giovedì 8 febbraio 2024

ZAAT

(1971) 

Regia Don Barton e Arnold Stevens 

Cast Sanna Ringhaver, Marshall Grauer, Paul Galloway 

Parla di “scienziato pazzo diventa un pesce su due gambe e si aggira nelle paludi in cerca di vendetta” 

Partendo dal presupposto che realizzare un monster movie negli anni ’70 era già, di base, un suicidio produttivo (Vedi anche il ridicolo “Octaman”), il film (L’unico mai realizzato, per fortuna) di Don Barton e Arnold Stevens (non accreditato nei titoli) presentava l’aggravante di essere fatto pure con i piedi, con un costume di plastica, gomma, piume di struzzo (???) e un mascherone di cartapesta simile a quelli dei film messicani tipo “La Nave dei Mostri” dove, oltre alle ridicole fattezze, non ci si curava di nascondere le lenti di plastica al posto degli occhi. Dopo un incipit dove si passa il tempo a inquadrare pesci gatto e polpi vari, vediamo uno scazzatissimo personaggio, che dovrebbe essere uno scienziato matto ma sembra un perfetto imbecille, iniettarsi uno strano liquido fosforescente con un siringone gigante e successivamente farsi il bagno dentro una vasca circolare. 

L’obiettivo è la mutazione da uomo a pesce (ma perché?) e infatti il nostro eroe riemerge dalle acque trasformato in una brutta copia del Gill Man da “Il mostro della Laguna nera”, a metà tra un orsetto di peluche muffoso e un grottesco alieno da B-Movie degli anni cinquanta. Insomma, già dalle premesse, Zaat risulta un film invecchiato male, a questo poi aggiungiamo una trama ridicola dove si assiste alla vendetta del mostro nei confronti di un paio di scienziati, la cui foto è attaccata a colpi di chiodo su un tabellone circolare pieno di strani diagrammi stranamente simile a quello de “Il pranzo è servito”. Dopo aver aggredito le sue vittime intente a pescare, uccidendole in modo ridicolo (uno viene praticamente sfiorato dal mostro e cade morto in maniera assurda) l’uomo-triglia decide che è ora di farsi una compagna. 

Il nostro rapisce, dunque, una bionda campeggiatrice, le inocula il liquido e la immerge nella vasca, ma qualcosa non funziona e la donna muore. Il povero pesciolone non può fare altro che sciogliere il corpo nell’acido. Ma le strane morti non lasciano indifferenti le autorità che assumono la INPIT (Inter Nations Phenomena Investigation Team) ovvero una coppietta vestita con tute arancioni che si getta nelle paludi a caccia del mostro. In una collutazione la creatura rimane ferita e la vediamo dare di matto all’interno di una farmacia alla ricerca di un beverone che, alla fine, gli fa più male che bene. La scena più assurda rimane comunque quella dove lo sceriffo sente un urlo per le strade (il mostro massacra una coppietta), si infila in una scuola dove un gruppo di Hippie si dedica alla musica. Vediamo quindi una parata surreale di figli dei fiori con strumenti al seguito che viene condotta direttamente in prigione. 

Sorretto da una fotografia insolitamente buona, rumori subacquei nelle lunghe scene di caccia nella palude e un montaggio allucinogeno dove ogni tanto spunta qualche immagine che non c’entra nulla (riciclaggio di qualche rullo avanzato) il film si conclude in maniera quasi poetica con il mostro ferito che si immerge nel mare mentre cerca di portarsi dietro due galleggianti rossi il cui uso rimane un mistero. Dietro di Lui anche la protagonista femminile (Sanna Ringhaver) ovvero la bionda Martha degli INPIT che, dopo essere stata rapita per diventare la nuova moglie del mostro (vediamo infatti il pesciolone intento a disegnarla su carta come prossima vittima), decide assurdamente di seguirlo nelle acque marine. Assurdo, malfatto, demenziale quanto volete, ma Zaat rimane comunque un’esperienza unica per chi ama il cinema weird e come tale non posso che consigliarne la visione. 

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