mercoledì 2 novembre 2022

YOKAI MONSTERS: SPOOK WARFARE

 (Yōkai Daisensō, 1968) 

Regia Yoshiyuki Kuroda 

Cast Chikara Hashimoto, Akane Kawasaki, Yoshihiko Aoyama 

Genere: Fantasy, Horror 

Parla di “ridda di scombinate mostruosità giapponesi devono vedersela con vampiresca divinità babilonese” 


Quando in tutto il mondo esplodeva la contestazione studentesca, nelle sale giapponesi usciva una curiosa quanto assurda trilogia fantasy dedicata agli Yokai, spiriti e mostriciattoli tradizionali del Sol Levante. Una buona alternativa al genere Kaiju Eiga per mandare in sollucchero gli spettatori più piccoli, pur venandola con tinte horror. Dei tre titoli componenti la saga (iniziata con Yokai Monsters: 100 monsters nel 1968 e conclusasi con Yokai Monsters: along with ghosts uscito l’anno successivo) il secondo Yokai Monsters: spook warfare è stato il maggior successo cinematografico dell’intera trilogia. 

La battaglia del titolo vede contrapporsi ai nostri mostriciattoli una tenebrosa divinità babilonese fuoriuscita da una montagna a inizio film mentre due archeologi arabi assistono esterrefatti al prodigio. Totalmente priva di movimenti, la maschera del dio vampiro (chiamato Daimon) richiama in effetti le statuette votive precristiane con un faccione oblungo coronato da un nasone piegato verso il basso e quattro denti storti che sporgono da una bocca simile a quella di un clown. Armato di una strana alabarda, Daimon vola sul mar del Giappone accompagnato da una furiosa tempesta, fino a giungere nella casa di un magistrato, al quale Daimon morde il collo impossessandosi del suo corpo. 

lI cambiamento in negativo del magistrato non sfugge agli occhi della figlia e del fido Shinhachiro, soprattutto quando iniziano a sparire geishe e bambini. Per fortuna a dare manforte ai buoni emerge dallo stagno l’assurdo yokai Kappa, dalle fattezze di uomo rana con un ridicolo costume da sub, un mascherone che ricorda più paperino che un anfibio e una parrucca spelacchiata in testa. Ma non è l’unico yokai del film ad essere ridicolo, praticamente tutta la banda è un pout pourri di assurdi mascheroni in cartapesta, come la Futakuchi-onna che sembra Sadako ma se si gira ha una seconda faccia da strega con tanto di manina gommosa che gli penzola dal naso. Poi c’è la Rokurokubi dal collo lunghissimo (e che Daimon neutralizza annodandolo), il nano col testone Abura Sumashi, uno strano incrocio tra una tartaruga e una roccia (Nuppeppō) e per concludere una riproduzione del celebre Karakasa ovvero l’ombrellino con una gamba e un occhio solo con la lingua a penzoloni che si esprime con versi che ricordano lo “slurp” dei fumetti. 

La banda Yokai appare e scompare in sovraimpressione, vengono catturati da un foglietto magico che li obbliga a restare prigionieri di un otre fino a che non interviene Shinhachiro a liberarli e nel finale richiamano tutto l’apparato yokai esistente in Giappone per avviare la grande battaglia finale, ovvero un mistico casino di comparse addobbate con i costumi più assurdi che saltano da tutte le parti e, in un finale epico quanto narcotico, li vediamo allontanarsi e scomparire tra le montagne mentre uno struggente motivetto classico ci avvisa che è ora di svegliarsi. Ma per i giapponesi gli Yokai sono una cosa seria e nel 2005 ci penserà niente meno che Takashi Miike a rinverdire il mito con The Great Yokai War. 

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