mercoledì 6 gennaio 2021

CAPITAN AMERICA

(1990)

Regia Albert Pyun

Cast Matt Salinger, Ronny Cox, Carla Cassola

Genere: Azione, Fantascienza, Avventura

Parla di “Dalle origini al mito di Capitan America fino alla sua disastrosa disfatta, ovvero la realizzazione di questo film”

Fino all’avvento del nuovo millennio il cinema dei supereroi della Marvel era relegato ad una certa produzione a basso costo che conobbe il suo picco più squallido nel pessimo “The amazing Spider-Man” di E. W. Swackhamer. Questo almeno fino al 1990 quando quel matto di Menahem Golan, chiamò Stan Lee e gli disse “Sai che c’è? Voglio fare un film su Capitan America ma non ci ho una lira per realizzarlo per cui come viene viene, eh!” – Inizialmente si doveva assumere il bravo Michael Winner, autore di almeno due capolavori come “The Sentinel” e “Il giustiziere della notte”, ma dopo un travagliato periodo di scrittura, questi abbandonò il campo, anche perché la Cannon, in quel periodo, fallì. I diritti del film furono ceduti alla 21st Century Film Corporation, venne assoldato il povero Albert Pyun, regista da quattro soldi e piccolo maghetto del b-movie d’azione (ricordiamo sempre il suo terribile Arcade del 1993) ed ecco qui, purtroppo, il film. Girato in location della ex-jugoslavia spacciata per Italia, con un cast assurdo dove Ronny Cox (il cattivissimo di Robocop) coabita con Francesca Neri e Michael Nouri (il bello di Flashdance) si affianca a Carla Cassola (una grandissima attrice che ha lavorato molto anche con Lucio Fulci), ma soprattutto abbiamo un protagonista fra i meno appropriati per quel ruolo che si potesse mai scegliere in un casting, ovvero Matt Salinger, figlio del ben più famoso scrittore e totalmente oscuro e mediocre come attore, al punto che questo film rimane, forse, la sua interpretazione più importante. 

Già nelle prime apparizioni si nota subito che il costume non sembra adatto alla sua misura (forse lo avevano cucito per Dolph Lundgren che all’ultimo ha declinato la parte) e i fori per gli occhi sembrano cadere in avanti, poi anche la psicologia del personaggio viene miseramente degradata ad un’americano stupidotto che sembra avere il cervello in un centimetro cubo di formaggio. Non parliamo poi del villain storico di Cap, il teschio rosso, del quale vengono narrate le origini italiane in una notte di Natale della Seconda Guerra Mondiale, quando i fascisti irrompono nella casa paterna e massacrano tutti per poterlo rapire ed adibire a super esperimento segreto mal riuscito. Peccato che, se all’inizio il make-up del teschio sembra ricordare vagamente quello del fumetto originale (va beh, almeno è rosso!), per il resto del film sembra una brutta copia dei gangster usciti da quell’orribile filmaccio su Dick Tracy uscito nello stesso anno. 

La sceneggiatura poi è un vero e proprio scrigno di idee, dal trucchetto di Capitan America di fingere il mal d’auto per fregare la macchina a qualcuno (trucchetto che usa per ben due, dico due, volte) fino all’espediente della registrazione sonora in bobina del massacro in casa del Teschio rosso al fine di ricordargli chi è veramente. Fotografia piattamente televisiva, scene action imbarazzanti tra le quali una sequenza di lotta nelle cantine dove non si vede un tubo, comprimari credibili come lo spazzolone per il water usato per i denti e quel senso di pochezza mirabilmente espresso dal costume del supereroe, il quale pur restando in un certo qual modo, fedele all’originale, sembra uscito da una sartoria per festini carnevaleschi. L’unica cosa che merita è lo scudo, si poteva inquadrare questo per tutto il tempo e il film sarebbe senz’altro riuscito meglio.

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