martedì 29 dicembre 2020

BLOOD FREAK

(1972) 

Regia Steve Hawkes, Brad F. Grinter 

Cast: Steve Hawkes, Heather Hughes, Dana Cullivan 

Genere: Horror, Drugsploitation 

Parla di “robusto biker diventa esperimento umano e si trasforma in mostruoso tacchino assassino” 

Appartenente di diritto alla famiglia dei film bruttissimi ( tipo Manos: The hands of Fate, per intenderci) ma senza essere mai divenuto di culto, questo Blood Freak è la creatura pasticciata di uno dei tanti attori muscolosi che hanno dato il volto, in passato, al personaggio di Tarzan, tale Steve Hawkes, di origini croate ma naturalizzato americano, che con il suo fisico possente dirige (in collaborazione con Brad F. Grinter, altro espertone in exploitation) e interpreta il ruolo di Hershell (nome forse ispirato dal gorefather più famoso della settima arte, anche se non ci è dato di saperlo con certezza), un biker solitario vestito con un incantevole tutina azzurra, che incontra per strada Angel (Heather Hughes) una giovane e avvenente quanto improbabile timorata di Dio. 

Dopo averla aiutata con l’auto in panne, Hershell l’accompagna ad una specie di droga party frequentato per lo più da avventori non più giovanissimi che si trastullano con una non meglio precisata pompetta nasale (cocaina o rinazina?). Qui Hershell conosce Ann (Dana Cullivan) sorella sgarzellina di Angel che punta subito l’omone. Angel ce la mette tutta per convertire alla fede cristiana il giovane rider ma questi preferisce decisamente le grazie hippie della sorella. Dopo essersi fatti uno spinello, i due fanno sesso e il mattino dopo Ann comunica al rider che gli ha trovato un lavoro. Questi si reca in una specie di fattoria strapiena di enormi tacchini rumorosi. Incontra due giovani che dovrebbero essere scienziati (anche se uno sembra più il bidello di una scuola) ed infatti lo ingaggiano per fare da cavia ad un esperimento. Hershell si divora quindi mezzo tacchino arrosto arricchito con una sostanza che dovrebbe essere un composto chimico per la castrazione dei tacchini. 

Dopo il pasto l’omone ha crisi convulsive e viene sbattuto fuori dal recinto della fattoria dove, al suo risveglio, si ritrova ad essere un mostruoso uomo-tacchino. Già fermandoci qui con la narrazione, abbiamo sufficienti elementi per determinare il grado di follia demenziale di questo titolo, basti pensare che il trucco del mostro si basa unicamente su una orrenda maschera da piccione accartocciata e piena di verruche, arricchito dal classico verso chiocciante del tacchino. Non manca anche una sequenza splatter ad alto effetto con l’amputazione di un arto tramite sega circolare, il tutto condito da recitazioni monoespressive che fanno credere ad una distribuzione collettiva di Lsd, regia piatta e narrazione lenta e narcotica. Ma la ciliegina sulla torta è decisamente il narratore tabagista che irrompe a spot durante il film a farci la filippica sulle conseguenze nefaste della droga mentre tossisce catrame tra un tiro di bionda e l’altro. Il tutto nella più ruspante e vera tradizione del cinema drugsploitation dove chi ti fa la paternale è di solito più tossico di chi la subisce. 

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