchio Connor ancora ci sa fare. Poi si torna ai giorni nostri quando il giovane reporter Ted (Edward Albert) si stabilisce con la famigliola proprio nella casa dell’eccidio che l’amico console Alex (Doug McClure) gli ha procurato a basso costo. E anche fin qui tutto ok, niente di nuovo sotto il Sol Levante ma almeno il film sembra decoroso.
I problemi iniziano quando cominciano ad apparire i fantasmi dei tre morti, che vediamo in trasparenza bluastra mentre confabulano animatamente tra di loro in giapponese, ogni tanto uno dei tre si infila nel corpo della moglie di Ted, Laura (Susan George) per innescare una tresca tra la donna e Alex, qualche piatto (addirittura una maschera) salta dalla parete e si giunge allo zenith più estremo quando la figlia Amy (Amy Barrett) vede uno dei fantasmi giapponesi che fa le smorfie nella zuppa per poi degenerare con l’avvento di mostruosi granchi che borbottano comicamente come lottatori di Sumo. Non si capisce se l’intento comico del film è voluto, di certo le scene che si vorrebbero più terrificanti diventano invece quelle più esilaranti, come la sequenza di Ted che va a fotografare delle pescatrici in apnea e cade nell’acqua dove viene spinto giù da una nuotatrice in topless. La George ci sollucchera con nudi più o meno espliciti ma fa delle smorfie veramente buffe quando deve invece esprimere rabbia e dolore. Anche la scena dell’esorcismo da parte di un monaco zen raggiunge livelli di ilarità assoluta quando spinge fuori di casa i tre fantasmi a botte di acqua santa (o roba simile). Finale alla Bud Spencer e Terence Hill con botte da orbi e pareti che si smontano da tutte le parti con qualche sequenza di sangue che non salva comunque l’opera dal disastro totale.(1995)
Regia Luca Damiano
Cast Ludmilla Antonova, Vicca, John Walton
Genere; Fantasy, Porno, CommediaParla di “Biancaneve scopre il sesso grazie ai nanetti mentre la regina cattiva cerca di avvelenarla, ma ci penserà il principe azzurro a darle una svegliatina”
Negli anni mi sono dovuto convincere del fatto che per trovare dei veri cult all’interno del cinema trash bisogna andare a ricercarli nel mercato del porno, dove spulciando attentamente si trovano delle vere e proprie chicche. E’ il caso di questo imbarazzante capolavoro di Luca Damiano (pseudonimo del regista Franco Lo Cascio), conosciuto anche con il geniale titolo “Biancaneve sotto i nani” che replica in versione a luci rosse l’omonimo cartone animato della Disney. Prodotto tra Italia e Ungheria, il film vede il giusto confronto tra due indimenticabili pornostar dell’est europa come l’ungherese Ludmilla Antonova (conosciuta anche come Camilla Astori o Julia Larot) nel ruolo di Biancaneve e la russa Vicca, al secolo Viktoria Kokorina nel ruolo della regina cattiva.
Come nell’omonima favola dei fratelli Grimm anche qui la regina malvagia costringe la principessa Biancaneve a fare la servetta per evitare che la bellezza di quest’ultima oscuri la sua, per questo la monarca consulta lo specchio magico in cui appare un assurdo vecchietto vestito come un monaco che parla in napoletano stretto. Nel frattempo Biancaneve, tra una pulizia e l’altra, scopre le gioie della propria vagina. Da parte sua la regina si gode non meno di quattro stalloni alla volta, coadiuvata dalle due ancelle che ne preparano i falli a colpi di fellatio. Sempre più gelosa della principessina, la malvagia regnante la fa condurre nel bosco dal cacciatore assassino che si chiama LAIDS, e qui si produce una delle più aberranti battutacce del film:
Biancaneve “Oh no! Che vuoi fare? Non mi vorrai uccidere? Abbi pietà.”
LAIDS” Accidentaccio! Non posso ucciderti” Biancaneve. Tu mi conosci. Che disdetta! Ed io conosco te.”
Biancaneve: “L'AIDS. Se lo conosci non ti uccide”.