Regia Rino Di Silvestro
Cast Annik Borel, Howard Ross, Dagmar Lassander
Un bozzo di plastica sul naso,
vernice verdastra sul corpo e ciuffi di pelo pecoreccio che si insinuano nel
corpo nudo di Annik Borel mentre sbava schiuma biancastra da dietro un
cespuglio. Quest'immagine ormai iconica de "La Lupa Mannara" apre il
film di Rino Di Silvestro, una pellicola piena di difetti, con una recitazione
sopra le righe e una trama che tende ad allungare un soggetto debole. Eppure
tutto ciò non ha impedito a questo titolo di crescere negli annali della storia
cinematografica di genere assumendo una posizione di culto che, ancor oggi,
viene venerata da centinaia di estimatori di ogni parte del mondo. Merito di
un'estetica forte che si apre già dalle prime suggestive immagini in cui la
Borel danza nuda attorno ad un fuoco in una sorta di sabba iniziatico erotico,
un incipit potente che viene ripreso nel finale con un secondo rogo dove la
donna, non più mutata in licantropo ma in una specie di strega arcigna e folle,
viene arrestata dalla Polizia per i suoi molteplici delitti. In realtà la
mutazione belluina avviene solo all'inizio, una specie di flashback del passato
in cui si rievoca l'antenata mostro della bella Daniela, figlia di un imprenditore
con un brutale stupro alle spalle.
La scoperta della mostruosa parentela
atavica sconvolge la mente già debilitata di Daniela che si scatena contro il
marito della sorella. Rinchiusa in una clinica di salute mentale, Daniela da
fuori di matto e uccide una ninfomane che prova ad abusare di lei mentre è
legata nel letto d'ospedale. Il film prosegue con una serie di omicidi che
Daniela perpetra contro tutti coloro che cercano di approfittare sessualmente
del suo corpo, finché non incontra un giovane stuntman che vive in una specie
di Far West cinematografico. Daniela si innamora e sembra guarire dalla sua
follia, purtroppo l'intervento di tre bulli e la loro violenza scateneranno di
nuovo la furia omicida fino alle estreme conseguenze. La Borel esce dalle
righe, urla come una pazza e lancia sguardi allucinati, regala spesso e
volentieri i suoi nudi tutt'altro che estetici e, in certi momenti, sembra
recitare in uno stato ipnotico. Eppure la storia risulta scorrevole, infarcita
di molteplici situazioni che sfociano nel fumetto nero tipico di quegli anni.
Per intenderci guardare "La Lupa Mannara" è un po come leggere un
giornalino di Jacula, Sukia o la più affine Ulula dove l'atto erotico vira al
rosso sangue di membra divorate, crani spaccati e violenza inaudita. Di certo
non ci troviamo di fronte al solito horror gotico nazionale e neanche al
classico giallo all'italiana ma a un'opera particolare, proprio in relazione al
tasso di weirdo altissimo che sgorga da ogni fotogramma. Accompagnata da una
musica che oscilla tra il progressive e il beat psichedelico, la storia di
Daniela si sviluppa in progressione, mancando forse nel caratterizzare
psicologicamente i personaggi, il più delle volte troppo "camp" per
essere credibili, si veda per esempio la Ninfomane o l'anziano donnaiolo che da
un passaggio a Daniela, di certo si ha uno spaccato triste di un'esistenza
troppo legata alla cattiveria e alla soperchieria dove il vero amore che può
fermare la bestia viene irrimediabilmente distrutto dalla brutalità del branco.
Bellissima la locandina, e anche il film sembra a suo modo più intrigante di molti prodotti di quel periodo fatti in serie...
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